Sono fra i selezionati :-)
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Informazioni e notizie su tutto quello che scrivo, che faccio e che mi accade (anche per sbaglio).
venerdì 31 ottobre 2014
lunedì 20 ottobre 2014
Per sempre diciassettenne
La matita si puntò sul quadernone perché con la coda dell'occhio aveva captato un movimento nel parco della scuola. La panchina era deserta, uno stormo di foglie secche danzava stancamente attorno alla quercia. Riprese quindi a tratteggiare il suo drago corazzato fra gli appunti di storia. Nemmeno questa volta Guen si era accorta che Stefano dall'ultimo banco la osservava insistentemente. La campanella mise fine al monologo del professore su Napoleone Bonaparte e anche la sua classe si riversò nell'androne mescolandosi al fiume di studenti che invadevano chiassosamente il cortile. I più prendevano a piedi mentre pochi fortunati inforcavano le motociclette e filavano via tra il puzzo dell'olio e le dense fumate di scarico.
- Ci vieni stasera alla festa di Stefano? - Marta le si fiondò addosso comparendo dal nulla.
- Ancora non so, - rispose Guen abbozzando un sorriso.
- Eddai, mi sa che gli piaci.
- Peggio ancora. Non voglio casini.
- Non ti piace quel fusto? - la stuzzicò l'amica.
- Al momento non mi interessano queste cose. Accomodati pure, è tutto tuo.
- Magari! E' lui che non mi si fila, sennò... ops! - esclamò Marta dandole una gomitatina.
- Ciao. Ci siete stasera alla mia festa? - Lupus in fabula: Stefano le aspettava al varco nascosto dietro la quercia.
Guen guardava per terra imbarazzata, giochicchiando con qualche foglia.
- Certo! A che ora? - cinguettò Marta ignorando bellamente le occhiatacce dell'amica.
- Alle otto alla mia casa di campagna. Sapete dov'è, vero? I miei non ci sono. Portate da mangiare, i ragazzi portano da bere.
- Ci vediamo lì allora, - disse Marta facendogli l'occhiolino. Ma Stefano non aveva smesso un attimo di guardare Guen che invece non staccava mai gli occhi dal marciapiede.
- Allora a stasera, eh! - lo incalzò Marta sforzandosi di esibire un tono di voce ancora più squillante. Niente da fare. Stefano non la sentiva neppure, la sua attenzione era tutta per Guen.
- Vabbe' - sospirò Marta, rassegnata a rimanere in ombra. - Ciao ciao! - tagliò corto poi tirando l'amica per un braccio.
- Oh, è proprio vero: chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane. Ce l'avessi io uno così che mi viene dietro...
Guen le rispose sospirando: - Domani c'è anche il compito in classe di latino, non ho voglia di venire alla festa.
Da qualche minuto aveva superato il bivio dove di solito si separavano per tornare ognuna a casa propria. Guen si stava chiedendo se non fosse il caso di ripensarci, quando una voce alle sue spalle materializzò i suoi pensieri con un tempismo sbalorditivo.
- Sei davvero sicura di non voler venire alla mia festa?
Anche se lì per lì avrebbe voluto rispondere che invece sì, ci sarebbe stata anche lei alla festa, si voltò di scatto stizzita e sbottò:- No, non posso. Devo studiare!
Rimase di sasso. La voce era stata quella di Stefano, ma il tizio davanti a lei non era Stefano. Un soffio d'aria gelida la fece rabbrividire. Si guardò attorno soffocata da un'improvvisa vampata d'angoscia, cercando scampo in qualche anima pia che passasse da quelle parti. La strada era deserta. Un refolo bistrattò un mulinello di foglie accendendole un'intuizione: quei lunghi capelli neri. Lo svolazzo del soprabito in pelle: era lui dietro la quercia, a scuola! Lo sconosciuto rimaneva in silenzio, inchiodandola con uno sguardo glaciale che sapeva di distanze siderali, di qualcosa che riemerge inesorabile dalle tenebre. Provò a chiedere chi fosse ma le parole le morirono in gola. Lo sconosciuto la bloccò stringendole le braccia. In piedi di fronte a lei la sovrastava di trenta centimetri buoni. Voleva disperatamente scappare ma il corpo non rispondeva, le gambe erano un blocco di cemento. Era paralizzata, riusciva solo a muovere gli occhi. Poi quella voce le entrò in testa come un sibilo, senza che lui muovesse le labbra. Sembrava mormorasse dagli occhi.
- Ciao Guendalina. Alla fine ti ho trovata. C'è un legame speciale che ci unisce, gli Antichi non scelgono a caso i loro seguaci...
Lentamente mise a fuoco il lampadario sul soffitto, nella penombra diafana di camera sua. Si tirò su a sedere. La sveglia sul comodino faceva le quattro e mezza di notte. La testa le girava e pulsava dolorosamente. Si sentiva stranita, distante. Come era tornata a casa? Il ricordo balenò e trasalendo si portò la mano al collo. I polpastrelli sentirono una lacerazione. Si trascinò in bagno con passo malfermo. Accese la luce e una fitta la piegò in ginocchio, strappandole un gemito. Gli occhi avvamparono come se ci fosse entrata della sabbia. Quando riuscì a riaprirli intravide due piccoli fori dai contorni frastagliati, sul collo della ragazza che la fissava spaventata dallo specchio.
http://www.wizardsandblackholes.it/?q=17
- Ci vieni stasera alla festa di Stefano? - Marta le si fiondò addosso comparendo dal nulla.
- Ancora non so, - rispose Guen abbozzando un sorriso.
- Eddai, mi sa che gli piaci.
- Peggio ancora. Non voglio casini.
- Non ti piace quel fusto? - la stuzzicò l'amica.
- Al momento non mi interessano queste cose. Accomodati pure, è tutto tuo.
- Magari! E' lui che non mi si fila, sennò... ops! - esclamò Marta dandole una gomitatina.
- Ciao. Ci siete stasera alla mia festa? - Lupus in fabula: Stefano le aspettava al varco nascosto dietro la quercia.
Guen guardava per terra imbarazzata, giochicchiando con qualche foglia.
- Certo! A che ora? - cinguettò Marta ignorando bellamente le occhiatacce dell'amica.
- Alle otto alla mia casa di campagna. Sapete dov'è, vero? I miei non ci sono. Portate da mangiare, i ragazzi portano da bere.
- Ci vediamo lì allora, - disse Marta facendogli l'occhiolino. Ma Stefano non aveva smesso un attimo di guardare Guen che invece non staccava mai gli occhi dal marciapiede.
- Allora a stasera, eh! - lo incalzò Marta sforzandosi di esibire un tono di voce ancora più squillante. Niente da fare. Stefano non la sentiva neppure, la sua attenzione era tutta per Guen.
- Vabbe' - sospirò Marta, rassegnata a rimanere in ombra. - Ciao ciao! - tagliò corto poi tirando l'amica per un braccio.
- Oh, è proprio vero: chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane. Ce l'avessi io uno così che mi viene dietro...
Guen le rispose sospirando: - Domani c'è anche il compito in classe di latino, non ho voglia di venire alla festa.
Da qualche minuto aveva superato il bivio dove di solito si separavano per tornare ognuna a casa propria. Guen si stava chiedendo se non fosse il caso di ripensarci, quando una voce alle sue spalle materializzò i suoi pensieri con un tempismo sbalorditivo.
- Sei davvero sicura di non voler venire alla mia festa?
Anche se lì per lì avrebbe voluto rispondere che invece sì, ci sarebbe stata anche lei alla festa, si voltò di scatto stizzita e sbottò:- No, non posso. Devo studiare!
Rimase di sasso. La voce era stata quella di Stefano, ma il tizio davanti a lei non era Stefano. Un soffio d'aria gelida la fece rabbrividire. Si guardò attorno soffocata da un'improvvisa vampata d'angoscia, cercando scampo in qualche anima pia che passasse da quelle parti. La strada era deserta. Un refolo bistrattò un mulinello di foglie accendendole un'intuizione: quei lunghi capelli neri. Lo svolazzo del soprabito in pelle: era lui dietro la quercia, a scuola! Lo sconosciuto rimaneva in silenzio, inchiodandola con uno sguardo glaciale che sapeva di distanze siderali, di qualcosa che riemerge inesorabile dalle tenebre. Provò a chiedere chi fosse ma le parole le morirono in gola. Lo sconosciuto la bloccò stringendole le braccia. In piedi di fronte a lei la sovrastava di trenta centimetri buoni. Voleva disperatamente scappare ma il corpo non rispondeva, le gambe erano un blocco di cemento. Era paralizzata, riusciva solo a muovere gli occhi. Poi quella voce le entrò in testa come un sibilo, senza che lui muovesse le labbra. Sembrava mormorasse dagli occhi.
- Ciao Guendalina. Alla fine ti ho trovata. C'è un legame speciale che ci unisce, gli Antichi non scelgono a caso i loro seguaci...
Lentamente mise a fuoco il lampadario sul soffitto, nella penombra diafana di camera sua. Si tirò su a sedere. La sveglia sul comodino faceva le quattro e mezza di notte. La testa le girava e pulsava dolorosamente. Si sentiva stranita, distante. Come era tornata a casa? Il ricordo balenò e trasalendo si portò la mano al collo. I polpastrelli sentirono una lacerazione. Si trascinò in bagno con passo malfermo. Accese la luce e una fitta la piegò in ginocchio, strappandole un gemito. Gli occhi avvamparono come se ci fosse entrata della sabbia. Quando riuscì a riaprirli intravide due piccoli fori dai contorni frastagliati, sul collo della ragazza che la fissava spaventata dallo specchio.
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sabato 18 ottobre 2014
Al Puledro Rampante
L'insegna della locanda cigolava al vento.
- Ehi, guarda là...
- E' quella spugna di Larry che dà ancora fuori di testa, - sghignazzò il compare.
Dal vetro angusto e annerito dal fumo delle candele, due marinai si gustavano lo spettacolo con contorno di tonno e birre scure.
- Ma con chi parla? - Brandelli dello sproloquio di Larry-poverodiavolo filtravano assieme agli spifferi dalle crepe dell'intelaiatura.
- Ci sta provando con una ragazza, mi sembra, - fece quello tracagnotto trangugiando un boccone.
- Sarà la solita polena, - sbottò l'altro pulendosi col braccio la barba coperta di spuma e appoggiando rumorosamente il boccale sul tavolo.
- Ehi, cosa c'è? - il suo amico si era bloccato con un trancio a mezz'aria e la bocca aperta.
- Che diavolo ti prende?!
- Non è una polena. Non è una nave.
L'altro continuava a scrutare la nebbia che avvolgeva il porto con un'espressione tra l'impaurito e lo sbigottito.
- Ma quello è... - farfugliò quello grassoccio.
Due globi rossastri si accesero a bucare la foschia. Lo smilzo si alzò in piedi, incollandosi al vetro e strizzando gli occhi.
- E' un drago!!! - gridarono all'unisono schizzando all'indietro e inciampando nelle sedie.
- Esattamente. Quello è Torcia, il mio fido destriero, - esclamò un giovane sulla soglia. - Buonasera, avrei bisogno di un'informazione, se lorsignori acconsentono...
http://www.wizardsandblackholes.it/?q=lafigliadelpirata
- Ehi, guarda là...
- E' quella spugna di Larry che dà ancora fuori di testa, - sghignazzò il compare.
Dal vetro angusto e annerito dal fumo delle candele, due marinai si gustavano lo spettacolo con contorno di tonno e birre scure.
- Ma con chi parla? - Brandelli dello sproloquio di Larry-poverodiavolo filtravano assieme agli spifferi dalle crepe dell'intelaiatura.
- Ci sta provando con una ragazza, mi sembra, - fece quello tracagnotto trangugiando un boccone.
- Sarà la solita polena, - sbottò l'altro pulendosi col braccio la barba coperta di spuma e appoggiando rumorosamente il boccale sul tavolo.
- Ehi, cosa c'è? - il suo amico si era bloccato con un trancio a mezz'aria e la bocca aperta.
- Che diavolo ti prende?!
- Non è una polena. Non è una nave.
L'altro continuava a scrutare la nebbia che avvolgeva il porto con un'espressione tra l'impaurito e lo sbigottito.
- Ma quello è... - farfugliò quello grassoccio.
Due globi rossastri si accesero a bucare la foschia. Lo smilzo si alzò in piedi, incollandosi al vetro e strizzando gli occhi.
- E' un drago!!! - gridarono all'unisono schizzando all'indietro e inciampando nelle sedie.
- Esattamente. Quello è Torcia, il mio fido destriero, - esclamò un giovane sulla soglia. - Buonasera, avrei bisogno di un'informazione, se lorsignori acconsentono...
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Fiocco rosa in casa Robinson
- Guardala... - sussurrò Eva illuminandosi tutta.
Suo marito Jake sorrideva imbambolato, non riuscendo a staccare gli occhi dalla fagottina che dormiva beata nella culla.
- Fai la nanna cuccioletta, - mormorò Eva sfiorandole appena le guanciotte. - Non è un amore?
- Tutta sua mamma! - bisbigliò Jake. Eva gli appoggiò morbidamente un bacio sulla guancia.
- Avremo fatto bene? - disse Jake tirando la moglie un po' in disparte per non rischiare di svegliare la piccola.
Eva lo guardava senza capire.
- E se diventa un... - il pirata si interruppe e abbassò lo sguardo.
Lei aveva capito dove voleva andare a parare ma si limitò a fissarlo aspettando che finisse lui la frase.
- Ho paura che sia un mostro come noi, - ammise Jake. Ecco, aveva sputato il rospo.
- Katherine è nostra figlia. Ed è una bimba perfettamente sana, come ha detto il dottor Jones. E' forse una colpa amarsi? Sarà quel che vuole il cielo.
Dalla culla si levarono dei versetti a interrompere la conversazione.
- Ehi, ciao Kat, ti sei svegliata piccolina? - Appoggiato alla sponda della culla Jake le accarezzava teneramente il pancino. Katherine sorrideva dimenando le manine.
- Il babbo ha paura. Dì al babbo che sei una bimbina normale normale - scherzò Eva.
La piccola parve farsi seria di botto e iniziò a guardare Jake tutta assorta. Il pirata si sentì invaso da un calore benefico che, divampato nel petto, saliva pian piano ad irrorargli la mente. Era come se una voce dentro di lui gli mormorasse:- Non preoccuparti, tranquillo, andrà tutto bene.
A un tratto sentì qualcosa che gli sfiorava la testa. Katherine sorrideva di nuovo e lo indicava. Lentamente la bandana che gli legava i lunghi capelli corvini si sfilò e fluttuò adagio fin dentro la culla. Katherine la strinse fra le manine cicciotte e lanciò un gridolino d'esultanza.
http://www.wizardsandblackholes.it/?q=lafigliadelpirata
Suo marito Jake sorrideva imbambolato, non riuscendo a staccare gli occhi dalla fagottina che dormiva beata nella culla.
- Fai la nanna cuccioletta, - mormorò Eva sfiorandole appena le guanciotte. - Non è un amore?
- Tutta sua mamma! - bisbigliò Jake. Eva gli appoggiò morbidamente un bacio sulla guancia.
- Avremo fatto bene? - disse Jake tirando la moglie un po' in disparte per non rischiare di svegliare la piccola.
Eva lo guardava senza capire.
- E se diventa un... - il pirata si interruppe e abbassò lo sguardo.
Lei aveva capito dove voleva andare a parare ma si limitò a fissarlo aspettando che finisse lui la frase.
- Ho paura che sia un mostro come noi, - ammise Jake. Ecco, aveva sputato il rospo.
- Katherine è nostra figlia. Ed è una bimba perfettamente sana, come ha detto il dottor Jones. E' forse una colpa amarsi? Sarà quel che vuole il cielo.
Dalla culla si levarono dei versetti a interrompere la conversazione.
- Ehi, ciao Kat, ti sei svegliata piccolina? - Appoggiato alla sponda della culla Jake le accarezzava teneramente il pancino. Katherine sorrideva dimenando le manine.
- Il babbo ha paura. Dì al babbo che sei una bimbina normale normale - scherzò Eva.
La piccola parve farsi seria di botto e iniziò a guardare Jake tutta assorta. Il pirata si sentì invaso da un calore benefico che, divampato nel petto, saliva pian piano ad irrorargli la mente. Era come se una voce dentro di lui gli mormorasse:- Non preoccuparti, tranquillo, andrà tutto bene.
A un tratto sentì qualcosa che gli sfiorava la testa. Katherine sorrideva di nuovo e lo indicava. Lentamente la bandana che gli legava i lunghi capelli corvini si sfilò e fluttuò adagio fin dentro la culla. Katherine la strinse fra le manine cicciotte e lanciò un gridolino d'esultanza.
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mercoledì 15 ottobre 2014
La Caccia III: la figlia del pirata
http://www.wizardsandblackholes.it/
La Caccia III: la figlia del pirata
L'imperdibile capitolo finale della mia trilogia.
La Caccia III: la figlia del pirata
L'imperdibile capitolo finale della mia trilogia.
domenica 5 ottobre 2014
venerdì 3 ottobre 2014
Il diario (Text-trailer "17")
Dal diario di Jim:
16-12-2014
1984 sbucciato testa mensola 1985 caduto scale 1986 incidente in bici 1987 rotto piede
1996 investito da camion sulle strisce-braccio rotto emorragia interna-guarito in sette giorni- massimale panca 150 Kg.
Siete superstiziosi? A me ogni volta che sento parlare di gatti neri che attraversano la strada o di non passare sotto una scala mi viene da ridere.
Ciao a tutti. Mi chiamo Jim, sono un poliziotto. E la mia vita è tutto un 17.
Domani è il mio 34esimo compleanno e se sopravviverò forse riuscirò a battere la mia ragazza a braccio di ferro. Guen... se penso che potrei non rivederla più mi sale il panico, mi viene da vomitare. Come se già non fosse un problema stare con una di 17 anni. Vaglielo a spiegare alla gente che ha 17 anni da un bel pezzo...
Poi c’è Alex, il mio migliore amico. Non voglio morire, mi mancheranno le nostre sfide, la mia Viper contro la sua Ducati.
Non riesco a prendere sonno. Di male in peggio, domani avrò bisogno di essere al 100%. Incrociate le dita per me...!
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Gregor (Text-trailer "17")
Jim sentì il tonfo e si sporse di scatto oltre la fila di armadietti. La sorprese col pugno ancora serrato e gli occhi velati di lacrime; un accenno di canini le scendeva dal labbro.
- Che hai Guen, che succede? - disse lanciando un'occhiata al pezzo d'intonaco che si era staccato dalla parete.
Non si aspettava di trovarlo lì, credeva che i colleghi se ne fossero già andati tutti. Aveva riposto il distintivo e la camicetta dell'uniforme ed era rimasta in reggiseno.
Dopo qualche istante di esitazione decise che il suo ragazzo doveva sapere.
- Il cadavere scoperto oggi... - bisbigliò.
- Il vampiro. Sì, e allora?
- Aveva una «G» tatuata sul braccio...
- Non ci ho fatto caso, cosa significa?
- Sta per Gregor.
- Azzo! - sbraitò di colpo Jim. No, scusa piccola: ho dimenticato a casa la chiave dell'armadietto... un'altra volta... di 'sto passo mi fumerò uno stipendio in lucchetti...
Guen sorrise. Era di nuovo riuscito a sdrammatizzare e a tirarla un po' su, anche se in modo comico e del tutto involontario.
Jim si guardò un attimo intorno, poi al sicuro da sguardi indiscreti strappò il lucchetto con uno strattone.
- E chi è Gregor? - le chiese poi lanciando il blocchetto d'acciaio nel cestino, a mo' di tiro a canestro.
Guen tornò seria e un'ombra le passò sul viso. - Stavo con lui prima di mettermi con te. E' lui che mi ha trasformata. Credo mi stia cercando.
- Non gli permetterò di farti del male.
- Tu non lo conosci! - urlò lei. - E' troppo forte per noi due.
- E per noi tre invece? - esclamò Alex facendo capolino dagli armadietti.
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Toccata e fuga al "Coast to Coast" (Text-trailer "17")
Il commissario Naspetti bofonchiava chino sul verbale ripetendo l'ultima frase per convincersi che suonasse bene, oltre che riportare fedelmente le circostanze dell'arresto. Odiava perdere tempo con le scartoffie, specialmente quando si trattava di un pesce piccolo.
- Posso? - Guen si affacciò nella stanza bussando piano.
- Entra. - Naspetti le rivolse con noncuranza un gesto della mano, continuando a ragionare sul manoscritto (non era molto pratico di computer e per sicurezza faceva sempre una stesura su carta prima di digitalizzare il tutto).
- Uhm... dunque... l'agente Baldini ha sparato... no, ha esploso tre colpi in aria intimando di fermarsi... Ecco. Oh, scusa - disse poi alzando lo sguardo e appoggiando la biro sulla scrivania - dimmi.
- Volevo ricordarle che domani ho preso la giornata libera.
- Sì sì me lo ricordo. Ah! - la bloccò che si era già voltata e impugnava la maniglia.
- Sto scrivendo il verbale per quel tossico di Alessi che abbiamo arrestato stamattina. Ci ha detto dove trovare il complice.
- Terenzi? - fece Guen.
- Esatto. Fa il barista al Coast to Coast tutte le sere dalle sei.
- Ok, ci vado subito e lo porto qui.
- Intero mi raccomando...
- Sissignore! - e sorridendo scomparve.
Il capellone che la vide scendere dalla mastodontica Guzzi con la livrea bianca e blu la spogliava con gli occhi a ogni passo che faceva. Guen gli sorrise ed entrò nel bar dribblando due Harley parcheggiate malamente.
- Salve ragazzi. Polizia. Dov'è Luca Terenzi?
Nessuno rispose. Tutti la fissavano: chi divertito, chi eccitato e chi arrabbiato.
- Ehi bambolina non sei un po' troppo giovane per giocare ai poliziotti? - era il tipo seduto fuori che adesso le stava alle spalle.
Senza scomporsi Guen gli appiccicò sul naso il distintivo contraffatto.
- Forza, non ho tempo da perdere. Tra poco finisco il turno e gli straordinari non me li pagano quindi... dov'è?!
- Te lo dico se ti fai offrire da bere - un troglodita con una camicia senza maniche unta di grasso di motore si era staccato dal bancone con una Bud in mano e le si era avvicinato gonfiando il petto, esibendosi in una camminata da duro.
- Grazie ma non bevo in servizio - rispose Guen accentuando un sorriso ipocrita.
- Allora perché non mi offri tu qualcosa... - ghignò il tipo allungandole una mano verso i fianchi.
Guen scattò e gliela strinse in una morsa. - Giù le zampe! - ringhiò. Le iridi guizzarono di un lampo giallastro. Strinse finché il ceffo non iniziò a urlare, poi mollò la presa. L'energumeno barcollò indietro per qualche passo poi le ruppe in faccia la bottiglia di birra.
Guen incassò senza un gemito e tornò subito a fissarlo. I tagli rossi sul viso si chiusero in un istante e la pelle tornò di porcellana come se non fosse successo niente.
- Bene. Aggressione a Pubblico Ufficiale. Questo mi autorizza a reagire. - colpì il tizio col palmo della mano scaraventandolo contro le mensole dei liquori che rovinarono a terra in una pioggia di legno e vetro.
A un secondo ceffo bloccò la stecca da biliardo a mezz'aria, gliela ruppe in testa e con un calciò lo spedì attraverso la finestra a ruzzolare malconcio nel parcheggio polveroso.
- Che cazzo succede qui? - da una porticina nascosta dalla tappezzeria sbucò un ciccione pelato col pizzetto, gli occhiali scuri e una bagascia in topless alla cintura.
- Luca Terenzi, il tuo amico ha confessato. Sei in arresto per spaccio di cocaina. E a quanto pare... - aggiunse Guen squadrando la signorina - anche per favoreggiamento della prostituzione.
- Ma succhiami l'uccello! - berciò Terenzi facendo apparire dal cilindro un fucile a canne mozze e spintonando via la dolce metà.
Sparò e pompò fino a svuotare il caricatore. Centrata dai pallettoni, fu fatta letteralmente volare contro il muro; frantumò due quadri e scivolò sul pavimento lasciando una scia rossa sulla parete.
- Affanculo! - esclamò Terenzi soddisfatto. Stava per tornare alla saletta privata a riprendere il divertimento quando un rumore e un presentimento lo fecero esitare.
Si voltò e si ritrovò Guen a due centimetri dalla faccia. Troppo tardi per abbozzare una reazione: strabuzzò gli occhi e rantolando stramazzò a terra senza fiato, afflosciato da un montante fulmineo.
Guen lo prese per la cintura e si affrettò verso l'uscita. - Lo porto in centrale, è in arresto. Si fermò un attimo. - Il dipartimento le rimborserà i danni al locale. - disse al barista con voce piatta. Quello continuò a guardarla attonito.
- Cazzo, che stupida! - sibilò una volta uscita, guardando la Guzzi.
Per fortuna un pick-up fosforescente addobbato con sgargianti lingue di fuoco le inchiodò davanti in una nuvola di polvere.
Guen sorrise fra sé. - Requisisco il veicolo per un'azione di polizia - comunicò al conducente appena sceso. Vedendo l'uniforme costellata di fori grandi come palle da biliardo e Terenzi tenuto come una borsa della spesa, quello tremando le lanciò le chiavi del furgone.
- Tu prendi la mia moto e seguimi al commissariato!
Il tizio annuì come uno zombie, sotto lo sguardo dei pochi avventori rimasti che si erano accalcati all'ingresso.
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Un bel volo (Text-trailer "17")
- Sento i rami che frusciano. Toh! Uno scoiattolo!
Jim, alla guida, sorrideva. La Viper filava veloce sui tornanti. La sbirciava, felice e divertito.
- Che figata! Non mi ero mai accorta di come si acuissero gli altri sensi. Oh, arriviamo? Mi sembra una vita che siamo partiti...
- Quasi, manca poco. Ho voluto farti una sorpresa. Hai preso sempre un giorno di ferie a ogni mio compleanno, per starmi vicina e volevo ringraziarti.
- Non voglio ti succeda niente. E poi sono ancora più forte di te.
L'aria frizzante le portava aromi di prati fioriti ed erba appena tagliata.
- Eccoci. - esclamò Jim. Il muscoloso dieci cilindri si ammutolì, lasciando la scena al sibilo del vento tra le insenature e le chiome degli alberi.
Guen si tolse la benda e subito si illuminò in un sorriso.
Scese dall'auto e si sporse dallo strapiombo. Di sotto, a un centinaio di metri, un fiume formava una pozza che sussurrava di mille barbagli dorati. Tutto intorno si estendevano grandi blocchi di pietra levigati, una passerella naturale abbellita da sprazzi di verde.
- Sarà la nostra laguna privata, - disse Jim. - Ti piace?
- E' bellissima. - rispose Guen.
- Sono venuto qui altre volte, a fare dei sopralluoghi. Ci si arriva solo calandosi da un elicottero. Col paracadute non è il caso, il corridoio di roccia è molto stretto.
- L'acqua è abbastanza profonda?
- Sì. Ho guardato su internet e per sicurezza ho telefonato anche alla Forestale.
Senza aggiungere altro Jim tornò alla macchina e prese uno zaino dal bagagliaio.
- Che c'è dentro? - chiese Guen.
- Sorpresa. Allora, andiamo? - ammiccò Jim indicando il burrone con un cenno del capo.
- A quest'altezza sarà una bella botta. Sicuro di essere pronto?
- Vedremo. Al massimo stai pronta tu a mordermi, se vedi che i miei poteri non bastano...
Rimasero qualche istante in silenzio. Anche il vento si era fermato. Jim le prese la mano e piantò i suoi occhi azzurri in quella nocciola di lei.
Guen annuì, seria. Jim annuì, sorridendo.
Il volo sembrò infinito. La colonna di spruzzi esplose come un geyser, stormi di uccelli spiccarono il volo in un frenetico frullare d'ali.
Riemersero respirando affannosamente e boccheggiando rumorosamente, ammantati da un freddo sepolcrale.
***
Sempre per mano, ancora uno accanto all'altra, stavano supini su un masso piatto e liscio. Lui coi boxer e lei in mutandine e reggiseno, i vestiti appoggiati lì a fianco ad asciugarsi al sole.
- Non mi sono rotto nulla - esultò Jim. - Sai... - riprese poi in tono grave - a volte penso... che un giorno forse non la spunterò. Cioè, non è detto che sia scontato sopravvivere e aumentare i poteri...
Guen si mise su un fianco e gli scoccò un bacio morbido sulla guancia.
- Sono delle prove? E' un percorso già stabilito? E dove mi porterà? Oppure è una condanna e una di queste sciagure prima o poi mi ucciderà? - disse Jim.
- Finché ci sarò io non morirai, te lo garantisco. Al massimo ti faccio diventare un vampiro... - scherzò Guen.
- Com'è successo a Naspetti... - sussurrò Jim.
- Eggià. - bisbigliò lei sorridendo e continuando a guardarlo, girata sul fianco.
La biancheria bagnata le si appiccicava addosso, mezza trasparente.
Jim si guardò attorno: che qualcuno potesse vederli era fuori discussione, ma scacciò il pensiero. Scattò in piedi e prese lo zaino.
- Ah... Adesso vediamo cosa c'è lì dentro, - fece Guen.
Jim estrasse una bandierina e andò a incastrarla in un mucchio di pietre. «Reame di Jim e Guen» c'era scritto con un pennarello nero.
- Ecco. Come ti ho detto, d'ora in poi questo sarà il nostro regno.
Guen rise, mentre Jim continuava ad armeggiare nello zainetto. Tirò fuori una busta di plastica sigillata e cominciò a disporne il contenuto.
- Dai... dopo quel volo è ancora tutto sano... - esclamò Guen raggiante.
Come ultimo tocco sistemò il bouquet di margherite e violette tra i calici. E voilà, il pic-nic era servito: due tramezzini prosciutto e funghi, due con uova e maionese e una bottiglia di birra rossa artigianale.
- Brindo a un altro scampato compleanno, a questo posto meraviglioso e alla mia splendida fidanzata! - propose Jim.
- Cin cin! - esultò Guen. - Senti... - continuò - che dici se facciamo come Twilight(1) e corro su per il bosco portandoti in spalla?
Risero forte e vuotarono d'un fiato i bicchieri.
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(1) Twilight è un film del 2008 diretto da Catherine Hardwicke e sceneggiato da Melissa Rosenberg, adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 2005 di Stephenie Meyer.
Volando col vecchio John
Ronfava supino nella gondola, con la bottiglia di gin stretta in mano. Il cielo e il sole erano degni di una tela impressionista ma il vecchio John, inciuccato com'era, si perdeva beatamente lo spettacolo.
Come al solito toccava al fedele pappagallo Polly occuparsi del volo. John gli aveva insegnato a tirare la corda per sprigionare il fuoco e così, escursione dopo escursione, l'arguto pennuto era diventato un maestro nel gonfiare il pallone al momento giusto ed evitare che si schiantasse contro qualche montagna. Va detto, a onor del vero (di modo che Polly non si monti troppo la testa), che gli ordini da seguire non erano dei più complessi: l'affezionato padrone si raccomandava solo di mantenere integri il pallone variopintamente rattoppato e i suoi occupanti fino al risveglio del suddetto dalla quotidiana e inevitabile sbronza d'alta quota.
E come ogni giorno da mesi ormai, Polly stava facendo un lavoro egregio.
- Dobloni d'oro... corona incastonata di diamanti... - farfugliava John dimenandosi ogni tanto tra gli sbuffi e il russare; perché prima che l'ottuagenario John andasse in fissa con la mongolfiera, anche lui era stato un lupo di mare. Un pirata, per la precisione. Il classico filibustiere con tanto di tricorno, camicia sborsante, pantaloni a righe e scimitarra a penzoloni nella fusciacca; uno dei tanti che nel diciottesimo secolo aveva sperato e tentato di far fortuna cavalcando i flutti tra un arrembaggio e l'altro.
Il vecchio John stava appunto sognando un condensato dei suoi più ardenti desideri giovanili: un'ingiallita mappa del tesoro, un'isola sperduta e incantevole, un forziere sotterrato e una bella indigena in una capanna di palme.
Purtroppo la fortuna non aveva arriso al vecchio John e i suoi anni da pirata li aveva passati più che altro dietro le sbarre di qualche fatiscente prigione, in isole sì sperdute ma per nulla incantevoli.
Al povero John, miracolosamente giunto alla vecchiaia ma consumato da peripezie e vicissitudini prima e da frustrazioni, rimpianti e alcol poi, non restò che trovare un porto sicuro in una gioiosa infermità mentale a spasso tra le nuvole. Così radunò tutto quanto la sua carriera piratesca gli aveva fruttato e comprò una logora mongolfiera di seconda mano e un pappagallo parlante, lasciando da parte il necessario per rum, whisky e gin.
- Capitano capitano, guerra! - John si riscosse al gracchiare furibondo di Polly. Si rimise in piedi a fatica, rischiando più volte di volare di sotto.
Si stropicciò a lungo gli occhi finché non intravvide la grande testa di scimmia sul monte.
- Guerra guerra, Isola della Scimmia! - continuava a starnazzare Polly.
Incuriosito da uno strano bagliore accesosi tra la boscaglia, John allungò il cannocchiale e mise a fuoco, tenendosi precariamente in equilibrio.
- Per mille sargassi, Polly! - mormorò. - Che stregoneria è mai questa?!
Per un attimo pensò che fossero le allucinazioni di un ubriacone, così tolse l'occhio dalla lente, si risedette, fece due tre respiri profondi e rimase accucciato per qualche minuto.
Polly continuava a sirene spiegate, con gran spolvericcio di piume blu e rosse.
Si rialzò tenendosi questa volta saldamente al parapetto e inforcò di nuovo il cannocchiale.
Guardò e guardò ancora. Deglutì e continuò a guardare. Là sotto stava succedendo qualcosa di terribile. E là in mezzo, da qualche parte, doveva esserci anche il suo amico Jake.
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L'appuntamento (parte seconda)
- Ma che caz...! - l'agente di guardia scattò dalla sedia additando il monitor al collega.
Sullo schermo si vedeva un poliziotto, dei quattro in servizio giù nella hall, che si avvicinava all'entrata rivolgendosi a qualcuno. Solo che la telecamera non immortalava nessuno. Il poliziotto volò per terra scivolando fuori dall'inquadratura e il capannello di gente si accalcò alle pareti, facendo il vuoto lungo il corridoio centrale. I due agenti corsero fuori armi in pugno e si precipitarono giù per le scale trascinandosi dietro gli anni e i chili di troppo. D'un tratto si bloccarono ansimanti. Un pipistrello schizzò vicino alla tempia del primo che si abbassò bruscamente, gemendo per la fitta al collo che il movimento repentino gli aveva procurato. Il secondo poliziotto aveva puntato l'arma verso il roditore volante, salvo poi stupirsi di quanto fosse idiota pensare di far fuoco.
Il pipistrello accennò un ghigno sprezzante e continuò il suo volo diretto all'ultimo piano.
- Dieci minuti alla messa in onda! - gridò qualcuno a Kasumoto. Il vecchietto dal viso di cuoio stava dando gli ultimi colpi di pettine alla candida zazzera a spazzola, quando il trambusto lo fece voltare di scatto. Gli operatori alle postazioni saltarono sulle sedie, togliendosi le cuffie. I battenti dell'ingresso esplosero. Una figura vestita di pelle, dai lunghi capelli corvini fluttuò nella stanza e in un attimo serrò in una morsa il collo del presentatore. Poche isolate grida si levarono dalla moltitudine dei presenti, i più rimasero impietriti.
- Che fine ha fatto la mia ragazza? - tuonò il misterioso sconosciuto.
- Di chi parli? - rantolò Kasumoto.
- Midori Watanabe. Aveva appuntamento qui due giorni fa.
Tre colpi di revolver .38 rimbombarono nella sala e scavarono altrettanti fori nel giubbotto del ragazzo, che continuò l'interrogatorio come se niente fosse.
- Da due giorni ha il telefono spento. A casa non c'è. Che fine ha fatto? - gridò stringendogli ancora di più il collo e sollevandolo di un metro buono da terra.
Le due guardie intanto stavano correndo a pistole spianate verso l'aggressore.
- Non sparate idioti, rischiate di colpirmi! - riuscì a farfugliare Kasumoto sempre più sofferente.
Con la mano libera il ragazzo afferrò un tavolino e senza voltarsi lo scagliò contro gli agenti, abbattendoli come birilli.
Nella sala era calato un silenzio di tomba.
- Dunque, vediamo se ti torna la memoria o se finisci prima l'ossigeno... - disse il giovane in tono pacato. - Dimmi dov'è Midori.
Kasumoto sfiatò un sorriso stentato.
- Cos'hai da ridere vecchio?
- Vuoi Midori? E che problema c'è... Non c'è bisogno di scaldarsi tanto. Andiamo in onda a minuti. Ti ci mando subito, da Midori, se è quello che vuoi...
Spiazzato da quelle parole il ragazzo mollò la presa e Kasumoto ricadde a terra, tossendo e tastandosi il collo rugoso.
- Vuoi darti una ritoccatina al trucco, bel tenebroso, prima di raggiungere la tua amata sul set? - chiese beffardo il vecchio presentatore. Sarà un ottimo avversario per i Cacciatori, gli ascolti schizzeranno alle stelle, pensò poi compiaciuto.
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