Il pulviscolo danzava nel fascio
pallido che ricadeva sul tavolo di legno spesso e grezzo. Fuori dalla
finestra le chiome degli alberi erano squassate dalla tormenta. Nella
penombra scorse diverse cornici appese alla sinistra del camino in
pietra. Cercò di sollevarsi ma una fitta alle costole lo costrinse a
un urlo strozzato. Sollevando le spalle notò che qualcuno gli aveva
steccato la gamba. Gli balenò l'osso che sbucava da sotto il
ginocchio e la sensazione di dolore lancinante. Quando muoveva gli
occhi le tempie sembravano esplodere, come se gnometti fuligginosi e
barbuti gli demolissero la scatola cranica a colpi di mazza e
piccone. Con cautela si passò le dita sulla fronte e sentì una
fasciatura.
Il portone si spalancò e un refolo di
nevischio turbinò dentro.
«Oh,
ciao. Ti sei ripreso.»
Una sagoma alta e sottile irruppe reggendo una fascina di legnetti.
Batté gli stivali sul pavimento fragorosamente, seminando una
distesa di tocchetti bianchi.
«Chi
sei? Dove mi trovo?»
chiese il ferito con un filo di voce.
Il suo ospite appoggiò la legna vicino
al camino e abbassò il cappuccio di pelliccia.
Una cascata di capelli si riversò
sulle spalle. Erano quasi biondi, intervallati da ciocche più scure.
«Mi
chiamo Luca. E questa è casa mia. Ti ho trovato in quel crepaccio e
ti ho portato qui.»
«Io
sono Francesco. Grazie mille per la gamba e per...»
disse indicandosi le bende sul capo.
«Ho
cercato di curarti come potevo... non è granché ma per adesso ti
devi accontentare. I soccorsi non ti ripescano finché dura questo
tempaccio. Ho già chiamato.»
E indicò distrattamente una vecchia radio trasmittente polverosa e
arrugginita.
Mentre Luca armeggiava per ravvivare il
fuoco, la luce della fiamma dardeggiava sulle cornici.
«Sono
i tuoi genitori?» chiese
Francesco.
Le
foto in bianco e nero ritraevano una coppia di vecchietti sorridenti:
seduti su un ceppo in un prato fiorito, mentre passeggiavano in riva
al mare o davanti a una tavola imbandita.
«Potresti
avere un'emorragia interna»
glissò Luca «Dovresti
andare subito in ospedale, ma la
città è a venti chilometri e io non ho una macchina. Vivo qui da
solo.»
«Quelli
siamo io e mia moglie»,
esclamò dopo qualche istante, esitando.
«Metto
su il tè.» aggiunse.
Dopodiché fece una pausa e sospirò: «Va bene, viste le circostanze
voglio raccontarti tutto.» Prese uno sgabello e si avvicinò al
letto.
Francesco
guardava ora le foto ora Luca, con espressione attonita e vagamente
divertita.
«Mi
sono trasferito qui tre anni fa. Dopo la rivelazione.»
esordì Luca.
«Quale
rivelazione? E poi cosa
dici, quello sei tu? E' un vecchio...»
«Appunto.
Io in effetti avrei centosei
anni»
Francesco
scoppiò incautamente a ridere, lanciando subito dopo un grido e
tenendosi la pancia. Luca proseguì come se niente fosse:
«Abitavamo
in campagna. Io e mia moglie. Avevamo un fazzoletto di terra sulle
colline, a ridosso della città. Coltivavamo verdura, allevavamo
polli e conigli. Ogni tanto si ammazzava il maiale coi contadini
degli appezzamenti vicini... insomma tiravamo avanti decentemente.
Anna, mia moglie, se n'è andata sedici anni fa.»
Si
alzò, andò ai fornelli e sistemò un vassoio con due tazzine e una
zuccheriera su una sedia vicino al letto.
Francesco
allungò la mano tremante, Luca lo aiutò delicatamente a sollevarsi
e a bere un sorso.
«E
come mai sei venuto a stare qui, in mezzo al nulla?»
«Adesso
ci arrivo. Un giorno che ero alla sorgente a prendere acqua, ho
trovato questa» ed
estrasse una pietra grigia dal cassetto sotto il pianale del tavolo.
Era rettangolare, grande quanto un portafoglio. La avvicinò al viso
di Francesco, che all'unico bagliore del camino, vi lesse:
Per
te oh pellegrino
che
questa pietra raccogli
ci
son tre desideri per il tuo destino;
Orsù
dunque, la buona sorte accogli!
«Come
primo desiderio ho chiesto di tornare giovane, ed eccomi qui»,
disse indicandosi dalla testa ai piedi.
Francesco
ascoltava in silenzio.
«Era
magnifico avere di nuovo la forza, l'entusiasmo e l'incoscienza dei
vent'anni! Fu una seconda rinascita, una linfa ribollente e pulsante
di mille desideri!»
Mentre
raccontava e ricordava, l'emozione gli illuminava il viso.
«Ho
viaggiato in lungo e in largo. Ho ammirato i panorami più
strabilianti. Ho nuotato nei mari tropicali, volato in mongolfiera,
attraversato deserti a dorso di cammello e dormito sotto le stelle su
isole sperdute. Ma fu il secondo desiderio che mi cambiò la vita.»
Francesco
centellinò l'ultimo sorso di tè, appoggiò la tazzina sul vassoio e
continuò a guardare l'amico con trepidazione crescente.
«Volevo
vedere cosa c'era dopo... dall'altra parte.»
«Dopo
la morte intendi?»
Luca
annuì.
«E
cosa c'era?» sibilò
Francesco con la voce rotta.
Luca
sorrise. «Come posso dire... non si può spiegare...» e rivolse
pensieroso lo sguardo alla bufera che sferzava la finestra.
«E'
una dimensione di puro spirito, l'anima che si libera del corpo?»
lo incalzò Francesco.
«No,
è un luogo reale... non c'è il sole ma il cielo è sempre limpido.
Tutto è beatitudine, calma e pace. Una serenità sovrumana, ecco.
Dopo quell'esperienza, una volta tornato a questa vita, non ho avuto
più bisogno di niente.»
Un
ululato echeggiò in lontananza.
«Bene,
ora che so cosa mi aspetta vado tranquillo, dovesse anche essere
stanotte...», sussurrò
Francesco. Poi chiuse gli occhi e sprofondò il viso nel cuscino.
L'elicottero
sorvolava le cime innevate. La giornata era limpidissima e
soleggiata.
Quando
Francesco riprese conoscenza si ritrovò imbragato a una lettiga.
«Stia
tranquillo, la stiamo portando in ospedale. Lei è un miracolato!»
esclamò uno dei due uomini in camice bianco, urlando per sovrastare
il rumore.
«Luca...
non l'ho ringraziato...»
farfugliò Francesco «volevo salutarlo...»
«Chi
è Luca? Qualcun altro è precipitato nel crepaccio?»
urlò l'omone baffuto di prima.
«No,
Luca... mi ha salvato lui, ero a casa sua...»
balbettò Francesco.
«Signor
Rossi, l'abbiamo estratta da un crepaccio. I suoi amici all'albergo
ci hanno allertati e grazie al GPS del suo telefono l'abbiamo
localizzata. C'era qualcun altro con lei?»
Francesco
si riassopì e si risvegliò in un letto d'ospedale. Indossava un
pigiama, i vestiti della giornata erano buttati su una sedia. Si
portò d'istinto una mano alle tempie. Non sentì garze, né sangue o
ferite di sorta. Sollevò le braccia davanti agli occhi: neanche un
graffio. Mosse le gambe sotto il lenzuolo, dapprima con cautela, poi
energicamente. Non ebbe bisogno di scostare le coperte per capire che
non aveva niente di rotto.
Dalla
tasca della giacca a vento, sullo schienale della sedia, sbucava un
foglietto di carta. Si allungò, lo agganciò con la punta delle
dita, lo dispiegò e lesse: “Il terzo desiderio l'ho dedicato a te.
Ricorda, non affannarti inutilmente, in questa vita; e per quando
sarà (mi auguro il più tardi possibile): stai tranquillo, è
bellissimo dopo. Ciao. Luca.”
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