mercoledì 26 dicembre 2012

Dimenticanze

Avete presente l'attimo che vi fa trasalire? Come lo schiocco di una frusta o il gavettone del primo agosto mentre ronfate sulla sdraio?
Quell'attimo per me furono i suoi riccioli rossi e il guizzo furbo dei suoi incantevoli occhi celesti.

La sala lettura era deserta come al solito. Mi voltai verso gli scaffali, per quanto permetteva il torcicollo ormai perenne, e mi saltò agli occhi una sfilza di titoli del tipo “L'amore..., Ti amo, La seduzione...”, e simili.
Non c'è niente di più potente di un ricordo che riaffiora all'improvviso. Pensai a Proust e alla sua madeleine, a quel senso di meraviglia travolgente, l'immaginazione che galoppa fra castelli su laghi autunnali, mari verdi di boschi sconfinati, nuvole candide in un azzurro surreale.
Ricordai il bianco splendente della fiancata, senza scritte. Sonnecchiavo guardando fuori dal finestrino, vagamente annoiato. Ero in gita scolastica, ma chissà dove.
La ruota enorme del suo pullman che iniziava a girare, il sorriso di Viggia riflesso nel finestrino, e poi lei!
Non vedo più tanto chiaro se mi volto indietro a quelle profondità. Non è questione di memoria, quella è ancora buona; penso si tratti più di mentalità, di atteggiamento. Di cuore forse. Era un'altra vita. Non si cresce in linea retta, o come la puntina che segue il solco sul vinile. Ti svegli di botto e sei maturato. Un battito di ciglia: nasci a otto anni, scorrazzando in bici sul ballatoio sotto casa, un secondo dopo stai zufolando Bach con l'himalaya, all'esame di terza media; l'indomani la maturità classica... e via! vorticando nel turbine degli studi universitari sofferti e degli amori sconclusionati, fino all'istante in cui scrivi a penna su un logoro block notes, nella biblioteca del tuo paese, in un uggioso pomeriggio dicembrino.
Tante piccole esistenze in fila, ognuna scalza la precedente. Scelte, biforcazioni, vite alternative abortite. Fossati invasi dai rovi, brandelli di se e di ma tra grovigli di spine. Il congiuntivo imperfetto è molto più sensuale dell'indicativo presente, molto più allettante.
Beate le particelle quantistiche, che possono essere in due posti contemporaneamente! Il gattino di Schroedinger rincorre giocando un gomitolone rosso e lappa beato una ciotola traboccante di latte!
Ormai la frittata era fatta e non riuscivo più a concentrarmi sul racconto che stavo scrivendo.

Una folgorazione: fece la faccia di chi si ricorda qualcosa all'improvviso, come quando viene un'idea brillantissima e ci si illumina tutti. E mi indicò dal finestrino, come a dire: “ecco, sì, sei proprio tu il ragazzo che fa al caso mio!”. Io e Viggiani ci guardammo perplessi.
La fissavo e lei continuava ad additarmi, raggiante e in rapido allontanamento.
Autista, parti, svelto! Inseguiamola!. Ma la nostra corriera non aveva neanche il motore acceso. La vidi presto scomparire al primo incrocio, svoltò a destra col semaforo già verde.

Portatile, block notes, penna, libro: cacciai tutto alla rinfusa nello zaino, volai per due rampe di scale e sgommai verso casa. Missione impossibile: rintracciarla su facebook dopo quasi un quarto di secolo. Su internet ormai si trova chiunque con una facilità impressionante, con parole chiave che farebbero scompisciare Topo Gigio!

“Cosa c'è?”, mi chiede alzando lo sguardo dal libro che sta leggendo, stesa sul divano.
Le sorrido e continuo a osservarla. Indossa occhiali dall'elegante montatura bianca. Dietro le lenti sottili l'azzurro dei suoi occhi è sempre intenso, come quella volta che la guardavo allontanarsi, come il mare calmo oltre quel parcheggio.
“Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?”, le mormoro.
Mi sorride, chiude il libro e lo appoggia sul tavolino in vetro; mi rifa la stessa espressione “I Want You”, alla Zio Sam, avvicinandosi sbarazzina, e mi getta le braccia al collo. Fuori dalla finestra il prato all'inglese freme sotto una leggera brezza, baciato dal sole. Secchielli e macchinine sono di nuovo disseminati vicino alla casetta in legno, dove Fido dorme beato. Chiudo gli occhi mentre affondo la mano nei ricci vaporosi, aspettando il contatto sublime con le sue labbra...
Sì... tutto questo forse in un universo parallelo, a proposito di particelle quantistiche... Il futuro del me stesso che sta scrivendo questo racconto ha preso tutt'altra direzione. Ecco come andò.

Il monitor era passato in stand-by, e io lo fissavo, il mento appoggiato sulle mani a coppa. Vabbeh, era stupido avvilirsi. Cosa speravo? D'accordo sull'onnipresenza della Rete che tutto permea e ingloba, ma non sapevo né il nome, né il cognome, né la località, né l'anno, né un cavolo di scritta per risalire alla società dei pullman, boh, una targa... cosa potevo cercare: “ragazza riccia rossa occhi azzurri pullman gita ginnasio”?!
Era troppo anche per Internet. Non c'era social network che tenesse. Anzi, rasentavo la follia.
D'improvviso scattai come quella volta al finestrino e anche io mi illuminai per un'idea.
Scorrevo freneticamente la rubrica. Chissà se avevo il numero. Dopo il liceo ci eravamo persi, era passata una vita. Una di quelle mini-vite che ci fanno avanzare a piccoli passi verso la saggezza. Sì, ce l'avevo! Sul display una freccia lampeggiava in direzione di “Viggiani”.
“Ciao Viggia...”, qualche convenevole d'obbligo, finché: “ Ti ricordi per caso quella ragazza che ci indicava dall'altro pullman, in gita, al liceo? Al ginnasio forse... ci ripensavo: che eravamo fermi nel parcheggio e lei ci ha indicato... non è che ti ricordi un particolare, la targa del pullman, di che scuola era, boh... è assurdo lo so, ma giusto così... provo a ravanare su facebook... dove eravamo poi?”
Silenzio, solo un lieve fruscio.
“A Taormina, in quarta ginnasio”. La risposta rimase come sospesa.
Di nuovo silenzio. Iniziava a salirmi un po' di imbarazzo. Sentii Viggia sorridere.
“Ma fai davvero?”, mi disse.
Cazzo. Sbarrai gli occhi. Non era possibile. Che figura! Ritiro tutto quello che ho detto sulla memoria: alla soglia dei quaranta inizia a fare cilecca. Era sua moglie. La ragazza rossa.
“Te la passo?”, adesso Viggia rideva sguaiatamente.
“No, no, dai...”, ridevamo come due cretini. Io di sicuro più cretino di lui.

lunedì 17 dicembre 2012

Eseguibile umanizzante

Bionilos-8, Nebulosa dello Scorpione, anno 2062
Postazione completamente automatizzata.
Tempo trascorso dall'inizio delle attività: 75x10²³ secondi
Unità impiegate: 20.000

Inserì il disco. Il programma entrò in circolo e riavviò il sistema.
Le prime memorizzazioni erano dei .jpg e consistevano nell'interazione con l'ambiente circostante: i fumi sulfurei che salivano verso la torre della fornace/il tramonto violaceo delle due lune/gli altri robot in fila indiana, che trasportavano un metro cubo di lamiera carboniosa per uno.
Anche questa volta erano le stesse, ma immerse in una coscienza mai sperimentata.
UT-37 stese l'arto superiore destro parallelamente al terreno e lo mise a fuoco nel suo sistema ottico. Come nei miliardi di .log precedenti, righe e righe di codice intasarono il file .txt con misure, indici, pesi, lunghezze, variabili ed equazioni. Le fotocamere binoculari ricalcolavano in loop il focus, in preda a un input errato, finché la visione del suo braccio venne catalogata come percezione sensoriale.
Senza accorgersene era finito sulla rotta di un'unità pressatrice, appena uscita dal rimessaggio n.20.
“C_I_A_O” - 011001010110 - . UT-37 elaborò l'algoritmo sonoro e i cluster dei suoi 300 terabyte di ram si accesero di .jpg e .bmp: raffiguravano esseri umani di ambo i sessi che agitavano la mano, alcuni avvicinandosi, altri allontanandosi, altri ancora sorridendo.
La pressatrice virò di 90° e tracciò un nuovo percorso verso la fornace, continuando ad avanzare minacciosamente sui crateri argillosi.
Le sue quaranta tonnellate sbriciolavano qualsiasi cosa ne intralciasse il percorso. UT-37 si spaventò alla vista del gigantesco rostro d'acciaio: immaginò di finire sotto quei cingoli, stritolato in un gracchiare di fibre di carbonio, transistor e cablaggi. Il led luminoso tra le sue videocamere oculari lampeggiò all'impazzata. Il cilindro metallico che gli faceva da tronco vibrò leggermente, la scheda audio generò un si bemolle.
Con un insolito piegamento dei filamenti metallici degli arti inferiori, saltò nel possibile punto di collisione col maestoso mammut metallico. La pressatrice si arrestò di colpo, i tubi di scarico sbuffarono torbide nuvole di idrocarburi dalle cromature traforate; il pesante coperchio sul tetto scattò, sollevando nugoli di polvere ocra e l'androide UG-171 ne schizzò fuori come una saetta, tenendo il visore puntato su quell'anomalia di sistema. Il brain-software dell'unità UT-37 registrò una veemente interazione di rimprovero.
“101... 001... 11110... tilt... TILT... Voglio_guidare_IO”. UT-37 salì la scaletta metallica, si issò fino alla botola, disattivò l'androide con l'apposito pulsante e lo sostituì alla guida del mastodonte. Premette a fondo il pedale del gas: il motore urlò, gli scarichi sputarono fiamme e fuliggine. Le sei coppie di ruote motrici straziarono il terriccio grigiastro e il mostro si fiondò in avanti sotto la spinta di 10.000 cavalli. UT-37 sorrise, in preda a una febbricitante esaltazione che saliva al salire dei giri motore. Il fulmineo incremento del valore spazio-fratto-tempo overcloccava la sua cpu. Travolse una collinetta di pneumatici, lanciandone in aria una manciata e facendosi scappare un'inedita combinazione di suoni: “Yu-huuu!!!”.
La sirena iniziò sinistramente a fischiare allarmi rosso-lampeggianti.
UT-37 salvò il software che stava testando col nome “Al cospetto degli Dei”. Incise la sessione su disco, lo espulse dalla fessura della bocca e si affrettò a nasconderlo nel vano retrattile della gamba.
Tornò così ad essere l'inanimato robot-trasportatore della linea n. 37, una motrice in perenne movimento su un binario, fra le migliaia di unità trasportatrici che si intersecavano, e sempre si sarebbero intersecate, sull'asteroide-miniera Bionilos-8.

venerdì 14 dicembre 2012

La caccia

Venti miglia a sud-est dell'isola di Tortuga, lungo una rotta poco battuta dalle navi mercantili, c'è una lussureggiante isoletta che i bucanieri di tutto il mondo hanno eletto a loro covo. Decine di velieri vi salpano coi cannoni scalpitanti per farvi poi ritorno con le stive ricolme di spezie e preziosi, prima di riprendere il mare per dileguarsi chissà dove.
E' un atollo di fine sabbia bianca. Girandolo a piedi, lo si può esplorare comodamente in meno d'un paio d'ore. Lo so per esperienza personale. Anch'io sono un pirata e in questo momento mi trovo proprio nel luogo che sto descrivendo: l'Isola della Scimmia.
Scrivo queste memorie all'ombra di una palma, non lontano dalla battigia.
Ho passato qui molto più tempo che in qualunque altro posto. E' strano: dopo un'esistenza nomade, per mare, quest'isola potrei quasi chiamarla casa. Al pensiero sorrido, mentre mi godo il riverbero sull'acqua cristallina. Una fresca brezza sussurra lieve, scompigliandomi i lunghi capelli bianchi. Eggià, questo posto merita proprio una bella descrizione. Ha avuto una parte importante nella mia vita e ne avrà una altrettanto importante in questo documento che tramanderò ai posteri.
Si chiama così, Isola della Scimmia, per via del monte che si erge pressoché al centro.
E' un vulcano inattivo ormai da molti anni: nella parete che guarda a ovest sembra esserci scolpito un muso di scimmia con la bocca aperta.
Vista dall'alto l'isola sembra un bersaglio su sfondo blu: quattro cerchi concentrici alternati, marroncini e verdi, col vulcano che fa da centro. Mare, cerchio-sabbia, cerchio-palme, cerchio-sabbia e ancora palme.
“E tu come fai a saperlo?”, vi chiederete...
Me l'ha raccontato John, un vecchio lupo di mare che una volta è atterrato qui con un pallone, di quelli che volano. Non era molto pratico di atterraggi ed è caracollato dritto nella bocca del vulcano; per fortuna era spento.
Per piccola che è, ci scorre pure un fiumiciattolo. Niente di che, si può guadare in qualsiasi punto del suo tragitto. L'acqua arriva a malapena al ginocchio e la corrente non trascina via nemmeno le raganelle, che qui sono tantissime. Sono grandi quanto una moneta d'oro, di un verde chiaro e scintillante, con chiazze rosse. Anche gli occhi sono rossi, tondi e sporgenti.
Oltre a queste ranocchiette la fauna dell'isola comprende una decina di capre (scaricate da un veliero portoghese due anni fa, io c'ero), pappagalli e conigli.
Posso immaginarli, dietro quei cespugli laggiù, i conigli. Li ho osservati spesso. Prima non avevo idea di come si comportassero allo stato brado. Ne ho mangiati tanti, ma ero abituato a vederli in gabbia, pronti per essere cucinati. Invece si rincorrono e giocano come fanno i gatti, come loro oziano o dormono stesi al sole. A differenza dei gatti non li ho mai visti litigare, però. E in più scavano. Scavano buche. Disseminate per l'isola ce ne sono di ogni dimensione, come tanti crateri. Avranno costruito una cattedrale sotterranea di gallerie, ogni tanto un musetto sbuca fuori da qualche parte. Ogni tanto vanno a curiosare nelle anguste grotte alle pendici del vulcano e finiscono sugli spiedi di qualche pirata che vi si nasconde.


Forse mi sono sbagliato, non era il nostro chalet?
Pensavo di aver visto il fumo dal comignolo, dopo la discesa di poco fa. Cominciava a salirmi il nervoso: lo sapevo che sarebbe finita così. Sono sempre stato impedito per le strade, e avevo pensato bene di tornarmene indietro da solo. In un bosco per giunta. Avevo superato me stesso: oltre l'asfalto... Tutta colpa delle frecciate di Alessandro. Stavo quasi per sbottare. Non volevo rovinare la festa a tutti, ma non sopporto quelle situazioni. Incasso, incasso... come fanno quelli troppo buoni, o i coglioni secondo alcuni, finché poi non esplodono. Io non esplodevo mai e non volevo cominciare proprio adesso. Proprio durante la settimana di vacanza tutti assieme.
Mi sfuggì un sorriso mentre camminavo a testa bassa. Le foglie secche scricchiolavano sotto le scarpe da ginnastica. Erano due ore che giravo. Sarei dovuto tornare in venti minuti.
Vabbeh, fanculo tutti adesso e pensiamo a tornare, che inizia anche a far freddo.
Non avevo nemmeno una pila, non credevo mi sarebbe servita: eravamo partiti alle due del pomeriggio e saremmo arrivati all'altro rifugio alle quattro e visto che inizia a far buio alle cinque... ecco, giusto a quest'ora...
Grazie al mio colpo di testa mi ritrovavo senza torcia e senza nemmeno il giaccone pesante; non l'avevo preso perché da programma saremmo rimasti a dormire nell'altro rifugio e saremmo ripartiti il giorno dopo, nel primo pomeriggio, con un discreto caldo quindi.
Alzai lo sguardo al bubolare di un gufo, credo, lassù fra le chiome dei faggi. Non vedevo nemmeno più il sentiero. A stento distinguevo i segni di vernice rossa sulle cortecce.
Li vidi tutti e otto davanti al fuoco, con le brioche, le cioccolate e le grappe, e Alessandro che si pavoneggiava come al solito. Di sicuro mi prendeva per il culo, davanti agli altri. E gli altri ridevano. No, non tutti magari. Francesca, forse no. No, lei non è cretina come lui. Vabbeh che le persone non si conoscono mai fino in fondo, ma era sempre stata carina con me.
T'immagini quei due stanno insieme...?? No, Francesca con Alessandro mai...
Niente. La strada non è questa. Nessuna casa in vista. Che poi io volevo andare al mare, avevo proposto la Sardegna. Ma Alessandro, sempre lui, ti pareva, il figo di ogni situazione, aveva dirottato tutti verso la montagna. “I miei hanno un casa lassù. La affittano ma adesso non c'è nessuno. C'è il frigo pieno: vitto e alloggio a scrocco, eh? Che figata, andiamo dai!”. E tutte le ochette in coro: “Sììì!!!”. Certo. Ma vaffanculo Alessandro. Una volta di più!
Mi fermai a riprendere fiato. L'alito diventava fumo, il respiro affannoso era una nota inquietante nel silenzio più assoluto.
Feci un giro su me stesso, per fare il punto della situazione. Era presto detto: mi ero perso, era scesa la notte e sentivo davvero freddo. Bravo Marco, complimenti! Hai vinto la medaglia per il miglior boy-scout!
Il buio paralizzava tutto, annullava ogni differenza: era come se il bosco mi dicesse di fermarmi, che ormai non c'era più nessun posto dove andare.
All'improvviso una fessura luminosa si aprì a mezz'aria ad una ventina di metri da me.
Potrà sembrare assurdo ma andai verso di lei; nonostante la paura era l'unica direzione possibile.

Il moto della risacca fu interrotto dall'apparizione del portale. Le onde si increspavano frustate dalle sfrigolanti scariche elettriche. Dopo qualche secondo la voragine sputò un uomo in mare e poi sparì nel nulla, così come era apparsa.
Il pirata scattò in piedi e sguainò la sciabola.
Un ragazzo emerse trafelato dall'acqua e si lasciò cadere sulla sabbia, tossendo e ansimando.
Rimase immobile, pancia all'aria, braccia e gambe aperte, esausto.
Chi è là?!”, gli gridò in inglese il pirata avvicinandosi minaccioso. Per fortuna Marco aveva studiato l'inglese sia alle medie che alle superiori.
Uò uooo... fermo fermo... non faccio niente”, si affrettò a farfugliare il giovane, tenendo lo sguardo fisso sulla lama scintillante.
Ero nel bosco, ho visto una luce e sono finito qui. Non ho armi, vedi...”, spiegò rovesciando a terra il contenuto dello zaino e alzando le mani in segno di resa.
I due scrutavano con ugual diffidenza i rispettivi abbigliamenti, in piedi uno di fronte all'altro.

Gli strumenti segnalano un insolito campo magnetico dritto a prua, signore. Tempo stimato di contatto: sette parsec!”, esclamò l'ufficiale navigatore voltandosi di scatto.
Il capitano, impettito davanti alla vetrata, oltre la plancia di navigazione, a quelle parole trasalì.
Di che si tratta, un buco nero?”, chiese in preda all'agitazione.
Non so dirle cosa sia, signore... è comparso dal nulla”, rispose l'ufficiale in tono concitato.
Virare di quindici grenmar verso destra, subito!”, gridò il comandante.
Ci sta risucchiando, la nave non risponde, non riesco a girare!”, vociò l'ufficiale.
Un immenso occhio fiammeggiante si stagliò dinnanzi a loro nello spazio profondo.
La navicella lo investì in pieno ed entrambi si dissolsero come nell'esplosione di una supernova.

Chi sei? Da dove vieni?”, chiese il pirata spaventato.
Mi chiamo Marco. Ero in un bosco, è incredibile, ho attraversato una luce e mi sono ritrovato qui. Dove diavolo siamo?”
Questa è l'Isola della Scimmia, rifugio di pirati. Io sono Jake”
Pirati...”, bisbigliò Marco fra sé e sé. “Scusa... ma in che anno siamo?”
Jake lo guardava incredulo.
In che anno siamo?!”, insistette Marco.
Che dici? Sei pazzo? Siamo nell'anno di grazia millesettecentoventiquattro”
Cosa?!”, disse Marco attonito. “Cazzo...”, farfugliò guardandosi attorno. Poi si mise a frugare nello zaino, tirando fuori tutto ed elencando ad alta voce: “Panino, acqua, cellulare, coperta, eschimo...”
Jake osservava curioso gli strani oggetti.
Cazzo!”, gridò Marco. Il pirata fece un balzo all'indietro e gli puntò la sciabola.
No, no..., non a te! Non ho nemmeno un'arma tra queste cianfrusaglie, tu almeno hai la spada...”
Jake si avvicinò e raccolse il cellulare. Rimase imbambolato cercando di capire cosa fosse, rigirandolo fra le mani, puntandolo per aria e sbirciandolo da diverse angolazioni.
E' un telefono... guarda...”, Marco glielo prese di mano e lo accese.
Alla melodia d'apertura l'altro piantò sul ragazzo uno sguardo terrorizzato.
Serve alle persone per parlare tra loro”, spiegò Marco, “solo che qui non c'è campo...”, continuò deluso fissando il display.
C'è la sabbia, non va bene?... Dì la verità: tu non sei di questa terra, da dove vieni?”, chiese Jake ormai più meravigliato che spaventato.
Non da dove, ma da quando piuttosto...”, rispose Marco sorridendo. “Sono un uomo proprio come te, solo che vengo dal duemiladodici.”
Il pirata ripose la sciabola nella fusciacca e si accovacciò a esaminare lo zaino e i vari oggetti sulla sabbia. Toccava con diffidenza i tessuti estranei dello zaino e dell'eschimo.
Riconobbe nel panino qualcosa di familiare, lo annusò brevemente e sorrise.
Lo stesso accadde con la bottiglia d'acqua, anche se fece un po' fatica a capire come si svitava il tappo e come facesse quello strano vetro a piegarsi così premendolo con le dita.
D'un tratto alzarono tutti e due gli occhi al cielo, richiamati dal sibilo acuto di qualcosa che precipita dall'alto. Dopo un tonfo sordo, dal teschio della Scimmia iniziò a levarsi un rivolo di fumo azzurrognolo.

Il tenente Sennar aprì gli occhi faticosamente.
Capitano Liar!”, chiamò a gran voce. Si mise a sedere con movimenti lenti e misurati. Le quattro gambe erano coperte di sangue, tagli ed ematomi; gli facevano un male cane, ma per fortuna non c'era niente di rotto.
Capitano Liar!”, ripeté cercando di urlare più forte, ma per lo sforzo una fitta lo pugnalò all'addome, afflosciando la corta proboscide in un gorgoglio strozzato.
Tra i rottami sparsi tutt' intorno, Sennar raccolse un lembo di uniforme logoro e bruciacchiato.
Capitano...”, sussurrò esaminando quell'habitat inconsueto.
D'un tratto ebbe una folgorazione e si portò le mani al volto. Il casco era andato in frantumi.
Fece alcuni respiri lunghi e profondi. Era strano. Strinse in un pugno una manciata di quel terriccio biancastro, granuloso e finissimo. Mentre gli scivolava via dalle tre dita, guardava il cielo di quello strano colore e si sentiva invaso dall' inquietudine e dalla diffidenza.
Guardando il cielo di quello strano colore si sentiva sempre di più invaso da un senso di inquietudine e diffidenza.

Non poteva essere un aereo...”, rifletté Marco ad alta voce.
Cos'è un... a-e... ro?”, chiese Jake.
E' un veicolo volante che trasporta persone e cose. Ma non è stato ancora inventato, è troppo presto, non può trattarsi di un aeroplano”
Ah... vuoi dire un pallone? Quelli attaccati a una cesta, che volano...”, fece Jake.
Marco rimase perplesso. “Una mongolfiera...? Ma quella è stata inventata nel millesettecentottantatré, mi ricordo bene... non puoi averla vista... mi sa che qui succedono cose strane...”
Ah sì, di cose strane ne succedono eccome da queste parti... molte navi spariscono e non se ne sa più nulla”, sussurrò Jake pensieroso.
Andiamo a dare un'occhiata!”, esclamò poi di slancio il pirata brandendo la spada.
Aspetta!”, Marco cercò d'istinto di fermarlo ma Jake continuava a correre.
Pluf!”. Qualcosa era precipitato in mare poco distante dalla riva, da grande altezza a giudicare dal tonfo e dagli spruzzi sollevati.
Jake si fermò e si voltò in cerca di Marco. Entrambi nuotarono fino al punto dell'impatto, Jake si tuffò e ricomparve dopo qualche istante con una bottiglia in mano. Dentro c'era un pezzo di carta.

Sennar si girò di scatto. Una pietra rotolò giù da un cumulo di rocce e detriti, poco lontano. Una mano blu spuntò da sotto la sabbia. Con un urlo di rabbia e dolore, Liar emerse fra i resti carbonizzati della navetta. Era ferito e imbrattato di fuliggine, con l'uniforme a brandelli.
Sta bene Sennar? Non credo fosse un buco nero tenente...”
No, non lo era capitano. Anche se non mi era mai successa una cosa simile.”
Si misero in piedi a fatica, doloranti.
Guardi laggiù capitano!”, gridò Sennar indicando una strana roccia a forma di teschio, sul versante di una montagna. Dalla grotta che faceva da occhio si irradiava un cono di luce, la cui base si estendeva come a formare uno schermo. Una scritta a lettere cubitali rosse prese a scorrervi, poi un'altra e un'altra ancora. In tutto erano una ventina di frasi che si susseguivano continuamente, nel loro idioma, il lingor.

Era scritto in inglese. Marco leggeva a voce alta, Jake ascoltava assorto e preoccupato.
L'isola su cui vi trovate è il terreno di gioco. Ogni concorrente può disporne nei modi che riterrà più opportuni.
Lo scopo di ogni concorrente è sfuggire alla cattura e all'uccisione.
La caccia terminerà domani al calar del sole: gli eventuali sopravvissuti saranno ricondotti nei rispettivi mondi ed epoche di appartenenza.”
Marco sorrise incredulo, passando il foglio a Jake. Il pirata lo osservava sospettoso, girandolo anche sul retro per controllare che non ci fosse dell'altro.
Qualcosa si mosse in un cespuglio alle loro spalle.
Chi c'è?”, gridarono in coro il pirata e il ragazzo, l'uno in inglese, l'altro in italiano.
Una figura inquietante uscì con calma dalla boscaglia. Aveva sembianze umane, ma sembrava di metallo liquido, di un grigio abbagliante sotto i raggi del sole. Due fiammelle gialle gli si accesero al posto degli occhi e prese ad avanzare verso i due.
Sarà anche lui un prigioniero o è un cacciatore?”, chiese Marco a Jake.
Sei un amico o un nemico?”, urlò il pirata alla strana creatura che si stava avvicinando. Quella non rispose ma dal braccio si materializzò una lunga lama, di quello stesso fulgido materiale, come se si stirasse un cordoncino da una pallina di pongo.
Jake non perse tempo e per tutta risposta pescò una rivoltella da sotto la camicia.
E quella da dove sbuca? Non gliel'avevo vista...”, pensò Marco.
La nuvola di polvere si diradava stancamente nella debole eco dello sparo.
Quando la visuale fu di nuovo libera, constatarono con grande delusione che quell'essere aveva continuato ad avvicinarsi come se niente fosse.
Ci vorrebbe una bella semiautomatica, un bel calibro nove o una quarantacinque...”, pensò Marco mentre Jake infilava la rivoltella nella fusciacca. Evidentemente non aveva altre munizioni e comunque sia ci sarebbe voluta una vita con quell'anticaglia ad avancarica...
Marco non osava far nulla.
Va bene allora...”, sentì Jake bisbigliare.
No, Jake, vieni via! Scappiamo!”, urlò all'amico che invece, come aveva intuito, era corso all'attacco.
La sciabola si infranse contro la lama di quell'essere, spezzandosi in tre pezzi; Jake rimase basito a fissarne l'elsa.
L'argenteo cacciatore lo trapassò con gesto fulmineo.
Nooo!!!”, urlò Marco correndo in suo aiuto. Se Jake non si fosse buttato a destra gli avrebbe trafitto il cuore; l'indomito filibustiere indietreggiava velocemente, tenendosi la spalla sinistra.
L'alieno lo incalzava con affondi e fendenti, Jake poteva solo schivare e perdeva molto sangue dalla ferita.
E' spacciato! Prima o poi verrà colpito o perderà i sensi per l'emorragia.”, pensava Marco rovistando disperatamente nello zaino.
Jake indietreggiando inciampò su una roccia e cadde supino. L'alieno stava per infilzarlo quando un cellulare lo colpì in pieno viso.
Beccati questo, stronzo! Perché non vieni qui?”, berciò Marco.
Il mostro rimase immobile qualche secondo, poi alzò di nuovo la lama per calarla su Jake.
Il pirata gridò con quanto fiato aveva in gola, paralizzato dal terrore: alle spalle dell'ignaro cacciatore si ergeva una sagoma blu alta quasi tre metri.
La corporatura ricordava quella di un gorilla, ma la pelle era squamosa. Indossava un'uniforme bianca di tessuto elasticizzato. Sul torace erano impressi dei simboli gialli e rossi: Marco ripensò ai gradi sulla mimetica da militare.
Aveva quattro gambe e quattro braccia, tozze e muscolose. La testa somigliava a quella di un elefante, per la forma delle orecchie e per la piccola protuberanza che sporgeva dal centro. Aveva un solo occhio ellittico, rosso scuro e con l'iride verde.
Jake chiuse gli occhi, seguì un boato di lamiere accartocciate: Il gorilla blu con un potente sganassone scaraventò il cacciatore contro il tronco di una palma. L'essere d'argento ricadde sulla sabbia a peso morto e la sua protuberanza spadiforme si riassorbì fino a scomparire.

Le nuvole all'orizzonte si tingevano di rosa, il disco arancione del sole scendeva dietro il vulcano. Alla luce del crepuscolo il teschio della Scimmia, là in alto, diventava lugubre e sinistro.
Jake si mise in piedi, dolorante. Osservava il suo salvatore senza paura. Marco nel frattempo gli era corso incontro.

Il gigante blu premette un bottone sul collare dell'armatura e iniziò a parlare.
Salve, terrestre. Mi esprimerò prima nella tua lingua, poi tradurrò per il tuo amico.”, disse rivolto a Marco. “Mi chiamo Sennar, luogotenente di vascello al comando del capitano Liar.”, e così dicendo indicò un punto della boscaglia da cui emerse velocemente un'altra creatura identica a lui.
Siamo abitanti del pianeta Aireon, nella nebulosa Quizar, a ottanta anni luce dal pianeta che voi terrestri chiamate Mercurio”, continuò, “stavamo rientrando da una spedizione commerciale, quando un campo di forza sconosciuto ci ha teletrasportati qui, facendoci schiantare.”
Sennar fece una pausa, premette di nuovo il bottone sul collare e spiegò tutto anche a Jake, in inglese.
...Spedizione commerciale... di cosa vi occupate, cosa trasportate?”, domandò Marco alla fine della traduzione.
Coltiviamo e trasportiamo Grinolia, una pianta che cresce sul nostro pianeta, di cui ci nutriamo e che utilizziamo per oggetti d'arredamento, vestiti, utensili e profumi. Aspettate un attimo...”, Sennar si diresse verso il cacciatore che giaceva ancora riverso a terra. Lo afferrò con le quattro braccia e lo sollevò sopra la testa. Tirò con tutta la forza finché non lo squartò in due e non sprizzarono scintille miste a un liquido arancione oleoso. Quindi lanciò in mare i due monconi.
Meglio essere sicuri.”, disse ritornando dagli altri.
Avete letto anche voi il messaggio?”, chiese Liar.
Diceva che ci danno la caccia per ucciderci e che se sopravviveremo ci riporteranno al nostro mondo”, spiegò Marco, “ne parlavano come di un gioco, ci hanno chiamati concorrenti.”, disse con disprezzo.
Il gioco finisce domani al tramonto, giusto?”, domandò Sennar.
Marco e Jake annuirono. I due alieni si prendevano sempre il disturbo di tradurre tutto anche in inglese.
Anche noi abbiamo avuto lo stesso messaggio”, esclamò Liar. “Devono essere molto evoluti se sono stati in grado di radunarci qui da mondi diversi...”
E da epoche diverse...”, precisò Jake sospirando e tenendo una mano premuta sulla spalla.
Tutto l'equipaggiamento di Sennar e Liar, armi comprese, era andato perduto nello schianto; con la loro strumentazione medica avrebbero potuto curargli la ferita in pochi secondi.
Marco tagliò con la sciabola un pezzo della sua coperta e improvvisò una fasciatura. Gli diede anche da finire il panino e la bottiglia d'acqua che si era portato dietro.
Sta facendo buio”, disse Sennar, “dobbiamo trovare un posto dove nasconderci e passare la notte.”
L'hai fatto fuori in quattro e quattr'otto!”, rise Marco rivolto a Sennar.
Solo perchè l'ho preso alle spalle, di sorpresa. Non sappiamo quanti sono e quali armi hanno...”
Neanche ebbe finito di parlare che dalla boscaglia sbucarono altri cinque cacciatori. Tutti e cinque allungarono il dito indice a formare quella specie di spada.
Voi due scappate, a questi ci pensiamo noi.”, gridarono Sennar e Liar partendo alla carica.
Marco non se lo fece ripete e trascinò Jake verso le palme più velocemente che poté. Ogni tanto si voltava e gli arrivavano brevi squarci di battaglia: fragore di metallo che cozzava, urla concitate e il grido di battaglia dei loro compagni blu, simile al barrito di un elefante. Sennar con un calcio ne fece volare uno per una decina di metri. Liar schivò un fendente e con un gancio poderoso, ad un altro mandò quasi in frantumi il volto. Le lame argentee balenavano nella luce fioca del crepuscolo, i corpi possenti di Sennar e Liar guizzavano rapidi assestando calci e pugni.
Un raggio rosso gli passò il torace da parte a parte e Sennar proruppe in un grido agghiacciante. Le cime delle palme lambite da quel raggio si sgretolarono, e la cenere si perse nel venticello della sera. Marco e Jake si voltarono e restarono a guardare. Sennar era a terra, non dava segni di vita. Liar aveva afferrato per il collo uno dei nemici, ma un altro alle sue spalle l'aveva decapitato con quel nuovo raggio. La testa rotolò accanto al corpo del compagno, in una pozza di liquido verde.
I cacciatori fecero capannello sopra i due alieni. Fu tutto un vibrare di lame e un balenare di raggi, pezzi di carne e budella che sprizzavano qua e là.
Marco terrorizzato continuò a fuggire, strattonando senza riguardi il povero Jake. Entrarono nella boscaglia. Si era fatto buio. In lontananza i carnefici non avevano ancora finito di divertirsi con le loro vittime.
Fermo, fermo!”, rantolò Jake. “Non ce la faccio.”
Marco lanciò un'occhiata alla spalla del pirata. La benda era inzuppata, il sangue colava sulla camicia e sui pantaloni.
Lasciami qui e fuggi. Per me è finita.”, sussurrò Jake guardandolo negli occhi.
Marco sentì le lacrime inumidirgli le guance. Sapeva che aveva ragione, per lui non c'era scampo, ma il pensiero di abbandonarlo gli rivoltava lo stomaco. Pensò alla fine di Sennar e Liar e si sentì mancare. Non poteva lasciarlo a quella sorte. Ma cosa poteva fare? Non aveva armi, l'avrebbero ucciso in due secondi, sarebbero comunque morti tutti e due.
Ehi... pst!”, qualcuno bisbigliò alle loro spalle.
Jake aveva perso conoscenza. Marco si voltò in direzione del sibilo.
Ehi tu, ragazzo... vieni qui”, sussurrò la voce.
Marco strizzava gli occhi per bucare l'oscurità, sempre più fitta e fissava i cespugli bassi.
Con un lieve fruscio, un viso beffardo comparve fra gli arbusti e lo chiamò con più decisione.
Marco lo raggiunse dietro le fratte. Era un ragazzo all'incirca della sua età, scuro di pelle, dai capelli lunghi e mossi. Indossava solo dei jeans stracciati, era scalzo e a torso nudo.
Io sono Giulio”, disse lo sconosciuto senza guardarlo in faccia, continuando a tenere la situazione sotto controllo dal suo nascondiglio. Da lì si vedevano Jake, steso a terra immobile, e più lontani i cinque cacciatori. Avevano smesso di infierire sui cadaveri. Qualcuno girava attorno ai resti, qualcun altro si guardava in giro, in cerca della prossima preda. Due di loro avvistarono il pirata che giaceva inerte e si mossero verso di lui.
Marco ebbe un fremito e fece per uscire allo scoperto, ma Giulio lo bloccò afferrandogli il braccio. Aveva una forza spropositata.
Lo prenderanno, lo uccideranno!”, esclamò Marco cercando di non gridare.
Lascia che vengano”, disse Giulio sorridendo leggermente, mentre una luce sinistra gli attraversava gli occhi neri e penetranti.
Marco fece per dire qualcosa ma le parole si strozzarono in gola. Giulio indicò il cielo, facendo l'occhiolino. La luna piena irradiava il suo bagliore sul teschio di Scimmia.
Due cacciatori erano quasi arrivati a Jake. La prendevano con calma, il poveretto non era nelle condizioni di nuocere, né tanto meno di scappare. Speravano che fosse ancora vivo, per non perdersi il divertimento.
Bene, sono solo in due. Perfetto!”, disse Giulio, “così ce la posso fare”
Fare cosa?”, chiese Marco sempre più confuso.
Ora vedrai... si cambia gioco”, sorrise Giulio. “Tu rimani nascosto qui”. In men che non si dica schizzò fuori dai cespugli e corse verso i due mostri.
La sua rapidità era sovrumana. Marco vide la sua schiena gonfiarsi e deformarsi, finchè tutto il corpo esplose in una massa scura e pelosa. Un poderoso ululato scosse l'isola. Stormi d'uccelli neri si levarono in volo dagli alberi circostanti. Quel gigantesco lupo atterrò i cacciatori con una zampata. Gli artigli strappavano brandelli di tessuto metallico, fiotti arancioni zampillarono scintillando.
Caricatosi Jake in spalla, il licantropo si lanciò sul cespuglio dove Marco stava acquattato, raccolse su anche lui e si precipitò nel bosco. Correva su due zampe ad una velocità impressionante. A Marco sembrava di sfrecciare col suo due tempi da cross. Dalle spalle del lupo constatò con piacere che nessuno degli altri tre cacciatori si era accorto di nulla. L'attacco era stato una fucilata.
All'improvviso Giulio scartò a sinistra e s'intrufolò in una grotta nascosta dai cespugli.
Depose delicatamente a terra Marco e Jake, riassumendo le sembianza umane.
Sei un lupo mannaro”, fece Marco. Giulio annuì. Non sembrava vergognarsi affatto di essere nudo come un verme.
Sono nato così. Con gli anni ho imparato a padroneggiare questa abilità. Ho bisogno della luna piena per trasformarmi in lupo, ma posso ridiventare umano quando voglio. Così è molto più comodo”.
Si, decisamente!”, sorrise Marco, “grazie per averci salvati. A proposito, io sono Marco e lui è Jake”.
Se non avessero quei laser potrei affrontarli a viso aperto. Peccato per i due gorilla blu, non se la cavavano male. Grazie al loro sacrificio ho visto quel raggio, altrimenti avrebbero ucciso anche me in pochi secondi”, sospirò Giulio.
Adesso che facciamo?”, pronunciò Jake, con un filo di voce. Aveva riaperto gli occhi.
Sei vivo!”, esclamò Marco. Jake sorrise.
Intanto direi di restare nascosti, per stanotte. Ci riposiamo e mangiamo. Ho preso due conigli”, disse Giulio.
Io ho un accendino”, propose Marco tirandolo fuori dallo zaino, “possiamo cuocerli.”
Buona idea, vado a prendere dei rami”, fece Giulio uscendo.
Se ci trovano qui è finita. Loro sono in tre e noi di tre non ne facciamo uno, con quel raggio ci fanno fuori all'istante”, mormorò Jake.
Marco rimase in silenzio. Non aveva argomenti con cui controbattere. Si sentiva inferiore e inutile. Inferiore a Giulio e incapace di aiutare l'amico ferito.
Ecco.”, Giulio rientrò con una fascina di arbusti. Scuoiarono un coniglio col pugnale che Jake teneva nello stivale e lo arrostirono alla bell'e meglio.
Quindi anche voi siete qui da ieri e anche voi avete avuto lo stesso messaggio”, bofonchiò Giulio masticando, rivolto ai due.
Jake e Marco si guardarono e annuirono.
Perché sei nudo, non hai vestiti?”, chiese Jake.
Come...? Non mi hai visto...? Ah... allora eri svenuto... ti sei perso lo spettacolo”, rispose Giulio.
Quando lo ragguagliarono sull'accaduto il pirata pensò che lo stessero prendendo in giro, ma Giulio gli diede subito una dimostrazione. Mancò poco che Jake non svenisse un'altra volta.

Cadeva una leggera pioggerella e nessuno dei tre dormiva. Giulio era di guardia, anche perché era l'unico in grado di affrontare i cacciatori, nel caso li avessero scoperti. Le condizioni di Jake peggioravano di ora in ora: aveva perso molto sangue e gli spifferi gelidi che si intrufolavano nella grotta non aiutavano di certo. Marco vegliava l'amico agonizzante e non riusciva a togliersi un'idea dalla testa. Osservava l'andirivieni di Giulio che si assentava qualche minuto a esplorare i dintorni e ricompariva poi sull'uscio della caverna, per assicurarsi che fosse tutto a posto.
Giulio, devo parlarti, vieni un attimo”, lo chiamò Marco una volta che stava per andare in perlustrazione.
Giulio si avvicinò, esaminando con preoccupazione il respiro affannoso di Jake.
Noi non possiamo fare nulla. Se ci trovano siamo spacciati. Anche tu, da solo, non puoi fare molto. Hanno quel raggio e... chi ci dice che sono in tre? Se sono in dieci, in venti o in cento, boh?... Per quel che ne sappiamo...”, sussurrò Marco.
Allora...?”, chiese Giulio.
Ci ho pensato molto ed è l'unica cosa che mi è venuta in mente... magari è una cazzata, ma se rimaniamo così non credo che arriveremo a domani sera... Jake è messo male...”, continuò sperando che il pirata non lo sentisse.
Giulio non capiva dove volesse andare a parare.
Devi trasformarci. Così Jake almeno guarirà, no?”, chiese Marco.
E' vero... non ci avevo pensato. Eccome se guarirà!!!”, disse Giulio.
Se saremo forti quanto te potremo difenderci e vendere cara la pelle.”, disse Marco.
Ci sto. Trasformaci! Ormai sono spacciato, preferisco continuare a vivere da mezzo lupo che tirare le cuoia!”, li interruppe Jake che aveva sentito tutto.
Siete sicuri? Non è una bella vita... non è come nei film, è tutto più squallido, crudo e violento...”, disse Giulio
Cosa sono i film?”, chiese Jake.
Lascia stare, uomo preistorico...”, lo canzonò Giulio, “volevo solo dire che è una vita da incubo... da reietto, da fenomeno da baraccone, senza legami...”
Meglio così che sotto terra!”, sorrise Jake.
Esatto! Siamo pronti, facciamolo!”, disse Marco.
Giulio abbozzò appena la trasformazione, giusto per farsi spuntare gli artigli, e li graffiò entrambi.

La luna piena imbiancava la foresta col suo pallore.
I tre cacciatori giunsero alla caverna, incuriositi dalle grida provenienti dall'interno. Indugiarono qualche istante sull'entrata, scandagliando il buio coi fasci di luce che proiettavano dagli occhi, a mo' di fari. Illuminarono Jake rannicchiato a terra, infagottato sotto una coperta, che si contorceva in preda al dolore.
Uno di loro si fece avanti di qualche passo, allungando lo stiletto metallico e tenendo i fari puntati su Jake.
Nooo... non uccidetemi, pietà! Per l'amor del cielo, risparmiatemi!”, Jake urlava come un invasato.
Il cacciatore levò in alto la lama. La trappola era scattata. Due enormi lupi neri presero alle spalle i due rimasti più indietro. Li placcarono a terra schiacciandoli con tutto il peso del corpo e bloccandogli le braccia sotto le possenti zampe; poi, in men che non si dica, martellarono le teste di pugni finché non le ridussero ad ammassi informi di ferraglia oleosa.
L'ultimo si voltò a vedere cosa stesse succedendo. Jake scattò in piedi trasformato, gli prese la testa fra le zampe anteriori e gliela schiacciò riducendola a una lamina sottile. L'alieno metallico si accasciò al suolo con un tonfo sordo.

Un pallido sole irrorava la rugiada che ammantava la bassa distesa erbosa. Le palme sgocciolavano leggermente, il piumaggio variopinto di qualche pappagallo balenava tra le fronde, seguito dal suo gracchiare.
Jake, Marco e Giulio erano seduti in spiaggia, sulla battigia. Riacquistate le sembianze umane, erano nudi ed esausti, ma sorridenti. Al tramonto mancavano ancora diverse ore.
All'improvviso comparve lo stesso schermo del giorno prima, proiettato dall'occhio della Scimmia.
Tutti i cacciatori sono stati eliminati. Di conseguenza tutti i concorrenti sopravvissuti saranno rispediti nei rispettivi mondi e nelle rispettive epoche”.
Si guardarono negli occhi, sapendo bene tutti e tre che non si sarebbero più rivisti. Marco e Giulio si volatilizzarono e Jake rimase solo, nella sua isola.
Osservò il mare calmo, il cielo terso, il lieve ondeggiare delle palme, il vulcano con la faccia di scimmia. Niente sarebbe stato più come prima.

Marco scattò a sedere ansimando, col terrore di annegare.
Nel buio prese forma il faccione da schiaffi di Alessandro e una borraccia che pisciava acqua. Un coro di risate saliva sempre più distintamente da una nebbia d'ovatta.
Non aveva freddo, nonostante fosse nudo, in piena notte, steso su un mucchio di foglie secche e fradicie.
I ragazzi lo additavano e lo schernivano, le ragazze si tenevano in disparte imbarazzate, qualcuna sbirciava incuriosita.
Ma che hai combinato? Hai fatto un'orgia nel bosco? Sarai mica in una setta satanica...?”, vociò Alessandro.
Marco si alzò in piedi con calma. Si scrollò di dosso le foglie e il terriccio e si stiracchiò, guardandolo dritto negli occhi.
Il ghigno di Alessandro si trasformò in un sorriso ebete. Gli altri tacevano, immobili.
Marco era insolitamente sicuro di sé, non si preoccupava di coprirsi.
Vuoi vedere qualcosa di spaventoso?”, l'apostrofò Marco in segno di sfida.
Alessandro non rispose e distolse lo sguardo, un po' impaurito.
D'accordo. Apri gli occhi, fa bene attenzione”, esclamò Marco. Un lampo dorato gli balenò negli occhi, le fattezze e le dimensioni si deformarono.
Gli amici scappavano terrorizzati, gridando a pieni polmoni. Qualcuno inciampò e si ruzzolò tra le erbacce, qualcun'altro nello scompiglio si schiantò contro un albero. Quando si furono tutti dispersi e intorno non aveva più nessuno, Marco si ritrasformò e gridò: “Ci vediamo al rifugio! A dopo!”, e sorrise alzando gli occhi alla luna piena.

Lasciò seccato la scrivania al suono del campanello. I passi frettolosi rimbombavano nella casa deserta. L'ora era tarda, la visita sospetta.
Chi è?”, chiese Marco guardando dallo spioncino. Non c'era nessuno. Una volta avrebbe aperto con qualche esitazione e avrebbe fatto capolino circospetto, a poco a poco. Invece spalancò con decisione il portone in legno bianco, scese i tre scalini e si fermò nel giardino, guardandosi in giro.
Stava per tornare dentro quando si sentì avvinghiare al collo.
Grazie alla sua nuova forza non ebbe problemi a divincolarsi.
Non poteva credere ai propri occhi.
Giulio!”, esclamò.
Ciao Marco, alla fine ti ho trovato!”
Vedo, ma come hai fatto? Sapevi solo il mio nome... telepatia fra licantropi? Un nuovo potere?”
Il potere di facebook”, sorrise Giulio. “Ho messo il tuo nome e dopo due pagine è saltata fuori la tua foto. Pensa te: anche io abito qui, ci pensi? Nella stessa città... quante probabilità c'erano??”
Incredibile! Sull'isola c'erano alieni di altri mondi, c'era Jake che era di tre secoli fa... e noi invece siamo qui...”, disse Marco.
Stesso mondo, stessa epoca, stessa età e stessa città! Incredibile!”, rise Giulio.
Vieni entra, vieni vieni!”, lo invitò Marco con premura. “I miei sono usciti, sono da solo!”
Giulio si guardava intorno con stupore, ammirando i grandi quadri dalle cornici dorate, il lampadario di cristallo e la pomposa scalinata in marmo.
Caspita, che bella casa!...”, ammiccò.
Marco sorrise. “Cazzeggiavo in internet”, spiegò entrando in camera sua.
Giulio si sedette sul letto, osservando il monitor del PC col salvaschermo attivato.
Pensavo fossi straniero, dai lineamenti...”, disse Marco additando l'amico.
Mia mamma è peruviana, ho preso da lei”, rispose Giulio.
Ah, ecco... mi sembrava”, Marco girò la sedia e ci si mise a cavalcioni, faccia a faccia con l'amico.
Non sapevano che dire, c'era un po' di imbarazzo. Marco ebbe un'idea. “Guardiamo se troviamo qualcosa su Jake?”
Dai!”, approvò Giulio alzandosi e avvicinandosi al computer.
Misero su Google “Jake pirata 1700”: ne uscirono sette pagine di risultati. Non ci volle molto per andare a bersaglio: al quinto link trovarono le risposte.
Senti qui...”, Marco leggeva ad alta voce, “Jake Robinson, uno dei più famosi pirati del diciottesimo secolo... nato a Londra... ah... aveva una moglie, Eva e pure una figlia... Catherine...bah, bah, bah... spetta... avuta dalla moglie quando ancora era un commerciante di spezie... ah, pensa... non è stato sempre un pirata... guarda... c'è un ritratto...”
E' lui!”, esclamò Giulio, “... allora queste sono la moglie e la figlia... bella la moglie...”
Davvero! Anche la figlia, guarda che carina... qui avrà quattro o cinque anni, che dici?”, fece Marco.
Si, credo anche io”, rispose Giulio, “era carina anche la figlia... spetta...”, Giulio strizzava gli occhi e scorreva velocissimamente la pagina, “... la leggenda e le credenze... fu ritenuto un licantropo... bla, bla, bla... il primo lupo mannaro nell'Europa dei tempi moderni... pensa...”
Giulio e Marco si guardarono stupiti. “Ma se...”, iniziò esitando Marco, “... sei stato tu a trasformarci, a trasformarlo... come fa ad essere il primo?”
E' del millesettecento... è vissuto prima di noi... boh... vedi, paradossi temporali...”, farfugliò Giulio poco convinto.
Boh...”, anche a Marco le cose non tornavano. “Avremo modificato la linea temporale, il corso degli eventi? Forse abbiamo fatto un casino...”
Giulio si rabbuiò e prese a fissare il pavimento, poi rispose: “Oh, sta a sentire, anche se fosse? Dopo tutto quello che abbiamo passato su quell'isola... quel che è fatto è fatto ormai, basta!”
Hai ragione!”, lo sosteneva Marco, “Siamo fortunati ad essere vivi, altro che paradossi... non ci voglio pensare...”
Ma sì, chi se ne frega! Abbiamo già il nostro bel da fare a gestire questa doppia vita lupifera!”, rise Giulio.
Marco gli sorrise a sua volta e accese lo stereo ad alto volume. “Allora, parliamo di cose serie: cosa ti offro da bere, compagno lupo?”
Uhm...”, Giulio assunse un'espressione pensosa poi esclamò: “... direi... un amaro... del cacciatore!”, e tutti e due risero forte, gustandosi la bella giornata fuori dalla finestra.

Alla fine dell'arcobaleno

La stanza era scarna, in linea con la sobrietà smorta e decadente di un bunker post-atomico: un tavolo e due sedie, il tutto rigorosamente in acciaio. Il commissario Rigoni osservava pensieroso il sospettato dalla parete a specchio adiacente alla sala interrogatori. “Che ne pensi?”, sibilò. L'ispettore Bianchi era perplesso quanto lui. Aspirò una lunga boccata dalla marlboro e soffiò lentamente il fumo. “Penso che questo mestiere mi porterà alla tomba, ecco che ne penso”, sorrise amaramente, “è la ventesima da stamattina!”, sbottò poi spegnendo con rabbia il mozzicone. Il posacenere tintinnò pesantemente. “Secondo te dice la verità?”, chiese Rigoni sconsolato. Bianchi ormai non si preoccupava più di recitare la parte dello “sbirro cattivo” e poteva anche lui concedersi una leggera afflizione. Attaccò quindi con voce fiacca e demoralizzata: “Sono dieci ore che lo torchiamo. Guardalo... è nervoso, se la fa sotto... osserva le mani... e come si guarda in giro spaesato. Per me non sta mentendo... certo che se quella è la verità...”
Hanno trovato solo la testa. Nessuna impronta digitale sopra. Aveva addosso il sangue della vittima. Le orme erano confuse. Cristo! E' un ragazzino, quanti anni ha? 17...?”, chiese il commissario continuando ad osservarlo.
18 appena compiuti”, rispose l'ispettore sfogliando il fascicolo e ingurgitando frettolosamente un sorso del loro caffè da sbirri, lungo, freddo e insipido. “ Manca il movente. Ma è l'unico sospettato e non c'è niente e nessuno che lo scagioni. L'ultimo ad aver visto viva la vittima... Questo caffè è un altro chiodo sulla mia bara!”, sbuffò giocherellando col pacchetto di sigarette. “Ne ho visti di psicopatici nella mia carriera...”, continuò, “individui capaci di fare a pezzi la madre, metterla in lavatrice e pasteggiare a ostriche e champagne mentre rimirano estasiati il vorticare del cestello; gente che poi ti guarda con due occhi da cerbiatto... innocenti come pargoli, che se non li avessi sorpresi coperti di sangue, col coltello a mezz'aria, a mangiare pezzi di cervello dal cadavere ancora caldo avresti scommesso che non c'entravano! Schizofrenici e sociopatici per tutti i gusti, assassini nati o per divertimento, per noia, per miliardi e miliardi di motivi quante sono le rotelle sballate nel loro cervello schifoso e putrido!”. Si passò una mano fra la folta chioma brizzolata e sospirò prendendosi il viso fra le mani. “Ma lui no”, riprese, “non è questo il caso. Sarebbe il più grande figlio di puttana di tutti i tempi, che prende per il culo due agenti pluridecorati con trent'anni di carriera!”
Rigoni si staccò dal vetro e alzò gli occhi al grande oblò ingiallito: erano quasi le due di notte. Per un attimo sperò che Bianchi gli battesse sulla spalla e gli dicesse “Per oggi basta dai, andiamo a casa, riprendiamo domani”. Si vergognò subito per quel pensiero. Quel ragazzo di là si giocava la vita. Forse era innocente, ma per come stavano le cose sarebbe di certo stato condannato: ergastolo. Sedette di fronte al collega, si fece scivolare il dossier sotto il naso e lo aprì con gesto energico, volutamente plateale. “Dunque, cosa abbiamo: ricapitoliamo! Vediamo di nuovo la dichiarazione dell'imputato”
Bianchi annuì, si accese l'ennesima sigaretta e cominciò: “Ieri l'altro, la sera di domenica 10 giugno l'imputato riceve una telefonata dalla vittima, un suo amico...”, scolò gli ultimi sorsi di brodaglia alla caffeina e si sgranchì collo e braccia dondolandosi sulla sedia, “...che gli propone di vedersi al solito pub. Sono le dieci. I tabulati e le triangolazioni dei cellulari confermano posizione e orario... 32 secondi, una chiamata breve: plausibile. I due si incontrano fuori dal pub e senza perdere tempo ordinano due birre e si mettono al tavolo in fondo, vicino alla finestra, quello più appartato”.
Esatto”, continuò Rigoni, “l'imputato... Roberto ha detto che Stefano, l'amico, non voleva che nessuno sentisse, era molto agitato, molto su di giri”.
Il tossicologico però è risultato negativo, vero?”
Si, niente droghe, era pulito”
Bene, andiamo avanti”, sentenziò Bianchi.
Ok, ecco... qui c'è il fatto... l'amico, la vittima, gli dice di aver visto uno gnomo sotto l'arcobaleno”. Rigoni fece una pausa. Bianchi sospirò, ma si sforzò di non tergiversare. “Avete verificato il meteo?”
Si, giornata soleggiata; aveva piovuto dalle dieci alle undici nella zona della presunta tana, in via Stroppato”
Si, la conosco, è in campagna, c'è una discarica nelle vicinanze”
Esatto, Stefano ci era andato in moto, per fare un po' di fuoristrada, ci andavano spesso. Testuali parole: Stefano mi dice di aver visto un nano uscire da un buco sotto l'arcobaleno. Era vestito di pelli, secondo lui era uno gnomo. Sapete cosa si dice degli gnomi e degli arcobaleni...”
L'ispettore e il commissario si scambiarono un cenno d'intesa. Bianchi intanto accendeva la quinta sigaretta dalla fine dell'interrogatorio. “Eggià”, sussurrò, “la pentola d'oro. Va avanti”
Ok”, rispose Rigoni, “Stefano convince Roberto a tornare sul posto il giorno dopo, ieri sera. Come d'accordo ci si recano in moto, alle 23 e 30 circa. La Yamaha YZF 250 della vittima è stata ritrovata poco distante”
Abbiamo testimoni che confermino gli spostamenti dei due soggetti fino a questo momento?”
Si, la madre di Stefano per l'uscita del figlio di domenica mattina e i genitori di Roberto per quella di lunedì, la sera dell'omicidio. Erano in casa. Hanno sentito un colpo di clacson e il trillo del cellulare dal piano di sopra. Il padre ha scostato le tendine e ha visto chiaramente Stefano che aspettava davanti al vialetto d'ingresso col motore acceso. Roberto in tutta fretta è saltato in sella (la sua Suzuki la tiene sempre parcheggiata nel giardino) e ha seguito l'amico. Ecco, quello che sappiamo per certo finisce qui. Da qui in poi solo lui sa la verità”
Bianchi e Rigoni guardarono all'unisono al di là del vetro. Il ragazzo stava immobile e composto sulla sedia, i gomiti sul tavolo e le mani intrecciate a sorreggere il mento.
Andiamo”, disse Bianchi risoluto, “voglio parlarci ancora una volta”
Come entrarono nella stanza, Roberto trasalì e schizzò in piedi quasi in lacrime. “Come devo dirvelo??! Non l'ho ucciso io, sono innocente!”, urlò. I due agenti presero posto in silenzio di fronte a lui, a braccia conserte.
Calmati. Raccontaci tutto un'altra volta. Da quando siete arrivati alla... tana. Dai, forza.”
Dai loro sguardi Roberto capì che come lui cercavano la più piccola speranza, il più piccolo pretesto per sovvertire un verdetto già scritto. Ne fu straordinariamente stupito e commosso. Contro i mulini a vento. Era spacciato, ma almeno non era solo. Quei due erano lì con lui alle tre di notte, in quello stanzino squallido. Anziché essere a letto con le mogli magari. Forse erano persone oneste. Forse erano gli scudieri più indicati per quella battaglia e lui non doveva cedere proprio adesso. Calma e sangue freddo! Un lungo respiro e concentrazione. Raccontare tutto nel modo più preciso ed esaustivo possibile, finché c'era ancora qualcuno disposto ad ascoltare. “Siamo arrivati lì verso le 11 e 40. In via Stroppato. Abbiamo spento le moto un chilometro prima per non farci sentire. Le abbiamo spinte fino allo stradino, le abbiamo appoggiate contro la montaletta e abbiamo continuato a piedi. Ci siamo arrampicati per la salitella e siamo arrivati sul prato. Non c'era nessuno, naturalmente. Avevamo due torce. Siamo andati a quel buco. Stefano è entrato per primo. Stava davanti a me. L'apertura era piccola, ci si passava carponi e ci si stava giusti giusti. Dopo una ventina di metri che scendevamo giù ripidi siamo arrivati a un grande spiazzo pianeggiante. Era una stanza sotterranea più ampia. Ci siamo messi in piedi, il soffitto sarà stato alto tre metri. Illuminavamo con le torce ma non c'era nulla. Cercavamo qualcosa che assomigliasse alla pentola, un contenitore qualsiasi. Poi è sbucato.”
Lo gnomo?”, chiese Rigoni.
Non so cosa fosse. Di certo l'assassino.”
I due poliziotti si lanciarono un'occhiata preoccupata. Roberto proseguì: “Doveva esserci un varco nella parete, non si vedeva niente, è spuntato dalla nostra sinistra, all'improvviso. Si è lanciato senza una parola su Stefano. Io ero dietro di lui. Gli si è avvinghiato alla pancia. Gli è caduta la torcia. Era tutto buio. Nel mio fascio di luce la testa di quel tizio smastricciava la pancia di Stefano. Grufolava come un maiale. Stefano urlava e si dimenava, vedevo il sangue che scorreva. Ho gridato lascialo! Ma niente. Mi sono avventato e l'ho colpito con la torcia. Si è staccato da Stefano, che è caduto a terra, e si è voltato verso di me. L'ho visto bene per qualche secondo. Aveva la statura di un nano, ma il volto... non so se era deforme o se era un animale. Non parlava, non ha detto una parola. Grugniva, tipo.”
Riusciresti a descriverlo?”, domandò Bianchi.
La faccia era larga, squadrata. I capelli erano radi e lunghi fino alle spalle. Tutti unti, lerci. Anche la faccia era sozza. Di terra credo, aveva chiazze marroni. I denti erano piccoli e aguzzi. La bocca era insanguinata, sbavava”. Si fermò un istante e chiese un bicchier d'acqua. Rigoni incaricò un agente che zelante tornò anche con un kit kat. Dopo una breve pausa continuò: “Gli occhi erano come quelli dei cani, marroni e liquidi, con la pupilla molto grande. Non indossava vestiti, erano peli. Era ricoperto di una folta peluria marrone, su tutto il corpo. Solo il muso era glabro. E' rimasto fermo per qualche secondo. Ero impietrito, non sapevo che fare. Si è lanciato su di me. Correva a quattro zampe. Mi è saltato alla gola e mi sono ritrovato a terra con quel mostro sopra. Stefano si lamentava nell'ombra”
E come mai non hai ferite o graffi, quella... cosa... aveva artigli affilati, hai detto nella precedente deposizione...”
Si, aveva unghie lunghe, ricurve e taglienti, non ho mentito! Sto dicendo la verità, cazzo! E' tutto il giorno che dico la verità!”
Va bene, stiamo solo cercando di capire”, lo ammansì l'ispettore.
E' durato pochi istanti, mi era sopra, come dicevo, e voleva azzannarmi alla gola. Gli tenevo distante la testa con tutte e due le mani, avevo i jeans e una maglietta a maniche lunghe, per quello forse non mi ha graffiato. Io l'ho graffiato invece. Anche se mi faceva ribrezzo conficcavo le unghie in quella faccia schifosa, gli ho calzato il pollice in un occhio, volevo cavarglielo! Ho sentito che affondava nel morbido... Stefano piangeva, non lo vedevo ma era gravemente ferito. Ho colpito quel mostro con la torcia più forte che potevo, nell'occhio. Una volta, due, con tutta la rabbia e la disperazione che avevo in corpo. Ha lanciato un grido, come un fortissimo ringhio. In un lampo è saltato via. Gli ho puntato la luce addosso in tempo per vederlo trascinare via Stefano per un piede, nello stesso varco da cui era apparso. E' stato velocissimo. Ho illuminato il buco ma niente. Ho chiamato due volte Stefano: niente. A quel punto che potevo fare? Seguirlo? Senza un'arma? Anche volendo non l'avrei mai raggiunto. E se là sotto c'erano altri tunnel... se c'erano gallerie che si snodavano ovunque che fine avrei fatto?!”
Bianchi sussultò, il volto gli si era illuminato in un sorriso. I due lo guardavano stupiti.
Hai detto che l'hai graffiato, no?”
Roberto annuì.
Dimmi che non ti sei lavato le mani!”
Ci pensò un po' su poi scosse la testa. “Purtroppo no, da quando mi avete prelevato con tutto il casino non ne ho avuto modo...”
Bene!”, esclamò Bianchi ad alta voce afferrando il telefono. “Sono l'ispettore capo Ernesto Bianchi, vorrei parlare col tenente Baldelli della scientifica... ok... Baldelli? Corri qui in sala interrogatori, c'è del DNA che ti aspetta!”
Mezz'ora più tardi un signore sulla cinquantina, alto, corpulento e leggermente stempiato faceva il suo ingresso con aria seccata. “Ma lo sai che ore sono?!”, apostrofò Bianchi prima ancora di salutare Rigoni con un cenno del capo.
Si, scusa, ma è urgentissimo! Fammi questo favore, ti offro una cena, dai!”
Aggiudicato! Venerdì sera, pesce! Il locale lo scelgo io, ti faccio sapere”, sorrise Baldelli appoggiando la valigetta con gli attrezzi sul tavolo e aggiustandosi le piccole lenti rettangolari. “Facciamo pesce del più prelibato, con vini più che adeguati... però voglio i risultati prima di ieri, ok Baldo?”, ammiccò l'ispettore.
Ok, affare fatto!”
Mentre si stropicciava gli occhi Bianchi controllò che sua moglie non si fosse svegliata. Sul comodino il cellulare vibrava irradiando una luce tremula. Gettò un'occhiata alla sveglia: le tre e mezza. Spense il telefono e sgattaiolò dal letto e dalla stanza con passo felpato, fissando la moglie che girata su un fianco russava sommessamente. Quando fu al sicuro in cucina, chiuse la porta e controllò le chiamate ricevute: era la centrale.
Ho i risultati”. La voce di Baldelli era incerta.
Poi solo un lieve fruscio di fondo.
... allora? Su, forza, non tenermi sulle spine!”
Il DNA non è umano”
E di che animale è?”
Altro vuoto di esitazione.
Non te lo so dire. Nessun tipo di animale conosciuto.”
Bianchi abbozzò un sorriso: “Forse i mulini a vento non sono poi così imbattibili”.