venerdì 28 giugno 2013

Il tunnel delle Fiabe Sbagliate

Maria assistette alla scena allibita, con le lacrime agli occhi.
“Tra i biglietti venduti non risulta quello di sua figlia”, sillabò il poliziotto con voce monotona e distaccata.
La donna balbettò qualcosa tentando istintivamente di richiamare i due agenti che stavano salendo in auto.
“Sara aveva scritto il nome sul suo biglietto”, bisbigliò, “un biglietto rosa...”
Ma quelli misero in moto senza profferir parola e l'auto di pattuglia riprese apaticamente la strada fino a sparire all'orizzonte.
Non poteva crederci. Non voleva andarsene ma non sapeva cos'altro fare, a quel punto.
Con la coda dell'occhio vide il turbante azzurro dell'ipnotizzatore scomparire dietro le gabbie dei leoni.
Il giostraio sputò lo stuzzicadenti e le rivolse un ghigno sprezzante. Si passò le mani sudice sulla canottiera e rimase immobile a fissarla. “Vede signora, sua figlia non è mai entrata in quel tunnel. Non l'ho mai vista. Si sbaglia, gliel'ho già detto”, la incalzò.
Maria sentì montare una vampata di collera. Poi qualcosa si mosse fra i cespugli intorno, un verso proruppe dalle scure chiome delle querce e d'un tratto realizzò di essere sola. In un bosco, di notte. Sola di fronte a un losco individuo.
La luna era offuscata. Ogni tanto una folata calciava via cartacce e lattine fra l'erba spelacchiata. Lo sguardo del giostraio mutò. Non era più beffardo, era minaccioso ora. “Vada via”, diceva quello sguardo, “non c'è niente che le sia amico qui”.
E difatti non c'era. Maria tornò al parcheggio quasi di corsa. La sua monovolume le sembrava l'unico posto sicuro, al momento. Aveva bisogno di pensare senza allontanarsi da lì.
Vide le luci del circo spegnersi una dopo l'altra. Sagome grigiastre e curve spingevano le gabbie sotto i tendoni. Finché tutto fu silenzio.
Raccolse il peluche della figlia dal sedile a fianco: una tartaruga gialla con due enormi occhi azzurri da cartone animato. E si sciolse in un pianto convulso.
Sara... scomparsa. Gliel'avevano rapita. Cosa fare se nemmeno la polizia poteva aiutarla? Da chi andare?
Accese il motore sgasando e partì sgommando, coi fari che bucavano la boscaglia.

“Maria... dai, lo sai, hai visto che ore sono? Ti ho detto di non chiamar...”
“Sì sì lo so. Non è per noi. E' per Sara.”
Sandro si riscosse e si staccò dalla parete mettendosi in ascolto bello dritto. “Cos'è successo a Sara?”
“Non al telefono. Vieni a casa mia. Verrei lì io, ma c'è Livia...”
“La mia compagna fa parte della mia famiglia. Devi accettarlo, Maria. Il giudice ha detto...”
“Non m'importa adesso! Nostra figlia è...” urlò Maria. “Scusa...”, continuò poi più pacata. “Scusa. Sì sì, lo so. Tranquillo. L'ho superata ormai. E' giusto che tu faccia la tua vita. Doveva andare così. D'altronde i matrimoni si sfasciano tutti i giorni, no? Comunque, non è questo. Sara...”
“Si è fatta male? Dimmi!”, esclamò Sandro preoccupato.
Dall'altro capo del telefono giunse un sospiro.
“Vieni qui, Sandro. Ti racconterò tutto.”

Entrò trafelato, in pantaloni del pigiama e maglietta bianca. Aveva ancora una copia delle chiavi, anche se a breve avrebbe dovuto restituirla. Maria lo aspettava seduta al tavolo con due tazze di caffè fumanti. Quando Sandro si accomodò iniziò subito a raccontargli della serata.
Quello strano circo. Sara tutta entusiasta all'idea di vedere i clown, e i leoni e le giraffe.
Quel maledetto tunnel delle “Fiabe Sbagliate”. Sara che entrava e che non sarebbe più uscita.
Il giostraio equivoco. I poliziotti in trance che fingevano di sfogliare una mazzetta inesistente di biglietti, alla ricerca di quello rosa con su scritto “Sara” e un cuoricino...
L'uomo più forte del mondo che aveva sollevato un elefante e demolito un'auto a calci e pugni.
E sembrava tutto vero. Il mago che aveva “clonato” un volontario dal pubblico.
“Erano gemelli. D'accordo con quelli del circo... mettono dei complici sugli spalti”, obiettò Sandro.
“Uno guardava l'altro come fosse un fantasma. E l'altro si guardava le mani e si toccava come stupito di essere al mondo, pallido come un morto. Dovevi vedere Sandro... dovevi esserci... sembrava tutto vero. Troppo vero...”, disse Maria con un filo di voce e gli occhi sgranati.
Sandro rimase in silenzio, sorseggiando il caffè giusto per non starsene con le mani in mano.
“L'avranno già portata via. Chissà dove... Cosa possiamo fare?”, implorò Maria.
“Se non sbaglio il circo riparte domani l'altro, giusto?”
Maria annuì.
“A quel che mi dici la polizia è fuori gioco. Allora stanotte ci vado io.”
“Vengo anche io.”, esclamò Maria.
“A te ti conoscono, invece a me anche se mi beccano non possono collegarmi a Sara. E' meglio così. Se è scomparsa in quel tunnel, mi ci intrufolerò. Non è passato molto tempo, magari è ancora lì dentro. E poi tocca a me: è pericoloso e sono suo padre.”
Le sorrise, fermo sull'uscio, col fucile a tracolla. I loro sguardi si incontrarono come non succedeva da anni.

Acquattato fra i cespugli Sandro ispezionava lo spiazzo del circo col binocolo a infrarossi, un souvenir di quando era nell'esercito. Nessuna attività. Il cielo era plumbeo e illune. Non tirava un filo d'aria. Giunse indisturbato fino all'ingresso, due alti pali di legno che reggevano un telone su cui campeggiava in giallo la scritta “CIRCO”.
Strano che non ci fosse un nome o un cognome. “CIRCO” e basta.
Imbracciò il sovrapposto1, tenendo occhi e orecchie ben aperti. Si aspettava di venir assalito da un branco di leoni o dall'uomo forzuto che gli scagliava contro un fuoristrada; o da un gruppo di clown inquietanti che piroettando e saltando gli lanciavano una pioggia di coltelli.
Ma non successe nulla di tutto questo. Sotto i tendoni artisti e animali dello spettacolo ronfavano all'unisono.
A un tratto, mentre si guardava intorno pensieroso, gli saltò all'occhio: il tunnel delle “Fiabe Sbagliate”, dove la parola “Sbagliate” era stata aggiunta a mano, con la vernice che ancora colava, mentre “Fiabe” era stampata in eleganti arzigogoli dorati. Proprio come descrittogli da Maria. L'ingresso era incustodito.

All'interno del tunnel lo spazio si dilatava in modo abnorme, sfociando in un bosco non dissimile da quello all'esterno, con alberi ad alto fusto cupi e spettrali.
Il trenino, abbandonato, era arrugginito e danneggiato in più punti. Non c'erano rotaie su cui potesse scorrere.
Sandro impugnò saldamente il fucile e si addentrò , spiato da mille occhi invisibili e dai sussurri del vento fra le fronde.

Una scia rossa saettò davanti a lui, facendolo trasalire. Intravvide un mantello volare a filo d'erba, rapido come un battito di ciglia. Con circospezione ne seguì le tracce fino a una casetta in legno. Dal comignolo un rivolo di fumo grigio si sfilacciava pigramente sotto una luna diafana.
Attirato da un brusio costante si accovacciò sotto la finestra. Due voci gli giungevano chiare.
“Nonnina, che orecchie grandi che hai...”
“Per sentirti meglio, nipotina mia...”
“Nonnina, ma che occhi grandi che hai...”
“Per vederti meglio, nipotina mia...”
“Nonnina... lo so che sei il lupo!”
Poi dentro si scatenò il finimondo: urla, latrati, tonfi, roba che andava in pezzi...
Sandro sfondò la finestra e irruppe.
Quella che sembrava una ragazzina con la mantellina scarlatta si drizzò sul letto, staccandosi dall'ammasso peloso, con la bocca e il viso lordi di sangue.
“Filetto di lupo alla tartara, vuoi favorire?!”, gli urlò contro trasfigurata in un ghigno animalesco e demoniaco.
Sandro si precipitò fuori spalancando la porta con un calcio e mettendosi a correre a perdifiato.
La ragazzina intanto si era ributtata a capofitto sulle viscere della carcassa, saziandosene perversamente.

Ansimando, seduto sotto un albero, Sandro guardava ancora in direzione della casetta, incredulo e scioccato.
“Presto che è tardi presto che è tardi!”
Un coniglio trotterellava verso di lui controllando ossessivamente un orologio da taschino.
Avanzava in posizione eretta. Indossava un elegante panciotto grigio, portava un monocolo e calzava un cappello a cilindro.
“Presto che è tardi presto che è tardi!”, ripeteva zampettando.
D'un tratto una fucilata gli fece saltare la testa, troncando a metà anche la frase.
Sandro sussultò. Si mise in piedi, ma stando ben attento a non sporgersi dal tronco dell'albero.
Una bambinetta con le treccine avanzava a passo spedito, con una doppietta aperta appoggiata sulla spalla. Sulla maglietta spiccava la scritta “Alice rules”.
“Adesso non è più tardi, hai tutto il tempo che vuoi, schifoso!”, esclamò la ragazzina sputando sulla testa del coniglio rotolata a qualche metro dal corpo martoriato.

Sandro calpestò inavvertitamente un ramo secco. La bimba ricaricò la doppietta in un lampo e fece esplodere una nuvola di corteccia. Sandro si gettò a terra finendo allo scoperto.
“Ah ah tana per te! Chi diavolo sei?”, berciò la marmocchia.
Sandro non riuscì a rispondere nulla .“Alice nel paese delle meraviglie...”, sussurrò pensando ad alta voce.
“Io sono Alice, ma questo è lo stronzo paese delle meraviglie!”, urlò puntandogli contro il fucile.
“Guarda, c'è lo Stregatto!”, gridò Sandro indicando alle sue spalle.
“Dove cazzo è?”, farfugliò Alice pronta a sfracellarlo di pallettoni.
Approfittando dell'attimo di distrazione le fu addosso. Con una mano bloccò la doppietta puntandola a terra e con l'altra le sferrò un tremendo diretto in pieno viso.
Alice cadde all'indietro senza fare un fiato, col naso ridotto a una poltiglia sanguinolenta e la mascella probabilmente fratturata.

“Papà papà!”, Sara gli corse incontro sbucando da un cespuglio e gli saltò al collo.
Sandro la strinse forte, chiudendo gli occhi. “Sara...! Dov'eri finita? Cos'è successo?”
“Durante il giro sono caduta dal trenino”, spiegò in lacrime. “Andava veloce, prendeva le buche, saltava... sono caduta fuori. Ho trovato una casetta e mi sono riposata un po' lì dentro. Poi sono arrivati tre orsi, mi sono spaventata e sono fuggita nel bosco. Ho sentito gli spari, ti ho visto e... papà che hai fatto? L'hai uccisa?!”, disse poi singhiozzando più forte, guardando ora Sandro ora Alice riversa a terra.
“No... ehm...”, farfugliò Sandro, “ diceva le parolacce. Ecco. Diceva un sacco di parolacce. Non si dicono le parolacce... d'accordo piccola?”
Sara annuiva, bianca come un lenzuolo, gli occhi sbarrati e colmi di paura.

E così uscirono dal tunnel, Sara in braccio al papà, e senza incontrare altri ostacoli tornarono a casa da Maria, che li accolse piangendo di gioia.
Il giorno dopo quel misterioso circo scomparve senza lasciare traccia e non se ne seppe più nulla.
Maria e Sandro si riavvicinarono. Lei gli permise di farle visita più spesso, con la scusa di sbrigare piccole riparazioni domestiche. Da cosa nacque cosa e... vissero per sempre felici e contenti.
Un po' meno Sara, che a causa degli incubi (sognava suo padre che fracassava teste di bambini) divenne dipendente dagli psicofarmaci. In compenso però non disse mai più una parolaccia in vita sua.

1Fucile da tiro, con le canne una sotto l'altra, a differenza della doppietta, che ha le canne una di fianco all'altra.

Alan, il crononauta

2007-BA. Ridottissima serie di numeri e lettere. Una sigla innocua, il posto di un parcheggio, la denominazione di una proteina, la classificazione di un libro in biblioteca.
Ma 2007-BA era il nome della morte. Un asteroide. Per l'ennesima volta il destino del pianeta dipendeva da un pezzo di roccia.
Un meteorite aveva originato il nostro satellite, la Luna; un altro aveva provocato l'estinzione dei dinosauri. Col susseguirsi degli studi, dei calcoli e delle simulazioni si ipotizzò inoltre che anche dietro le glaciazioni o gli sconvolgimenti climatici più eclatanti ci fossero sempre degli asteroidi; senza contare gli ettari di foreste bruciate o i villaggi semidistrutti.
E adesso questo. 17 Dicembre 2116: la data di scadenza della Terra. Fra tre settimane.
La tecnologia non permetteva di disintegrare il meteorite in sicurezza: anche impiegando missili a testata nucleare si sarebbe sbriciolato in frammenti più piccoli ma ugualmente letali, una terrificante pioggia di fuoco e fiamme.
L'evacuazione non era un'alternativa perché con un diametro di 20 Km e un peso di 2.000 miliardi di tonnellate la devastazione sarebbe stata totale, sia che impattasse al suolo che in mare.
Si stimò che sarebbe caduto nell'Italia Centrale, alla velocità di 290.000 Km/h.
L'unica via di scampo non era quindi nello spazio, bensì nel tempo.
A differenza dei viaggi intergalattici, rimasti pura utopia, il viaggio nel tempo era possibile.
La notizia non fu mai divulgata e nessuno ne fece mai uso ufficialmente. Il Governo si adoperò per insabbiare l'avvenimento e mantenere una segretezza pressoché assoluta. Per questo non sono note le circostanze esatte in cui si svolse l'esperimento, né si conoscono l'inventore del dispositivo o i membri dell'equipe che lavorò al progetto.
Ora però quello stesso Governo, (composto dai leader delle dieci maggiori Potenze), riunito in un bunker sotterraneo attrezzato di ogni lusso e comodità, stava pianificando una trasmigrazione temporale.
Inizialmente si pensò di trasferire un ristretto numero di persone in un punto imprecisato del futuro. Molti obiettarono che non fosse moralmente corretto salvare pochi prescelti (fossero anche le menti più brillanti), lasciando morire sciami di moltitudini inconsapevoli. Gli scienziati sollevarono dubbi anche sulla direzione da prendere lungo la linea temporale: non più nel futuro, magari un futuro di polveri e miasmi letali da respirare per secoli o milioni di anni, ma nel passato, che sembrò d'un tratto più a portata di mano, per così dire, più vicino e più comodo, in quanto noto.
Il cronotraveler, il dispositivo per viaggiare nel tempo, era individuale, delle dimensioni e delle sembianze di un orologio da polso. Ne esistevano un centinaio. Si digitava gg/mm/ (+ o - ) aaaaaa (giorno, mese e anno, prima e dopo Cristo) e premendo il pulsante invio si veniva spediti alle coordinate indicate. Si poteva anche memorizzare una data di default verso cui si veniva indirizzati premendo il pulsante reset.
Restava da testarlo a dovere e individuare l'epoca più opportuna dove trasferirsi.
E proprio di questo si stava occupando il nostro protagonista, il viaggiatore designato che chiamerò Alan. Scelsero per iniziare l'anno 1975 D.C., un'epoca recente e quindi avanzata tecnologicamente, e relativamente tranquilla in quanto posteriore al secondo conflitto mondiale. Ogni volta poi, al sopraggiungere di 2007-BA sarebbero tornati indietro. Avevano tre settimane per trovare l'anno più opportuno. Impostarono come default il giorno corrente, dotarono Alan di armi e kit di pronto soccorso e l'avventura iniziò.

15/06/001975. Il problema della macchina del tempo era che non si sapeva mai dove ti avrebbe teletrasportato: in fondo al mare, in una grotta al centro della Terra, in mezzo alla strada nell'ora di punta; in America, Asia, Oceania, sospeso in aria, in caduta libera dalla ionosfera... Per fortuna impostando il default si poteva fissare, oltre alle coordinate temporali, anche il luogo corrente, il posto dove ci si trovava in quel momento: in questo caso il laboratorio del bunker segreto nell'anno 2116, un luogo sicuro dove tornare.
Invio. Alan venne smolecolarizzato e si ricompose con un tenue bagliore, perturbando l'aria circostante. Al suo apparire uno strano quadrupede trasalì e rimase impietrito, scomparendo poi nella boscaglia con rapidi balzi. Non riuscì a inquadrarlo nello scanner ma le macchie bianche sul manto marrone gli suggerirono che doveva trattarsi di un daino, un mammifero estinto da decenni che aveva visto nell'enciclopedia olografica.
Con un semplice tocco attivò il localizzatore che aveva al polso: Cesane, monti – Pesaro Urbino – Marche – Italy. Era in mezzo a un bosco, non scorgeva sentieri né anima viva. Armò la pistola disgregatrice e procedette in esplorazione. D'improvviso si sentì percorso da potenti vibrazioni e da un languido senso di nausea. Sul display del cronotraveler al polso sinistro lampeggiava in rosso la scritta “failure”.
In preda al panico premette e ripremette il tasto reset ma lo scenario non cambiava. Le vibrazioni e il lampeggiare continuavano. “Failure”, finché la macchina del tempo emise tre forti bip e lo smaterializzò sfilacciandolo nel vortice spazio-temporale.

Atterrò malamente su una landa brulla e desolata, cadendo da circa due metri, per fortuna senza conseguenze. Il terreno era coperto da una polvere grigiastra e ampi crepacci si aprivano qua e là.
All'orizzonte si stagliava un imponente muro verde: vegetazione, alberi probabilmente.
Cercò di svegliare il localizzatore ma il display era morto. Il cronotraveler era sempre in “failure”.
Non compariva nemmeno il tastierino per immettere una data.
Il visore sul casco captò del movimento e proiettò sulla visiera direzione e distanza. Una croce al centro di un cerchio lampeggiava e bippava sempre più insistentemente quando ci si avvicinava al bersaglio, mentre un calcolatore digitale incrementava o diminuiva la distanza del soggetto o dell'oggetto in movimento. Il sibilo divenne continuo e penetrante in direzione dei boschi all'orizzonte. Comparve un frenetico conto alla rovescia che partiva da 900 metri.
800-700... Imbracciò il fucile laser che teneva a tracolla e ne azionò le cariche fotoniche.
600... sentiva la terra tremare sotto i suoi piedi.
500... le fronde si agitavano nella boscaglia in lontananza.
Una sagoma scura apparve all'orizzonte. Zumò. Ancora. Ancora. 5X. Un tirannosauro stava correndo verso di lui. Aveva qualcosa sulla schiena. Zoom. Non era qualcosa, era qualcuno. Un uomo, un ominide. Una sella coi finimenti.
Alla velocità con cui procedeva l'avrebbe raggiunto in pochi secondi. Fece rientrare la visiera e puntò il fucile ormai completamente carico.
L'enorme rettile si fermò a pochi metri da lui, impennandosi alla tirata di redini del cavaliere e spalancando le fauci in un ringhio cavernoso e brutale.
L'ominide, di carnagione olivastra, aveva il viso tozzo e con un forte prognatismo. I capelli erano neri, radi e lunghi e brandiva una lancia dal manico in legno e dalla punta in selce.
Alan avrebbe potuto carbonizzarli all'istante, ma esitò un attimo di troppo. Non aveva mai ucciso nessuno, e in più era sconcertato da quella visione: un conto era osservare la proiezione di un T-Rex su un olobook di storia e un conto era trovarselo a un palmo dal naso.
L'ominide scagliò la lancia. Alan la schivò scartando di lato, ma non poté evitare che il sauro gli triturasse un fianco sferrando un morso con insospettabile velocità.
Accecato dalla vista delle carni straziate e sanguinanti, fece fuoco. Un raggio di luce rossa disintegrò i due riducendoli a un cumulo di cenere. Il morso gli aveva strappato via mezzo addome. Si accasciò a terra tenendosi la pancia. Le viscere eruttavano come serpenti a molla compressi in una scatola, schizzandogli sulla mano copiosi fiotti caldi. Gettò il fucile, si sfilò dalle spalle lo zainetto e tirò fuori il kit d'emergenza.
Ebbe un mancamento, la vista si affievolì. Frugando affannosamente estrasse un cilindro nero grosso quanto un candelotto di dinamite. Premette il bottone all'estremità finché un led rosso non divenne verde. Ricacciò dentro le budella urlando a squarciagola e spruzzò sulla ferita una patina gelatinosa. Il medi jet agiva in trenta secondi. Era un rigeneratore organico. Nebulizzava nanoparticelle combinate a molecole di DNA, guarendo e ricreando i tessuti danneggiati. Il meccanismo si ispirava alle stampanti 3D del XXI secolo, usate anche per sintetizzare cibo nei paesi africani ai tempi della Grande Carestia del 2063.
Si alzò in piedi rimirando la miracolosa guarigione, tastandosi quasi con riluttanza la porzione d'addome da cui poco prima fuoriusciva una cascata di visceri sanguinolenti. Ma non poté assaporare in pace quella sensazione: il cronotraveler aveva deciso che era tempo di saltare di nuovo nella centrifuga.

Azionò prontamente la chiusura ermetica del casco e la riserva di ossigeno iniziò a entrare in circolo. Annaspava per riemergere, fortemente impedito dalla tuta spaziale che però almeno lo isolava termicamente. L'acqua del fiume doveva essere gelata. Appena fu a galla fece rientrare la visiera, respirando a pieni polmoni e gettando occhiate tutt'intorno. Lo sovrastava un maestoso castello. Il ponte levatoio era alzato e si ergeva ripiegato proprio di fronte a lui. Scorse una macchia scura farglisi incontro. Alla sua destra occhieggiò una fila di squame. Si alzò qualche spruzzo. Disintegrò il primo coccodrillo proprio mentre gli saltava addosso a fauci spalancate. Le acque ribollirono al contatto col raggio laser, richiamando altre frenetiche chiazze subacquee. Alan sparò all'impazzata intorno a sé finché la spia di alimentazione della pistola iniziò a lampeggiare. Brandelli d'alligatore galleggiavano ovunque: tranci di ventri mollicci e verdi squame legnose.
Ansimando si issò sull'argine, lasciandosi cadere sull'erba soffice. Doveva calmarsi e riprendere fiato. Nuvole spumose come meringhe attraversavano calme il cielo.
Il sensore di movimento non segnalava pericoli. Il cronotraveler non dava segno di vita, col display penosamente muto e i pulsanti che suonavano ciocchi; ma si sarebbe rianimato all'improvviso, lo sapeva, per gettarlo a casaccio in qualche spirale dimensionale.
Sospirando si rimise in piedi. Il ponte levatoio, sulla facciata del castello, sembrava una bocca e i finestroni affrescati erano gli occhi. Sui due torrioni ai lati sventolavano bandiere gialle e blu con un leone rampante incorniciato da uno scudo. In mezzo correva una fitta merlatura. Non c'era passaggio di sentinelle nei camminamenti di guardia. Azionando il jet pack sorvolò in un batter d'occhio l'anello d'acqua infestata e atterrò molleggiando davanti al ponte levatoio, quell'immensa bocca lignea imbronciata. Fece il giro delle mura, quando un grido stridulo lo costrinse ad alzare lo sguardo.
Siete dunque giunto a salvarmi, prode cavaliere?”
Una fanciulla meravigliosa si sbracciava dall'alta torre, calando dalla finestra una lunghissima treccia bionda che arrivava quasi fino a terra. La inquadrò nel visore e ingrandì: gli occhi di un ammaliante turchese, le guance accese di tenue rossore. Una sensualità acerba e irresistibile.
Volle rispondere qualcosa ma fu ricacciato furiosamente nel vortice e risputato in un altro prato, in un altro tempo. Questo però era un giardino, a giudicare dalla cura delle siepi e del manto erboso. Un giardino cosparso di variopinti alberi da frutto e gruppi di cespugli bassi ingemmati di more e lamponi. Una brezza leggera accarezzava le chiome e il fogliame, spandendo un aroma vellutato di vaniglia e miele. Nella donna che gli veniva incontro credette di riconoscere la fanciulla del castello, tanto era bella; di una bellezza surreale, fiabesca. E per di più completamente nuda. I capelli castani ricadevano in ampie volute sulle spalle aggraziate e sui seni bianchi e morbidi. La donna fissava Alan meravigliata dello strano abbigliamento, ma non impaurita. Nel suo sguardo si leggevano curiosità e innocenza.
Io sono Eva”, gli disse avvicinandosi fino a toccare un lembo della tuta spaziale. Ne saggiava la consistenza e disorientata passava a paragonarla alla sua graziosa nudità.
Io sono Alan”, bisbigliò incredulo. Stava per aggiungere “piacere di conoscerti”, ma la frase gli sembrò quantomai fuori luogo e gli si strozzò in gola.
Nel frattempo, come se seguissero la padrona, tantissimi animali, delle specie più diverse, accorrevano dai dintorni e si avvicinavano tranquillamente. C'era qualcosa di insolito. Nell'aria aleggiavano quiete profonda e una serenità quasi inebriante. Il leone non bramava la gazzella che gli saltava leggiadra al fianco, la gazzella non si preoccupava del leone che ruggiva sommessamente. Ed era lo stesso fra tigri e stambecchi, tra leopardi e conigli, tra orsi e volpi. Arcobaleni nascevano all'improvviso fra un laghetto e l'altro, rimbalzando nelle fontane adorne di statue.
Dove siamo?”, domandò Alan.
In risposta udì dei passi giganteschi alle sue spalle. Allibito si voltò e prese a far scorrere lentamente lo sguardo sui sandali ciclopici, su per le gambe, lungo il saio bianco fino al cordone stretto in vita che si perdeva fra le nuvole...
Una voce echeggiò cavernosa e perentoria, ma rassicurante e salvifica al tempo stesso.
Questo è il Paradiso Terr...”
E di nuovo tutto per Alan si perse nei frammenti di quel vorticoso fagocitare. Come una scheggia impazzita turbinava nel tunnel psichedelico tempestato di lampi e scariche elettriche, attendendo sconsolato la prossima meta.

Trascorsero così ancora sei lunghi mesi, spesi a vagare soffertamente per epoche remote e future, in un peregrinare insensato e sfibrante. Il cibo in pillole si stava esaurendo, ne aveva al massimo per un paio di settimane. Aveva imparato che la sua tecnologia era impotente contro la magia e gli incantesimi: se l'era vista brutta nel reame di elfi e fate, quando, scambiatolo per un invasore, per poco non l'avevano tramutato in rospo; per fortuna la regina Liael aveva indovinato le sue pacifiche intenzioni e l'aveva risparmiato, regalandogli anche un sacchetto di monete d'oro. Di ritorno nel suo mondo sarebbe stato ricco. Se mai fosse tornato.

Un bel giorno, nell'ottobre del 1944, mentre si trovava in Germania sotto i bombardamenti, il cronotraveler funzionò di nuovo. Così, di punto in bianco, accadde e basta: premette reset per la milionesima volta, non sperandoci nemmeno più, e invece si ritrovò nel laboratorio da dove era partito sei mesi prima. Solo che era deserto. Il cronotraveler aveva sbagliato di qualche minuto. Doveva approfittarne. Rubò un altro cronotraveler dalla cassaforte a parete: come alcuni degli scienziati coinvolti nel progetto conosceva la combinazione, anche se nessuno avrebbe dovuto. Sentì dei passi in corridoio. Di sicuro era l'altro se stesso, con tutti i colleghi, che si accingeva a lanciare l'esperimento da lui appena concluso. Su un foglio scrisse in tutta fretta, a caratteri molto grandi: “VA BENE IL 1975. BUONA FORTUNA. ADDIO. ALAN” e lo sistemò sotto il monitor del pannello di controllo centrale. Appoggiò sopra la scrivania anche il gruzzoletto di monete donatogli dalla regina delle fate. Sarebbero servite di certo più a loro che a lui. Senza farsi notare sgattaiolò fuori dalla stanza e accovacciato sotto l'ampia vetrata li sentì vociare confusamente a proposito del suo messaggio e dell'oro. Strisciò dentro un altro laboratorio, fortunatamente vuoto anche quello.
Ogni cronotraveler conteneva una scatola nera che registrava tutte le coordinate spazio-temporali raggiunte. Anche se il display era fuori uso, forse le informazioni erano state conservate. Collegò il dispositivo a un elaboratore diagnostico e soffocò a stento un urlo di gioia quando sullo schermo iniziarono a scorrere righe e righe di giorni, mesi e anni. Trasferì i dati nel nuovo cronotraveler appena rubato, scelse la destinazione e dette invio.

Prode cavaliere, siete dunque tornato per salvarmi?”, gridò la fanciulla dalla lunghissima treccia, prigioniera nell'alta torre.
Invero sì, madamigella!”, esclamò Alan azionando il jet pack e librandosi in volo fino alla sua finestra.
Non temete mia signora, vi salverò io. Reggetevi a me”, disse mentre la teneva stretta, sospesa per aria.
Io sono Alan. Qual è il vostro nome di grazia, mia signora?”
Raperonzolo”, rispose spaventata.
Bene, Raperonzolo, fidatevi di me”, disse Alan impostando di nuovo il cronotraveler e sparendo con lei nel gorgo temporale.

Coraggio Eva... assaggiala! E' buonissima vedrai...”, sibilò il serpente.
Eva si guardava intorno perplessa, cercando Adamo per chiedere consiglio. Incalzata dal serpente alla fine si decise. Accostò con titubanza il pomo rosato alle labbra. Al momento del morso però gettò un grido, osservando la mela sgretolarsi in uno sbuffo di fumo, colpita da un accecante raggio rosso.
Ehi tu! Chi sei, cosa credi di fa...”, urlò il serpente ma Alan lo fulminò con un altro colpo di pistola.
Grazie straniero, per un pelo!”, tuonò il gigante in sandali e saio accorrendo trafelato con Adamo al seguito.
Come ti chiami e chi è la fanciulla?” continuò la possente voce da sopra le montagne.
Io mi chiamo Alan, Signore, e questa è la mia ragazza, Raperonzolo. Volevamo chiederLe il permesso di stabilirci qui. Le giuro che siamo entrambi brave persone e seguiremo i Suoi insegnamenti senza disubbidire”, esclamò guardando Raperonzolo che annuiva entusiasta.
Ti credo Alan. So che siete giovani di buon cuore. In virtù di quello che hai appena fatto, concedo molto volentieri a te e alla tua ragazza di vivere qui. In fondo due coppie sono meglio di una. C'è spazio a sufficienza per i figli che vorrete avere, e per i figli dei figli, e i figli dei figli ancora...”

lunedì 24 giugno 2013

FANTASIA 3000 - I selezionati della prima fase

Gentile utente del Verdecammino,

ti segnaliamo che sono stati resi noti i titoli dei racconti che hanno superato la prima fase del contest a premi "Fantasia 3000".
http://verdecammino.forumcommunity.net/?t=54587453

Il mio unicorno continua a cacciare alieni... :-)

giovedì 13 giugno 2013

"CHI HA UCCISO NINA?" - Raccolta Antologica della collana "Troskij Noir"


Gentile Concorrente,
il suo RACCONTO è risultato finalista del Concorso  "CHI HA UCCISO NINA?" ed è stato PUBBLICATO nella I Raccolta Antologica della collana "Troskij Noir", che sarà presentata SABATO 06 luglio Monterotondo (Rm) dalle ore 18.30 durante la manifestazione cino-letteraria "SOIR en NOIR!" presso l'Ass. Cult. "L'ANGOLO DI AMELIE", via Nazario Sauro, 48 (Centro Storico di Monterotondo) https://www.facebook.com/angolodiamelie L'Angolo di Amelie - Cineclub, Music & Theatre