giovedì 28 febbraio 2013

Aldilà

Il pulviscolo danzava nel fascio pallido che ricadeva sul tavolo di legno spesso e grezzo. Fuori dalla finestra le chiome degli alberi erano squassate dalla tormenta. Nella penombra scorse diverse cornici appese alla sinistra del camino in pietra. Cercò di sollevarsi ma una fitta alle costole lo costrinse a un urlo strozzato. Sollevando le spalle notò che qualcuno gli aveva steccato la gamba. Gli balenò l'osso che sbucava da sotto il ginocchio e la sensazione di dolore lancinante. Quando muoveva gli occhi le tempie sembravano esplodere, come se gnometti fuligginosi e barbuti gli demolissero la scatola cranica a colpi di mazza e piccone. Con cautela si passò le dita sulla fronte e sentì una fasciatura.

Il portone si spalancò e un refolo di nevischio turbinò dentro.
«Oh, ciao. Ti sei ripreso.» Una sagoma alta e sottile irruppe reggendo una fascina di legnetti. Batté gli stivali sul pavimento fragorosamente, seminando una distesa di tocchetti bianchi.
«Chi sei? Dove mi trovo?» chiese il ferito con un filo di voce.
Il suo ospite appoggiò la legna vicino al camino e abbassò il cappuccio di pelliccia.
Una cascata di capelli si riversò sulle spalle. Erano quasi biondi, intervallati da ciocche più scure.
«Mi chiamo Luca. E questa è casa mia. Ti ho trovato in quel crepaccio e ti ho portato qui.»
«Io sono Francesco. Grazie mille per la gamba e per...» disse indicandosi le bende sul capo.
«Ho cercato di curarti come potevo... non è granché ma per adesso ti devi accontentare. I soccorsi non ti ripescano finché dura questo tempaccio. Ho già chiamato.» E indicò distrattamente una vecchia radio trasmittente polverosa e arrugginita.
Mentre Luca armeggiava per ravvivare il fuoco, la luce della fiamma dardeggiava sulle cornici.
«Sono i tuoi genitori?» chiese Francesco.
Le foto in bianco e nero ritraevano una coppia di vecchietti sorridenti: seduti su un ceppo in un prato fiorito, mentre passeggiavano in riva al mare o davanti a una tavola imbandita.
«Potresti avere un'emorragia interna» glissò Luca «Dovresti andare subito in ospedale, ma la città è a venti chilometri e io non ho una macchina. Vivo qui da solo.»
«Quelli siamo io e mia moglie», esclamò dopo qualche istante, esitando.
«Metto su il tè.» aggiunse. Dopodiché fece una pausa e sospirò: «Va bene, viste le circostanze voglio raccontarti tutto.» Prese uno sgabello e si avvicinò al letto.
Francesco guardava ora le foto ora Luca, con espressione attonita e vagamente divertita.

«Mi sono trasferito qui tre anni fa. Dopo la rivelazione.» esordì Luca.
«Quale rivelazione? E poi cosa dici, quello sei tu? E' un vecchio...»
«Appunto. Io in effetti avrei centosei anni»
Francesco scoppiò incautamente a ridere, lanciando subito dopo un grido e tenendosi la pancia. Luca proseguì come se niente fosse:
«Abitavamo in campagna. Io e mia moglie. Avevamo un fazzoletto di terra sulle colline, a ridosso della città. Coltivavamo verdura, allevavamo polli e conigli. Ogni tanto si ammazzava il maiale coi contadini degli appezzamenti vicini... insomma tiravamo avanti decentemente. Anna, mia moglie, se n'è andata sedici anni fa.»
Si alzò, andò ai fornelli e sistemò un vassoio con due tazzine e una zuccheriera su una sedia vicino al letto.
Francesco allungò la mano tremante, Luca lo aiutò delicatamente a sollevarsi e a bere un sorso.
«E come mai sei venuto a stare qui, in mezzo al nulla?»
«Adesso ci arrivo. Un giorno che ero alla sorgente a prendere acqua, ho trovato questa» ed estrasse una pietra grigia dal cassetto sotto il pianale del tavolo. Era rettangolare, grande quanto un portafoglio. La avvicinò al viso di Francesco, che all'unico bagliore del camino, vi lesse:

Per te oh pellegrino
che questa pietra raccogli
ci son tre desideri per il tuo destino;
Orsù dunque, la buona sorte accogli!

«Come primo desiderio ho chiesto di tornare giovane, ed eccomi qui», disse indicandosi dalla testa ai piedi.
Francesco ascoltava in silenzio.
«Era magnifico avere di nuovo la forza, l'entusiasmo e l'incoscienza dei vent'anni! Fu una seconda rinascita, una linfa ribollente e pulsante di mille desideri!»
Mentre raccontava e ricordava, l'emozione gli illuminava il viso.
«Ho viaggiato in lungo e in largo. Ho ammirato i panorami più strabilianti. Ho nuotato nei mari tropicali, volato in mongolfiera, attraversato deserti a dorso di cammello e dormito sotto le stelle su isole sperdute. Ma fu il secondo desiderio che mi cambiò la vita.»
Francesco centellinò l'ultimo sorso di tè, appoggiò la tazzina sul vassoio e continuò a guardare l'amico con trepidazione crescente.
«Volevo vedere cosa c'era dopo... dall'altra parte.»
«Dopo la morte intendi?»
Luca annuì.
«E cosa c'era?» sibilò Francesco con la voce rotta.
Luca sorrise. «Come posso dire... non si può spiegare...» e rivolse pensieroso lo sguardo alla bufera che sferzava la finestra.
«E' una dimensione di puro spirito, l'anima che si libera del corpo?» lo incalzò Francesco.
«No, è un luogo reale... non c'è il sole ma il cielo è sempre limpido. Tutto è beatitudine, calma e pace. Una serenità sovrumana, ecco. Dopo quell'esperienza, una volta tornato a questa vita, non ho avuto più bisogno di niente.»
Un ululato echeggiò in lontananza.
«Bene, ora che so cosa mi aspetta vado tranquillo, dovesse anche essere stanotte...», sussurrò Francesco. Poi chiuse gli occhi e sprofondò il viso nel cuscino.

L'elicottero sorvolava le cime innevate. La giornata era limpidissima e soleggiata.
Quando Francesco riprese conoscenza si ritrovò imbragato a una lettiga.
«Stia tranquillo, la stiamo portando in ospedale. Lei è un miracolato!» esclamò uno dei due uomini in camice bianco, urlando per sovrastare il rumore.
«Luca... non l'ho ringraziato...» farfugliò Francesco «volevo salutarlo...»
«Chi è Luca? Qualcun altro è precipitato nel crepaccio?» urlò l'omone baffuto di prima.
«No, Luca... mi ha salvato lui, ero a casa sua...» balbettò Francesco.
«Signor Rossi, l'abbiamo estratta da un crepaccio. I suoi amici all'albergo ci hanno allertati e grazie al GPS del suo telefono l'abbiamo localizzata. C'era qualcun altro con lei?»
Francesco si riassopì e si risvegliò in un letto d'ospedale. Indossava un pigiama, i vestiti della giornata erano buttati su una sedia. Si portò d'istinto una mano alle tempie. Non sentì garze, né sangue o ferite di sorta. Sollevò le braccia davanti agli occhi: neanche un graffio. Mosse le gambe sotto il lenzuolo, dapprima con cautela, poi energicamente. Non ebbe bisogno di scostare le coperte per capire che non aveva niente di rotto.
Dalla tasca della giacca a vento, sullo schienale della sedia, sbucava un foglietto di carta. Si allungò, lo agganciò con la punta delle dita, lo dispiegò e lesse: “Il terzo desiderio l'ho dedicato a te. Ricorda, non affannarti inutilmente, in questa vita; e per quando sarà (mi auguro il più tardi possibile): stai tranquillo, è bellissimo dopo. Ciao. Luca.”

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