“Non
dovevi andare a giocare a pallone?”, chiese Anna con ancora indosso
il guanto da forno a strisce rosse.
Alessandro
si soffiava dagli occhi la zazzera castana spaghettiforme, per
concentrarsi sull'animaletto-dolciume: la cura dei particolari era
impressionante, gli occhietti avevano persino una minuscola pupilla.
Più lo
fissava e più sentiva crescere una sensazione calda, di vaga
premonizione, come se all'improvviso quegli occhi
settanta-per-cento-cacao dovessero accendersi di un guizzo.
“Sì,
adesso vado mamma...”, bisbigliò quasi assente, appoggiando con
cura il coniglietto sul comodino di fianco al letto, sotto
l'abat-jour azzurrina.
“Stai
facendo i biscotti?”, esclamò poi additando il guanto da forno.
“Si,
quelli di pasta frolla con le gocce di cioccolato, quelli che ti
piacciono”, sorrise Anna.
“Evvai!”,
con uno scatto saltò giù dal letto e corse a raccogliere lo zaino.
“Così stasera quando torno li mangio!”
“Dopo
cena però, se no ti passa l'appetito”, lo ammonì la mamma.
Alessandro
non rispose, ficcò nello zainetto una bottiglia d'acqua, il pallone,
una Fiesta e inforcò le scale come un forsennato.
Era già
sul marciapiede e non poté sentire sua madre che dal piano di sopra
gli gridava: “Piano, piano!”.
Camminava
spedito, lo sguardo incollato sulle scarpe da tennis nere e un
sorrisetto beffardo. Prima di svoltare l'angolo lanciò un'occhiata
furtiva alla finestra della sua stanza, in mansarda. Le tende erano
tirate e immobili.
“Ma
qui fino a ieri non c'era un negozio di scarpe?”, così aveva detto
sua madre, alquanto stupita. E invece dalla sera alla mattina,
dell'eterogenea moltitudine di mocassini, stivali, scarponi, ciabatte
e pantofole si era persa ogni traccia.
Alessandro
si aggrappava estasiato alla vetrina, gli brillavano gli occhi:
invece del mare di scarpe c'era una foresta incantata. Era un reame
di cioccolato, tutto popolato di animali. Sulla carta da parati dello
sfondo alcune cime innevate si stagliavano contro un cielo
limpidissimo. Del muschio era steso dappertutto e sopra, qui e là,
spuntavano alberelli carichi di frutti arancioni. Nell'angolo a
destra c'era una piccola baita, sempre di cartone, lambita da un filo
di ghiaietta che serpeggiava verso le montagne. E ovunque animaletti
di cioccolato. Sei cigni, uno più grande e una coda di piccoletti,
galleggiavano nel laghetto di stagnola, laggiù a sinistra. Poi,
raccolti in gruppi o sparsi sotto gli alberelli e intorno alla
casetta, c'erano decine di coniglietti, gatti, cani, cerbiatti,
mucche, cavalli. Grossi uccelli ad ali spiegate, appesi con lo spago,
pendevano fra le montagne.
La
campanella trillò allegra.
“Buongiorno”,
salutò educatamente Alessandro.
“Oh,
ciao, sei di nuovo tu...”, l'apostrofò benevolo l'anziano signore.
Aveva folti baffi candidi e minuscoli occhialetti tondi. Con la barba
sarebbe stato un perfetto Babbo Natale.
La
coperta ebbe un piccolo sussulto. Anna, che stava sistemando la
camera del figlio, si fermò un attimo, perplessa. Forse se l'era
immaginato, la finestra era chiusa, non c'era corrente. Riprese a
spolverare le mensole sopra la scrivania, ma un rumore sommesso la
interruppe di nuovo. Veniva proprio da sotto il letto. Si chinò con
circospezione, un po' impaurita. Sollevò lentamente il lembo della
coperta, reggendo ancora nell'altra mano il flacone del Pronto.
Alessandro
rimaneva immobile al bancone, guardando il registratore di cassa, un
po' intimidito. Si guardò intorno: il negozio era vuoto.
“Vuoi
un altro animaletto? Altri coniglietti?”, gli sorrise il signore.
Adesso
che ci pensava, quel negozio era sempre stato vuoto, tutte le volte
che ci era capitato. Eppure vendeva cioccolato, ci sarebbe dovuta
essere la fila fin fuori dalla porta! Invece anche quel pomeriggio
non c'era nessuno. Certo, in agosto la città si svuotava e gli altri
commercianti chiudevano quasi tutti. Il cioccolato poi è uno sfizio
più invernale che estivo.
“Ce
l'hai un leone?”, chiese Alessandro.
“Oh,
sì che ce l'ho, in vetrina non c'è ma te lo faccio subito; io
faccio tutti gli animali”, esclamò trionfante il vecchietto
lisciandosi i baffi e sistemandosi il fungoso copricapo da
pasticcere.
“Allora
vorrei un leone”.
Il
locale era piccolissimo, non c'erano altri commessi. Soprattutto non
c'erano altre porte: dov'era il laboratorio?
Il
vecchietto scomparve chinandosi dietro il bancone e ne emerse un
istante dopo porgendo al ragazzino la perfetta miniatura di un leone,
le fauci spalancate in un ruggito e una zampa sollevata. “Cinque
euro come sempre”.
Alessandro
allungò la banconota tutto contento e si precipitò all'uscita.
“Mi
raccomando ragazzino, mangialo prima che scada. I miei cioccolatini
scadono molto presto...”, si raccomandò il negoziante.
“Quando
scade poi si guasta subito? Non lo posso mangiare neanche se è
scaduto solo da un giorno?”, obiettò Alessandro.
“Se
scade poi ti mangia lui, sta attento!”, esclamò il vecchio in tono
perentorio. Qualcosa si indurì negli occhi azzurri dietro le spesse
lenti. Alessandro tergiversò con la maniglia in mano, poi corse
fuori ridendo forte. Quando svoltò l'angolo si accorse che il
vecchio lo guardava fisso, ritto dietro la porta, e non sorrideva.
“Sono
tornato...”, vociò Alessandro irrompendo in casa come suo solito,
lanciando lo zaino sul divano. La mamma non rispose. Di sopra, la
porta della sua camera era socchiusa. Salì le scale adagio,
stringendo forte il corrimano laccato bianco.
“Mamma...”,
chiamò quando fu quasi in cima, la voce gli uscì strozzata.
“E
questo?! Dove l'hai preso?!”. Anna comparve trafelata, brandendogli
davanti alla faccia un coniglietto marroncino e grigio.
“Te
l'ho detto mille volte che non voglio animali in casa...”
“Ma
non l'ho preso io, non so da dove viene...”, piagnucolò
Alessandro.
“Ah
non lo sai? Magari si sono arrampicati su per il muro... in pieno
centro!”
Il
ragazzino si stropicciava le mani, guardando il pavimento.
“Volevi
tenermeli nascosti? Cosa credevi, che non li avrei mai visti, eh?”,
gridò sua mamma.
Alessandro
entrò frastornato in camera sua. Sul letto era accovacciato un
grosso coniglio bianco che subito gli piantò addosso le iridi
vermiglie. Per terra due batuffoli più piccoli si rincorrevano
frenetici, scomparendo e riapparendo sotto il letto, dietro
l'armadio, sotto la scrivania, in un turbinio di pellicce nere e
fulve. Sotto l'abat-jour fremevano leggermente i resti di un piccolo
incarto dorato. Se con un po' di pazienza qualcuno avesse dispiegato
la stagnola, ci avrebbe letto: “Scad. 18/08/2013”.
Lentamente
Alessandro tirò fuori di tasca il leone, fissando la madre con gli
occhi sbarrati. Poi lo scartò in tutta fretta e lo ingoiò intero.
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