La carrozza ebbe un sussulto, la luce
scintillò sui finimenti in ottone, schizzando sul velluto purpureo
dei sedili. I lampioni in ferro battuto scorrevano come lampi accanto
alle rotaie, il fusto completamente invisibile; le fiamme del
petrolio balenavano nella notte.
Si era appisolata. Dal finestrino si
sforzava di intuire le forme della campagna. Una grossa nube si
staccò dalla luna come una gomma da masticare da sotto il banco,
stirando vaporosi filamenti grigiastri. Pallide stalattiti
baluginavano ora su un campanile lì vicino, ora su una stalla,
laggiù, lontano. Un grumo di alberi sfrecciò fra i lampioni.
Infilò dietro l'orecchio una ciocca
rossa sfuggita alla treccia e posò stancamente lo sguardo sul sedile
di fronte.
L'anziana signora la fissava
timidamente, lei distoglieva lo sguardo, leggermente a disagio. La
luna, ora completamente libera, inondava un campo di grano di
diafano bagliore.
La vecchina, che continuava a fissarla,
arricciò gli angoli della bocca e indicò verso di lei con un rapido
gesto.
Allarmata la ragazza si affrettò a
richiudere il piccolo scrigno in legno che reggeva in grembo, tra le
mani giunte.
“Ha visto se è rimasto aperto da
molto?”, esclamò agitata, rivolta alla signora.
“No, signorina, non si preoccupi. Nel
sonno l'ha aperto per sbaglio, ma giusto qualche secondo fa”, la
ammansì sorridendole.
“Per fortuna... grazie mille per
avermi avvisata!”. La vecchina rimase immobile, continuando a
guardarla e a sorriderle cordiale. Doveva essere una nobildonna,
pensò la fanciulla. I capelli erano impeccabilmente raccolti in uno
chignon vaporoso e bianchissimo. Due rombi d'oro incastonati di
smeraldo pendevano dai lobi e richiamavano le perle della collana. La
pelle sembrava di porcellana. La sottile velatura azzurra che correva
sulle palpebre e il delicato rossetto pastello completavano il
minuzioso e sofferto lavoro delle dame di compagnia. Sotto il sedile,
dietro gli stivali di pelle nera, era riposto un ingombrante baule di
ferro battuto e tela verde.
La fanciulla inspirò con voluttà: ne
era rimasto molto nell'aria. Chiuse gli occhi e lasciò che il
sorriso le scorresse lungo tutto il volto, riscaldandola. Quando li
riaprì brillavano di una luce nuova.
“Dov' è diretta, signorina?”,
l'anziana non riuscì a trattenere la curiosità, coinvolta
dall'ebrezza di quegli splendidi occhi azzurri.
“A Brisborne, sulla costa
occidentale. Sono un'insegnante, ho chiesto il trasferimento”. Così
dicendo, un velo di tristezza le incupì i lineamenti. Accarezzò
pensosa il cofanetto, le screziature marrone scuro, gli intarsi e le
miniature nel ferro. Girò nella toppa la minuscola chiave dorata.
“E' un nuovo modello...”, disse
l'anziana. La fanciulla annuì.
“Complimenti signorina! E' l'ultimo
ritrovato della tecnologia. E'... un regalo? Se posso permettermi...”
La ragazza annuì di nuovo, alzando un
attimo lo sguardo al lampadario di cristallo.
“...Posso vederlo?”, bisbigliò la
signora con fare civettuolo.
In altre circostanze la richiesta
sarebbe suonata impertinente, oltre che pericolosa. Ma quella gracile
vecchietta non poteva certo essere una minaccia...
“Ecco, tenga”. La fanciulla glielo
porse con un sorriso e la vecchietta lo arpionò con un insolito
guizzo delle dita uncinate. Lo scrutò a lungo, quasi
appiccicandoselo al naso e rigirandolo più volte. Quando lo restituì
gli occhi scuri, prima sottili come fessure, sembravano spalancati a
forza ed erano percorsi da uno sfolgorio quasi sinistro. Doveva
averne letto il contenuto nella stampigliatura e probabilmente le
aveva scatenato una marea di sensazioni e ricordi sommersi.
La porta della carrozza si aprì per
metà e fece capolino un inserviente in uniforme rossa.
“Dieci minuti alla sua fermata,
duchessa.”, annunciò in tono lugubre e distaccato, scomparendo poi
in un baleno.
La fanciulla estrasse dal taschino il
cipollotto: le undici e un quarto. A lei restavano ancora quattro
lunghe ore di viaggio.
“... Tre mesi... ne ho visti al
massimo da qualche ora... io ne ho uno da venti minuti...: il primo
viaggio in dirigibile, con mio padre, quando avevo sei anni...”,
sussurrò la duchessa con qualche esitazione.
“Si chiederà come posso
permettermelo...”, disse la fanciulla. Sospirò a lungo, poi
continuò tutto d'un fiato: “Non posso, infatti. Il mio ragazzo è
in prigione, per sempre. Questo regalo per me è l'ultimo desiderio
di un condannato”.
Il treno stava rallentando. Il giovane
di colore, alto e dinoccolato, comparve all'improvviso, in un attimo
estrasse il baule da sotto il sedile e se lo caricò in spalla.
“Siamo arrivati, duchessa. Mi segua,
faccio strada”.
L'anziana si alzò lentamente, le mani
ebbero un tremito facendo forza sul bracciolo. Indugiò qualche
istante, poi tese la mano alla fanciulla, che si alzò di scatto. Il
convoglio si fermò completamente.
“Tanti auguri per tutto, figliola”.
Gli occhi le si inumidirono e abbracciò la ragazza con una vitalità
inaspettata.
Il treno ripartì con un fischio acuto,
uno sbuffo di vapore incipriò il cielo nuvoloso.
La fanciulla adagiò la guancia al
confortevole poggiatesta. Diede un'ultima occhiata allo scrigno, per
assicurarsi che fosse ben serrato, e si soffermò sulla targhetta in
oro: “Cybermotion/ Sensaz.: Amore- scad. 03/2136”. E
chiuse gli occhi, sfrecciando nella notte verso la sua nuova vita.
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