Maria assistette alla scena allibita,
con le lacrime agli occhi.
“Tra i biglietti venduti non risulta
quello di sua figlia”, sillabò il poliziotto con voce monotona e
distaccata.
La donna balbettò qualcosa tentando
istintivamente di richiamare i due agenti che stavano salendo in
auto.
“Sara aveva scritto il nome sul suo
biglietto”, bisbigliò, “un biglietto rosa...”
Ma quelli misero in moto senza
profferir parola e l'auto di pattuglia riprese apaticamente la strada
fino a sparire all'orizzonte.
Non poteva crederci. Non voleva
andarsene ma non sapeva cos'altro fare, a quel punto.
Con la coda dell'occhio vide il
turbante azzurro dell'ipnotizzatore scomparire dietro le gabbie dei
leoni.
Il giostraio sputò lo stuzzicadenti e
le rivolse un ghigno sprezzante. Si passò le mani sudice sulla
canottiera e rimase immobile a fissarla. “Vede signora, sua figlia
non è mai entrata in quel tunnel. Non l'ho mai vista. Si sbaglia,
gliel'ho già detto”, la incalzò.
Maria sentì montare una vampata di
collera. Poi qualcosa si mosse fra i cespugli intorno, un verso
proruppe dalle scure chiome delle querce e d'un tratto realizzò di
essere sola. In un bosco, di notte. Sola di fronte a un losco
individuo.
La luna era offuscata. Ogni tanto una
folata calciava via cartacce e lattine fra l'erba spelacchiata. Lo
sguardo del giostraio mutò. Non era più beffardo, era minaccioso
ora. “Vada via”, diceva quello sguardo, “non c'è niente che le
sia amico qui”.
E difatti non c'era. Maria tornò al
parcheggio quasi di corsa. La sua monovolume le sembrava l'unico
posto sicuro, al momento. Aveva bisogno di pensare senza allontanarsi
da lì.
Vide le luci del circo spegnersi una
dopo l'altra. Sagome grigiastre e curve spingevano le gabbie sotto i
tendoni. Finché tutto fu silenzio.
Raccolse il peluche della figlia dal
sedile a fianco: una tartaruga gialla con due enormi occhi azzurri da
cartone animato. E si sciolse in un pianto convulso.
Sara... scomparsa. Gliel'avevano
rapita. Cosa fare se nemmeno la polizia poteva aiutarla? Da chi
andare?
Accese il motore sgasando e partì
sgommando, coi fari che bucavano la boscaglia.
“Maria... dai, lo sai, hai visto che
ore sono? Ti ho detto di non chiamar...”
“Sì sì lo so. Non è per noi. E'
per Sara.”
Sandro si riscosse e si staccò dalla
parete mettendosi in ascolto bello dritto. “Cos'è successo a
Sara?”
“Non al telefono. Vieni a casa mia.
Verrei lì io, ma c'è Livia...”
“La mia compagna fa parte della mia
famiglia. Devi accettarlo, Maria. Il giudice ha detto...”
“Non m'importa adesso! Nostra figlia
è...” urlò Maria. “Scusa...”, continuò poi più pacata.
“Scusa. Sì sì, lo so. Tranquillo. L'ho superata ormai. E' giusto
che tu faccia la tua vita. Doveva andare così. D'altronde i
matrimoni si sfasciano tutti i giorni, no? Comunque, non è questo.
Sara...”
“Si è fatta male? Dimmi!”, esclamò
Sandro preoccupato.
Dall'altro capo del telefono giunse un
sospiro.
“Vieni qui, Sandro. Ti racconterò
tutto.”
Entrò trafelato, in pantaloni del
pigiama e maglietta bianca. Aveva ancora una copia delle chiavi,
anche se a breve avrebbe dovuto restituirla. Maria lo aspettava
seduta al tavolo con due tazze di caffè fumanti. Quando Sandro si
accomodò iniziò subito a raccontargli della serata.
Quello strano circo. Sara tutta
entusiasta all'idea di vedere i clown, e i leoni e le giraffe.
Quel maledetto tunnel delle “Fiabe
Sbagliate”. Sara che entrava e che non sarebbe più uscita.
Il giostraio equivoco. I poliziotti in
trance che fingevano di sfogliare una mazzetta inesistente di
biglietti, alla ricerca di quello rosa con su scritto “Sara” e un
cuoricino...
L'uomo più forte del mondo che aveva
sollevato un elefante e demolito un'auto a calci e pugni.
E sembrava tutto vero. Il mago che
aveva “clonato” un volontario dal pubblico.
“Erano gemelli. D'accordo con quelli
del circo... mettono dei complici sugli spalti”, obiettò Sandro.
“Uno guardava l'altro come fosse un
fantasma. E l'altro si guardava le mani e si toccava come stupito di
essere al mondo, pallido come un morto. Dovevi vedere Sandro...
dovevi esserci... sembrava tutto vero. Troppo vero...”, disse Maria
con un filo di voce e gli occhi sgranati.
Sandro rimase in silenzio, sorseggiando
il caffè giusto per non starsene con le mani in mano.
“L'avranno già portata via. Chissà
dove... Cosa possiamo fare?”, implorò Maria.
“Se non sbaglio il circo riparte
domani l'altro, giusto?”
Maria annuì.
“A quel che mi dici la polizia è
fuori gioco. Allora stanotte ci vado io.”
“Vengo anche io.”, esclamò Maria.
“A te ti conoscono, invece a me anche
se mi beccano non possono collegarmi a Sara. E' meglio così. Se è
scomparsa in quel tunnel, mi ci intrufolerò. Non è passato molto
tempo, magari è ancora lì dentro. E poi tocca a me: è pericoloso e
sono suo padre.”
Le sorrise, fermo sull'uscio, col
fucile a tracolla. I loro sguardi si incontrarono come non succedeva
da anni.
Acquattato fra i cespugli Sandro
ispezionava lo spiazzo del circo col binocolo a infrarossi, un
souvenir di quando era nell'esercito. Nessuna attività. Il cielo era
plumbeo e illune. Non tirava un filo d'aria. Giunse indisturbato fino
all'ingresso, due alti pali di legno che reggevano un telone su cui
campeggiava in giallo la scritta “CIRCO”.
Strano che non ci fosse un nome o un
cognome. “CIRCO” e basta.
Imbracciò il sovrapposto1,
tenendo occhi e orecchie ben aperti. Si aspettava di venir assalito
da un branco di leoni o dall'uomo forzuto che gli scagliava contro un
fuoristrada; o da un gruppo di clown inquietanti che piroettando e
saltando gli lanciavano una pioggia di coltelli.
Ma non successe nulla di tutto questo.
Sotto i tendoni artisti e animali dello spettacolo ronfavano
all'unisono.
A un tratto, mentre si guardava intorno
pensieroso, gli saltò all'occhio: il tunnel delle “Fiabe
Sbagliate”, dove la parola “Sbagliate” era stata aggiunta a
mano, con la vernice che ancora colava, mentre “Fiabe” era
stampata in eleganti arzigogoli dorati. Proprio come descrittogli da
Maria. L'ingresso era incustodito.
All'interno del tunnel lo spazio si
dilatava in modo abnorme, sfociando in un bosco non dissimile da
quello all'esterno, con alberi ad alto fusto cupi e spettrali.
Il trenino, abbandonato, era
arrugginito e danneggiato in più punti. Non c'erano rotaie su cui
potesse scorrere.
Sandro impugnò saldamente il fucile e
si addentrò , spiato da mille occhi invisibili e dai sussurri del
vento fra le fronde.
Una scia rossa saettò davanti a lui,
facendolo trasalire. Intravvide un mantello volare a filo d'erba,
rapido come un battito di ciglia. Con circospezione ne seguì le
tracce fino a una casetta in legno. Dal comignolo un rivolo di fumo
grigio si sfilacciava pigramente sotto una luna diafana.
Attirato da un brusio costante si
accovacciò sotto la finestra. Due voci gli giungevano chiare.
“Nonnina, che orecchie grandi che
hai...”
“Per sentirti meglio, nipotina
mia...”
“Nonnina, ma che occhi grandi che
hai...”
“Per vederti meglio, nipotina mia...”
“Nonnina... lo so che sei il lupo!”
Poi dentro si scatenò il finimondo:
urla, latrati, tonfi, roba che andava in pezzi...
Sandro sfondò la finestra e irruppe.
Quella che sembrava una ragazzina con
la mantellina scarlatta si drizzò sul letto, staccandosi
dall'ammasso peloso, con la bocca e il viso lordi di sangue.
“Filetto di lupo alla tartara, vuoi
favorire?!”, gli urlò contro trasfigurata in un ghigno animalesco
e demoniaco.
Sandro si precipitò fuori spalancando
la porta con un calcio e mettendosi a correre a perdifiato.
La ragazzina intanto si era ributtata a
capofitto sulle viscere della carcassa, saziandosene perversamente.
Ansimando, seduto sotto un albero,
Sandro guardava ancora in direzione della casetta, incredulo e
scioccato.
“Presto che è tardi presto che è
tardi!”
Un coniglio trotterellava verso di lui
controllando ossessivamente un orologio da taschino.
Avanzava in posizione eretta. Indossava
un elegante panciotto grigio, portava un monocolo e calzava un
cappello a cilindro.
“Presto che è tardi presto che è
tardi!”, ripeteva zampettando.
D'un tratto una fucilata gli fece
saltare la testa, troncando a metà anche la frase.
Sandro sussultò. Si mise in piedi, ma
stando ben attento a non sporgersi dal tronco dell'albero.
Una bambinetta con le treccine avanzava
a passo spedito, con una doppietta aperta appoggiata sulla spalla.
Sulla maglietta spiccava la scritta “Alice rules”.
“Adesso non è più tardi, hai tutto
il tempo che vuoi, schifoso!”, esclamò la ragazzina sputando sulla
testa del coniglio rotolata a qualche metro dal corpo martoriato.
Sandro calpestò inavvertitamente un
ramo secco. La bimba ricaricò la doppietta in un lampo e fece
esplodere una nuvola di corteccia. Sandro si gettò a terra finendo
allo scoperto.
“Ah ah tana per te! Chi diavolo
sei?”, berciò la marmocchia.
Sandro non riuscì a rispondere nulla
.“Alice nel paese delle meraviglie...”, sussurrò pensando ad
alta voce.
“Io sono Alice, ma questo è lo
stronzo paese delle meraviglie!”, urlò puntandogli contro il
fucile.
“Guarda, c'è lo Stregatto!”, gridò
Sandro indicando alle sue spalle.
“Dove cazzo è?”, farfugliò Alice
pronta a sfracellarlo di pallettoni.
Approfittando dell'attimo di
distrazione le fu addosso. Con una mano bloccò la doppietta
puntandola a terra e con l'altra le sferrò un tremendo diretto in
pieno viso.
Alice cadde all'indietro senza fare un
fiato, col naso ridotto a una poltiglia sanguinolenta e la mascella
probabilmente fratturata.
“Papà papà!”, Sara gli corse
incontro sbucando da un cespuglio e gli saltò al collo.
Sandro la strinse forte, chiudendo gli
occhi. “Sara...! Dov'eri finita? Cos'è successo?”
“Durante il giro sono caduta dal
trenino”, spiegò in lacrime. “Andava veloce, prendeva le buche,
saltava... sono caduta fuori. Ho trovato una casetta e mi sono
riposata un po' lì dentro. Poi sono arrivati tre orsi, mi sono
spaventata e sono fuggita nel bosco. Ho sentito gli spari, ti ho
visto e... papà che hai fatto? L'hai uccisa?!”, disse poi
singhiozzando più forte, guardando ora Sandro ora Alice riversa a
terra.
“No... ehm...”, farfugliò Sandro,
“ diceva le parolacce. Ecco. Diceva un sacco di parolacce. Non si
dicono le parolacce... d'accordo piccola?”
Sara annuiva, bianca come un lenzuolo,
gli occhi sbarrati e colmi di paura.
E così uscirono dal tunnel, Sara in
braccio al papà, e senza incontrare altri ostacoli tornarono a casa
da Maria, che li accolse piangendo di gioia.
Il giorno dopo quel misterioso circo
scomparve senza lasciare traccia e non se ne seppe più nulla.
Maria e Sandro si riavvicinarono. Lei
gli permise di farle visita più spesso, con la scusa di sbrigare
piccole riparazioni domestiche. Da cosa nacque cosa e... vissero per
sempre felici e contenti.
Un po' meno Sara, che a causa degli
incubi (sognava suo padre che fracassava teste di bambini) divenne
dipendente dagli psicofarmaci. In compenso però non disse mai più
una parolaccia in vita sua.
1Fucile
da tiro, con le canne una sotto l'altra, a differenza della
doppietta, che ha le canne una di fianco all'altra.