A pensarci adesso ci rido, ma quella
volta mi sarei sparato.
Ricordo come fosse un secondo fa, la
tremenda frustrazione... e anche la tremenda frustata per terra... la
sera poi ho scaricato un camion con un ginocchio e una spalla
distrutti...
Questa è la caduta, ma torniamo
indietro, vediamo adesso la fase più esaltante, il momento di
gloria, l'apice...
Correva l'anno 1999 e mi sentivo un
leone, coi miei ventiquattro anni, la moto, l'abbraccio travolgente
della primavera e baffi e capelli lunghi come non mai (giusto in
questo periodo ho un attacco di nostalgia, ho litigato di nuovo col
barbiere e non ci tornerò prima di avere un bel codone di cavallo).
Quanto mi manca quella sensazione! La
potenza che ti saliva sottopelle al solo splendere del sole; la
beatitudine alla vista di un prato fiorito, ebbrezza bucolica!
Come non era mio solito, (le cose
migliori capitano sempre quando meno te l'aspetti), avevo deciso di
partecipare a un incontro interparrocchiale, in un paesino
dell'entroterra a cinque minuti di moto da casa mia. Giusto per non
saper cos'altro fare, assolutamente pronto al grigiore più totale. E
invece... la folgorazione!
Eccola che mi appare nello spiraglio
del portone della chiesa, mentre sono impegnato a morire d'inedia su
una panchina del campetto da basket.
Neanche mi avessero preso la testa fra
le ganasce di un defibrillatore! Sono schizzato in piedi e sono
partito all'attacco.
Una cosa così non mi era mai successa,
forse (lo dico con molta prudenza, a distanza di quattordici anni),
era l'unica volta che mi sono innamorato. Ma queste sentenze sono
troppo ardue, sono gli interrogativi maiuscoli dell'infima esistenza
mortale, meglio sorvolare...
Insomma vado spedito verso di lei. Era
con un'amica, (in futuro mi capiterà spesso di puntare una e finire
poi con l'amica... ma bando alle digressioni), tutte e due in piedi
davanti alla tavolata dei dolci, in una stanza dell'oratorio.
Classico ferro di cavallo con tavolini di plastica e tovaglie di
carta, straripante di ciambelloni bicolore, crostate di albicocca o
nutella, californiane, dolci del nonno e caberettini di mignon. Il
tutto innaffiato da Coca e Fanta. La vedo avventarsi su una
piastrella di ciambellone nutellato e colgo la palla al balzo:
«Bisogno di zuccheri, hai carenza
d'affetto?», mamma mia, dovevo essere posseduto... è proprio vero:
l'innamoramento ha la sintomatologia di un trip allucinatorio!
Ma come tradizione vuole, se declami
Leopardi su un bianco destriero al chiaro di luna, vai pure tu in
bianco, che più bianco non si può! Te ne esci invece con una
cretinata trita e ritrita, magari anche buzzurra, ed è la volta che
fai colpo!
Il pomeriggio vola via tranquillamente
scambiando quattro chiacchiere, ma a me basta vederla sorridere,
un'occhiata a quegli occhioni azzurri e ho tutto quello che voglio
dalla vita! (Il Lucano mi dà acidità di stomaco).
Riesco a mantenere un insignificante
barlume di lucidità, quel tanto che basta per sbirciare dove
abitasse... benissimo! Stava in un delizioso villino proprio dietro
la chiesa.
Non ricordo se quella notte ho dormito
o sono rimasto con gli occhi a palla a contare le ombre sul soffitto,
poco importava: il colpo da matto l'ho fatto il giorno dopo.
Anche questa è una cosa unica nella
mia vita, non ho mai più sentito uno slancio così irrefrenabile, né
mi sono mai più annullato così per una ragazza, per muovere quel
passo... come staccarsi dalla roccia, a cinque metri, per tuffarsi
nelle “pozze” di Cagli.
Insomma inforco la moto e vado a
suonarle a casa. Così, senza preavviso... e d'altronde non avrei
potuto, di lei sapevo solo il nome, la via e che era la
diciassettenne più desiderabile di tutti i mondi paralleli
possibili...
«Buongiorno signora, c'è Sara?»
(anche in preda al delirio ero sempre una personcina a modo).
A faccia in su mi rivolgevo a una donna
sui quaranta, mora e snella, che rassettava i panni sul balcone.
Bella la figlia, bella pure la madre.
«Saraaaaa!», urla la mamma senza
troppi riguardi, (nonostante i modi educati sembravo un centauro
fattone, io che non ho mai fumato nemmeno sigarette... ma con quei
capelli e la moto da cross semi sommersa da fango e olio...), «C'è
uno coi baffi che ti vuole!» (ecco la prima delle due frasi epiche
della giornata), bercia squadrandomi con schifo malcelato.
Ma ecco fare capolino un caschetto
castano e quegli occhi, ecco accendersi il bianco del sorriso! Un
colpo di spugna che mi scioglie nel sole e nell'azzurro sopra di lei.
Per tutto il pomeriggio passeggiamo per
il paese, (fortunatamente quasi deserto dato l'afoso lunedì
pomeriggio di giugno), conversando amabilmente del più e del meno.
In realtà io in testa avevo un disco in loop che faceva: guarda
com'è bella e sta qui con te, e che non lasciava molto spazio a
ragionamenti o concetti troppo profondi.
Gira che ti rigira, un po' che avevamo
fatto i solchi nell'asfalto, un po' che si era sull'imbrunire, un po'
che la conversazione, dopo quasi tre ore, accennava a languire,
quando ricapitiamo sulla porta di casa sua conveniamo entrambi che è
ora di salutarsi. E qui arriva la seconda frase mitica, da parte mia
questa volta, meglio di Fonzie! Suonava pressappoco così:
«Senti voglio essere sincero se sono
venuto qui oggi non è per perdere tempo è perché mi piaci e mi
piacerebbe stare con te.». Se le parole non furono precisamente
queste, di certo furono pronunciate con la stessa velocità e
brutalità!
Ma attenzione: come reagisce lei? Se
aveste visto me e aveste visto lei... insomma in un mondo dove ci
fosse giustizia (senza nulla togliere alla superficialità
dell'aspetto fisico), doveva farsi una grassa risata, liquidarmi con
un cenno della mano e lasciarmi lì per strada come un fesso...
Invece mi risponde, con tono calmo:
«Tranquillo, se non mi piacevi non sarei neanche scesa, sono stata
bene a parlare con te»
In quel preciso istante due cose per me
divennero dogmi.
Primo: la teoria delle stringhe era
esatta e mi trovavo in uno degli infiniti universi paralleli.
Secondo: ero persino meglio di Fonzie.
Con questi pensieri in testa,
scombussolato da cotante emozioni... come pretendete che mi
ricordassi del bloccasterzo?! Quella chiave grande quanto l'unghia
del mignolo, tre cose faceva: sganciava il casco dal codino della
moto, toglieva il bloccasterzo e accendeva. Come avrete già capito
feci due cose su tre.
«Ti sei fatto male? Vuoi entrare in
casa?», la sua voce attutita da quintali d'ovatta, quasi giungesse
da distanze siderali (quelle dei mondi paralleli probabilmente).
Io che per fare il figo ero anche
partito a manetta: piede in fuori, come i piloti, scarto la Peugeot
parcheggiata davanti, mi rimetto dritto... cioè avrei voluto...
Un gigantesco ammazza mosche mi fionda
per terra: ricordo che visualizzai quest'immagine.
Anestetizzato dall'adrenalina a mille
raccolgo i pezzi dello specchietto, di qualche leva e del paramano e
li ficco a mo' di criceto sotto la giacca a vento rossa della
Marlboro.
«No, no tranquilla, sto bene»,
continuo a fare il figo. Ma lei sta sghignazzando? Dai, non può
essere così cinica... Qualche ora dopo, al lavoro, mi sarei accorto
di quanto effettivamente mi fossi fatto male. Mezzo scocciolato, come
la mia moto, riparto verso casa con la coda fra le gambe e con la
manopola del gas tutta imbarcita per i sassolini che ci si erano
infilati.
Beh, ci sta, è il Karma, si dice così
no? Era troppo bello per essere vero, ci voleva un evento che
bilanciasse l'universo. Il mondo non lo sa, ma deve ringraziare me se
ancora fila tutto per il verso giusto! In un microsecondo da Fonzie a
Mr. Bean. Contuso, ( e pure confuso), con la moto intarocchita, e
single peggio di prima.
Divertentissimo, ironico e dolce nello stesso tempo. Bravo Salva!!!
RispondiEliminaCate
Rigorosamente autobiografico... che botta :-D
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