Venti miglia a sud-est dell'isola di
Tortuga, lungo una rotta poco battuta dalle navi mercantili, c'è una
lussureggiante isoletta che i bucanieri di tutto il mondo hanno
eletto a loro covo. Decine di velieri vi salpano coi cannoni
scalpitanti per farvi poi ritorno con le stive ricolme di spezie e
preziosi, prima di riprendere il mare per dileguarsi chissà dove.
E' un atollo di fine sabbia bianca.
Girandolo a piedi, lo si può esplorare comodamente in meno d'un paio
d'ore. Lo so per esperienza personale. Anch'io sono un pirata e in
questo momento mi trovo proprio nel luogo che sto descrivendo:
l'Isola della Scimmia.
Scrivo queste memorie all'ombra di una
palma, non lontano dalla battigia.
Ho passato qui molto più tempo che in
qualunque altro posto. E' strano: dopo un'esistenza nomade, per mare,
quest'isola potrei quasi chiamarla casa. Al pensiero sorrido, mentre
mi godo il riverbero sull'acqua cristallina. Una fresca brezza
sussurra lieve, scompigliandomi i lunghi capelli bianchi. Eggià,
questo posto merita proprio una bella descrizione. Ha avuto una parte
importante nella mia vita e ne avrà una altrettanto importante in
questo documento che tramanderò ai posteri.
Si chiama così, Isola della Scimmia,
per via del monte che si erge pressoché al centro.
E' un vulcano inattivo ormai da molti
anni: nella parete che guarda a ovest sembra esserci scolpito un muso
di scimmia con la bocca aperta.
Vista dall'alto l'isola sembra un
bersaglio su sfondo blu: quattro cerchi concentrici alternati,
marroncini e verdi, col vulcano che fa da centro. Mare,
cerchio-sabbia, cerchio-palme, cerchio-sabbia e ancora palme.
“E tu come fai a saperlo?”, vi
chiederete...
Me l'ha raccontato John, un vecchio
lupo di mare che una volta è atterrato qui con un pallone, di quelli
che volano. Non era molto pratico di atterraggi ed è caracollato
dritto nella bocca del vulcano; per fortuna era spento.
Per piccola che è, ci scorre pure un
fiumiciattolo. Niente di che, si può guadare in qualsiasi punto del
suo tragitto. L'acqua arriva a malapena al ginocchio e la corrente
non trascina via nemmeno le raganelle, che qui sono tantissime. Sono
grandi quanto una moneta d'oro, di un verde chiaro e scintillante,
con chiazze rosse. Anche gli occhi sono rossi, tondi e sporgenti.
Oltre a queste ranocchiette la fauna
dell'isola comprende una decina di capre (scaricate da un veliero
portoghese due anni fa, io c'ero), pappagalli e conigli.
Posso immaginarli, dietro quei cespugli
laggiù, i conigli. Li ho osservati spesso. Prima non avevo idea di
come si comportassero allo stato brado. Ne ho mangiati tanti, ma ero
abituato a vederli in gabbia, pronti per essere cucinati. Invece si
rincorrono e giocano come fanno i gatti, come loro oziano o dormono
stesi al sole. A differenza dei gatti non li ho mai visti litigare,
però. E in più scavano. Scavano buche. Disseminate per l'isola ce
ne sono di ogni dimensione, come tanti crateri. Avranno costruito una
cattedrale sotterranea di gallerie, ogni tanto un musetto sbuca fuori
da qualche parte. Ogni tanto vanno a curiosare nelle anguste grotte
alle pendici del vulcano e finiscono sugli spiedi di qualche pirata
che vi si nasconde.
Forse mi sono sbagliato, non era il
nostro chalet?
Pensavo di aver
visto il fumo dal comignolo, dopo la discesa di poco fa. Cominciava a
salirmi il nervoso: lo sapevo che sarebbe finita così. Sono sempre
stato impedito per le strade, e avevo pensato bene di tornarmene
indietro da solo. In un bosco per giunta. Avevo superato me stesso:
oltre l'asfalto... Tutta colpa delle frecciate di Alessandro. Stavo
quasi per sbottare. Non volevo rovinare la festa a tutti, ma non
sopporto quelle situazioni. Incasso, incasso... come fanno quelli
troppo buoni, o i coglioni secondo alcuni, finché poi non esplodono.
Io non esplodevo mai e non volevo cominciare proprio adesso. Proprio
durante la settimana di vacanza tutti assieme.
Mi sfuggì un
sorriso mentre camminavo a testa bassa. Le foglie secche
scricchiolavano sotto le scarpe da ginnastica. Erano due ore che
giravo. Sarei dovuto tornare in venti minuti.
Vabbeh, fanculo tutti adesso e
pensiamo a tornare, che inizia anche a far freddo.
Non avevo nemmeno
una pila, non credevo mi sarebbe servita: eravamo partiti alle due
del pomeriggio e saremmo arrivati all'altro rifugio alle quattro e
visto che inizia a far buio alle cinque... ecco, giusto a
quest'ora...
Grazie al mio colpo
di testa mi ritrovavo senza torcia e senza nemmeno il giaccone
pesante; non l'avevo preso perché da programma saremmo rimasti a
dormire nell'altro rifugio e saremmo ripartiti il giorno dopo, nel
primo pomeriggio, con un discreto caldo quindi.
Alzai lo sguardo al
bubolare di un gufo, credo, lassù fra le chiome dei faggi. Non
vedevo nemmeno più il sentiero. A stento distinguevo i segni di
vernice rossa sulle cortecce.
Li vidi tutti e
otto davanti al fuoco, con le brioche, le cioccolate e le grappe, e
Alessandro che si pavoneggiava come al solito. Di sicuro mi prendeva
per il culo, davanti agli altri. E gli altri ridevano. No, non tutti
magari. Francesca, forse no. No, lei non è cretina come lui. Vabbeh
che le persone non si conoscono mai fino in fondo, ma era sempre
stata carina con me.
T'immagini quei due stanno
insieme...?? No, Francesca con Alessandro mai...
Niente.
La strada non è questa. Nessuna casa in vista. Che poi io volevo
andare al mare, avevo proposto la Sardegna. Ma Alessandro, sempre
lui, ti pareva, il figo di ogni situazione, aveva dirottato tutti
verso la montagna. “I miei hanno un casa lassù. La affittano ma
adesso non c'è nessuno. C'è il frigo pieno: vitto e alloggio a
scrocco, eh? Che figata, andiamo dai!”. E tutte le ochette in coro:
“Sììì!!!”. Certo. Ma vaffanculo Alessandro. Una
volta di più!
Mi fermai a
riprendere fiato. L'alito diventava fumo, il respiro affannoso era
una nota inquietante nel silenzio più assoluto.
Feci
un giro su me stesso, per fare il punto della situazione. Era presto
detto: mi ero perso, era scesa la notte e sentivo davvero freddo.
Bravo Marco, complimenti! Hai vinto la medaglia per il
miglior boy-scout!
Il buio paralizzava
tutto, annullava ogni differenza: era come se il bosco mi dicesse di
fermarmi, che ormai non c'era più nessun posto dove andare.
All'improvviso una
fessura luminosa si aprì a mezz'aria ad una ventina di metri da me.
Potrà sembrare
assurdo ma andai verso di lei; nonostante la paura era l'unica
direzione possibile.
Il moto della
risacca fu interrotto dall'apparizione del portale. Le onde si
increspavano frustate dalle sfrigolanti scariche elettriche. Dopo
qualche secondo la voragine sputò un uomo in mare e poi sparì nel
nulla, così come era apparsa.
Il pirata scattò
in piedi e sguainò la sciabola.
Un ragazzo emerse
trafelato dall'acqua e si lasciò cadere sulla sabbia, tossendo e
ansimando.
Rimase immobile,
pancia all'aria, braccia e gambe aperte, esausto.
“Chi
è là?!”, gli gridò in inglese il pirata avvicinandosi
minaccioso. Per fortuna Marco aveva studiato l'inglese sia alle medie
che alle superiori.
“Uò
uooo... fermo fermo... non faccio niente”, si affrettò a
farfugliare il giovane, tenendo lo sguardo fisso sulla lama
scintillante.
“Ero
nel bosco, ho visto una luce e sono finito qui. Non ho armi,
vedi...”, spiegò rovesciando a terra il contenuto dello zaino e
alzando le mani in segno di resa.
I due scrutavano
con ugual diffidenza i rispettivi abbigliamenti, in piedi uno di
fronte all'altro.
“Gli
strumenti segnalano un insolito campo magnetico dritto a prua,
signore. Tempo stimato di contatto: sette parsec!”, esclamò
l'ufficiale navigatore voltandosi di scatto.
Il capitano,
impettito davanti alla vetrata, oltre la plancia di navigazione, a
quelle parole trasalì.
“Di
che si tratta, un buco nero?”, chiese in preda all'agitazione.
“Non
so dirle cosa sia, signore... è comparso dal nulla”, rispose
l'ufficiale in tono concitato.
“Virare
di quindici grenmar verso destra, subito!”, gridò il comandante.
“Ci
sta risucchiando, la nave non risponde, non riesco a girare!”,
vociò l'ufficiale.
Un immenso occhio
fiammeggiante si stagliò dinnanzi a loro nello spazio profondo.
La navicella lo
investì in pieno ed entrambi si dissolsero come nell'esplosione di
una supernova.
“Chi
sei? Da dove vieni?”, chiese il pirata spaventato.
“Mi
chiamo Marco. Ero in un bosco, è incredibile, ho attraversato una
luce e mi sono ritrovato qui. Dove diavolo siamo?”
“Questa
è l'Isola della Scimmia, rifugio di pirati. Io sono Jake”
“Pirati...”,
bisbigliò Marco fra sé e sé. “Scusa... ma in che anno siamo?”
Jake lo guardava
incredulo.
“In
che anno siamo?!”, insistette Marco.
“Che
dici? Sei pazzo? Siamo nell'anno di grazia
millesettecentoventiquattro”
“Cosa?!”,
disse Marco attonito. “Cazzo...”, farfugliò guardandosi attorno.
Poi si mise a frugare nello zaino, tirando fuori tutto ed elencando
ad alta voce: “Panino, acqua, cellulare, coperta, eschimo...”
Jake osservava
curioso gli strani oggetti.
“Cazzo!”,
gridò Marco. Il pirata fece un balzo all'indietro e gli puntò la
sciabola.
“No,
no..., non a te! Non ho nemmeno un'arma tra queste cianfrusaglie, tu
almeno hai la spada...”
Jake si avvicinò e
raccolse il cellulare. Rimase imbambolato cercando di capire cosa
fosse, rigirandolo fra le mani, puntandolo per aria e sbirciandolo da
diverse angolazioni.
“E'
un telefono... guarda...”, Marco glielo prese di mano e lo accese.
Alla melodia
d'apertura l'altro piantò sul ragazzo uno sguardo terrorizzato.
“Serve
alle persone per parlare tra loro”, spiegò Marco, “solo che qui
non c'è campo...”, continuò deluso fissando il display.
“C'è
la sabbia, non va bene?... Dì la verità: tu non sei di questa
terra, da dove vieni?”, chiese Jake ormai più meravigliato che
spaventato.
“Non
da dove, ma da quando piuttosto...”, rispose Marco sorridendo.
“Sono un uomo proprio come te, solo che vengo dal duemiladodici.”
Il pirata ripose la
sciabola nella fusciacca e si accovacciò a esaminare lo zaino e i
vari oggetti sulla sabbia. Toccava con diffidenza i tessuti estranei
dello zaino e dell'eschimo.
Riconobbe nel
panino qualcosa di familiare, lo annusò brevemente e sorrise.
Lo stesso accadde
con la bottiglia d'acqua, anche se fece un po' fatica a capire come
si svitava il tappo e come facesse quello strano vetro a piegarsi
così premendolo con le dita.
D'un tratto
alzarono tutti e due gli occhi al cielo, richiamati dal sibilo acuto
di qualcosa che precipita dall'alto. Dopo un tonfo sordo, dal teschio
della Scimmia iniziò a levarsi un rivolo di fumo azzurrognolo.
Il tenente Sennar
aprì gli occhi faticosamente.
“Capitano
Liar!”, chiamò a gran voce. Si mise a sedere con movimenti lenti e
misurati. Le quattro gambe erano coperte di sangue, tagli ed ematomi;
gli facevano un male cane, ma per fortuna non c'era niente di rotto.
“Capitano
Liar!”, ripeté cercando di urlare più forte, ma per lo sforzo una
fitta lo pugnalò all'addome, afflosciando la corta proboscide in un
gorgoglio strozzato.
Tra i rottami
sparsi tutt' intorno, Sennar raccolse un lembo di uniforme logoro e
bruciacchiato.
“Capitano...”,
sussurrò esaminando quell'habitat inconsueto.
D'un tratto ebbe
una folgorazione e si portò le mani al volto. Il casco era andato in
frantumi.
Fece alcuni respiri
lunghi e profondi. Era strano. Strinse in un pugno una manciata di
quel terriccio biancastro, granuloso e finissimo. Mentre gli
scivolava via dalle tre dita, guardava il cielo di quello strano
colore e si sentiva invaso dall' inquietudine e dalla diffidenza.
Guardando il cielo
di quello strano colore si sentiva sempre di più invaso da un senso
di inquietudine e diffidenza.
“Non
poteva essere un aereo...”, rifletté Marco ad alta voce.
“Cos'è
un... a-e... ro?”, chiese Jake.
“E'
un veicolo volante che trasporta persone e cose. Ma non è stato
ancora inventato, è troppo presto, non può trattarsi di un
aeroplano”
“Ah...
vuoi dire un pallone? Quelli attaccati a una cesta, che volano...”,
fece Jake.
Marco rimase
perplesso. “Una mongolfiera...? Ma quella è stata inventata nel
millesettecentottantatré, mi ricordo bene... non puoi averla
vista... mi sa che qui succedono cose strane...”
“Ah
sì, di cose strane ne succedono eccome da queste parti... molte navi
spariscono e non se ne sa più nulla”, sussurrò Jake pensieroso.
“Andiamo
a dare un'occhiata!”, esclamò poi di slancio il pirata brandendo
la spada.
“Aspetta!”,
Marco cercò d'istinto di fermarlo ma Jake continuava a correre.
“Pluf!”.
Qualcosa era precipitato in mare poco distante dalla riva, da grande
altezza a giudicare dal tonfo e dagli spruzzi sollevati.
Jake si fermò e si
voltò in cerca di Marco. Entrambi nuotarono fino al punto
dell'impatto, Jake si tuffò e ricomparve dopo qualche istante con
una bottiglia in mano. Dentro c'era un pezzo di carta.
Sennar si girò di
scatto. Una pietra rotolò giù da un cumulo di rocce e detriti, poco
lontano. Una mano blu spuntò da sotto la sabbia. Con un urlo di
rabbia e dolore, Liar emerse fra i resti carbonizzati della navetta.
Era ferito e imbrattato di fuliggine, con l'uniforme a brandelli.
“Sta
bene Sennar? Non credo fosse un buco nero tenente...”
“No,
non lo era capitano. Anche se non mi era mai successa una cosa
simile.”
Si misero in piedi
a fatica, doloranti.
“Guardi
laggiù capitano!”, gridò Sennar indicando una strana roccia a
forma di teschio, sul versante di una montagna. Dalla grotta che
faceva da occhio si irradiava un cono di luce, la cui base si
estendeva come a formare uno schermo. Una scritta a lettere cubitali
rosse prese a scorrervi, poi un'altra e un'altra ancora. In tutto
erano una ventina di frasi che si susseguivano continuamente, nel
loro idioma, il lingor.
Era scritto in
inglese. Marco leggeva a voce alta, Jake ascoltava assorto e
preoccupato.
“L'isola
su cui vi trovate è il terreno di gioco. Ogni concorrente può
disporne nei modi che riterrà più opportuni.
Lo scopo di ogni
concorrente è sfuggire alla cattura e all'uccisione.
La caccia terminerà
domani al calar del sole: gli eventuali sopravvissuti saranno
ricondotti nei rispettivi mondi ed epoche di appartenenza.”
Marco sorrise
incredulo, passando il foglio a Jake. Il pirata lo osservava
sospettoso, girandolo anche sul retro per controllare che non ci
fosse dell'altro.
Qualcosa si mosse
in un cespuglio alle loro spalle.
“Chi
c'è?”, gridarono in coro il pirata e il ragazzo, l'uno in inglese,
l'altro in italiano.
Una figura
inquietante uscì con calma dalla boscaglia. Aveva sembianze umane,
ma sembrava di metallo liquido, di un grigio abbagliante sotto i
raggi del sole. Due fiammelle gialle gli si accesero al posto degli
occhi e prese ad avanzare verso i due.
“Sarà
anche lui un prigioniero o è un cacciatore?”, chiese Marco a Jake.
“Sei
un amico o un nemico?”, urlò il pirata alla strana creatura che si
stava avvicinando. Quella non rispose ma dal braccio si materializzò
una lunga lama, di quello stesso fulgido materiale, come se si
stirasse un cordoncino da una pallina di pongo.
Jake non perse
tempo e per tutta risposta pescò una rivoltella da sotto la camicia.
“E
quella da dove sbuca? Non gliel'avevo vista...”, pensò Marco.
La nuvola di
polvere si diradava stancamente nella debole eco dello sparo.
Quando la visuale
fu di nuovo libera, constatarono con grande delusione che
quell'essere aveva continuato ad avvicinarsi come se niente fosse.
“Ci
vorrebbe una bella semiautomatica, un bel calibro nove o una
quarantacinque...”, pensò Marco mentre Jake infilava la rivoltella
nella fusciacca. Evidentemente non aveva altre munizioni e comunque
sia ci sarebbe voluta una vita con quell'anticaglia ad avancarica...
Marco non osava far
nulla.
“Va
bene allora...”, sentì Jake bisbigliare.
“No,
Jake, vieni via! Scappiamo!”, urlò all'amico che invece, come
aveva intuito, era corso all'attacco.
La sciabola si
infranse contro la lama di quell'essere, spezzandosi in tre pezzi;
Jake rimase basito a fissarne l'elsa.
L'argenteo
cacciatore lo trapassò con gesto fulmineo.
“Nooo!!!”,
urlò Marco correndo in suo aiuto. Se Jake non si fosse buttato a
destra gli avrebbe trafitto il cuore; l'indomito filibustiere
indietreggiava velocemente, tenendosi la spalla sinistra.
L'alieno lo
incalzava con affondi e fendenti, Jake poteva solo schivare e perdeva
molto sangue dalla ferita.
“E'
spacciato! Prima o poi verrà colpito o perderà i sensi per
l'emorragia.”, pensava Marco rovistando disperatamente nello zaino.
Jake
indietreggiando inciampò su una roccia e cadde supino. L'alieno
stava per infilzarlo quando un cellulare lo colpì in pieno viso.
“Beccati
questo, stronzo! Perché non vieni qui?”, berciò Marco.
Il mostro rimase
immobile qualche secondo, poi alzò di nuovo la lama per calarla su
Jake.
Il pirata gridò
con quanto fiato aveva in gola, paralizzato dal terrore: alle spalle
dell'ignaro cacciatore si ergeva una sagoma blu alta quasi tre metri.
La corporatura
ricordava quella di un gorilla, ma la pelle era squamosa. Indossava
un'uniforme bianca di tessuto elasticizzato. Sul torace erano
impressi dei simboli gialli e rossi: Marco ripensò ai gradi sulla
mimetica da militare.
Aveva quattro gambe
e quattro braccia, tozze e muscolose. La testa somigliava a quella di
un elefante, per la forma delle orecchie e per la piccola
protuberanza che sporgeva dal centro. Aveva un solo occhio
ellittico, rosso scuro e con l'iride verde.
Jake chiuse gli
occhi, seguì un boato di lamiere accartocciate: Il gorilla blu con
un potente sganassone scaraventò il cacciatore contro il tronco di
una palma. L'essere d'argento ricadde sulla sabbia a peso morto e la
sua protuberanza spadiforme si riassorbì fino a scomparire.
Le nuvole
all'orizzonte si tingevano di rosa, il disco arancione del sole
scendeva dietro il vulcano. Alla luce del crepuscolo il teschio della
Scimmia, là in alto, diventava lugubre e sinistro.
Jake si mise in
piedi, dolorante. Osservava il suo salvatore senza paura. Marco nel
frattempo gli era corso incontro.
Il gigante blu
premette un bottone sul collare dell'armatura e iniziò a parlare.
“Salve,
terrestre. Mi esprimerò prima nella tua lingua, poi tradurrò per il
tuo amico.”, disse rivolto a Marco. “Mi chiamo Sennar,
luogotenente di vascello al comando del capitano Liar.”, e così
dicendo indicò un punto della boscaglia da cui emerse velocemente
un'altra creatura identica a lui.
“Siamo
abitanti del pianeta Aireon, nella nebulosa Quizar, a ottanta anni
luce dal pianeta che voi terrestri chiamate Mercurio”, continuò,
“stavamo rientrando da una spedizione commerciale, quando un campo
di forza sconosciuto ci ha teletrasportati qui, facendoci
schiantare.”
Sennar fece una
pausa, premette di nuovo il bottone sul collare e spiegò tutto anche
a Jake, in inglese.
“...Spedizione
commerciale... di cosa vi occupate, cosa trasportate?”, domandò
Marco alla fine della traduzione.
“Coltiviamo
e trasportiamo Grinolia, una pianta che cresce sul nostro pianeta, di
cui ci nutriamo e che utilizziamo per oggetti d'arredamento, vestiti,
utensili e profumi. Aspettate un attimo...”, Sennar si diresse
verso il cacciatore che giaceva ancora riverso a terra. Lo afferrò
con le quattro braccia e lo sollevò sopra la testa. Tirò con tutta
la forza finché non lo squartò in due e non sprizzarono scintille
miste a un liquido arancione oleoso. Quindi lanciò in mare i due
monconi.
“Meglio
essere sicuri.”, disse ritornando dagli altri.
“Avete
letto anche voi il messaggio?”, chiese Liar.
“Diceva
che ci danno la caccia per ucciderci e che se sopravviveremo ci
riporteranno al nostro mondo”, spiegò Marco, “ne parlavano come
di un gioco, ci hanno chiamati concorrenti.”, disse con disprezzo.
“Il
gioco finisce domani al tramonto, giusto?”, domandò Sennar.
Marco e Jake
annuirono. I due alieni si prendevano sempre il disturbo di tradurre
tutto anche in inglese.
“Anche
noi abbiamo avuto lo stesso messaggio”, esclamò Liar. “Devono
essere molto evoluti se sono stati in grado di radunarci qui da mondi
diversi...”
“E
da epoche diverse...”, precisò Jake sospirando e tenendo una mano
premuta sulla spalla.
Tutto
l'equipaggiamento di Sennar e Liar, armi comprese, era andato perduto
nello schianto; con la loro strumentazione medica avrebbero potuto
curargli la ferita in pochi secondi.
Marco tagliò con
la sciabola un pezzo della sua coperta e improvvisò una fasciatura.
Gli diede anche da finire il panino e la bottiglia d'acqua che si era
portato dietro.
“Sta
facendo buio”, disse Sennar, “dobbiamo trovare un posto dove
nasconderci e passare la notte.”
“L'hai
fatto fuori in quattro e quattr'otto!”, rise Marco rivolto a
Sennar.
“Solo
perchè l'ho preso alle spalle, di sorpresa. Non sappiamo quanti sono
e quali armi hanno...”
Neanche ebbe finito
di parlare che dalla boscaglia sbucarono altri cinque cacciatori.
Tutti e cinque allungarono il dito indice a formare quella specie di
spada.
“Voi
due scappate, a questi ci pensiamo noi.”, gridarono Sennar e Liar
partendo alla carica.
Marco non se lo
fece ripete e trascinò Jake verso le palme più velocemente che
poté. Ogni tanto si voltava e gli arrivavano brevi squarci di
battaglia: fragore di metallo che cozzava, urla concitate e il grido
di battaglia dei loro compagni blu, simile al barrito di un elefante.
Sennar con un calcio ne fece volare uno per una decina di metri. Liar
schivò un fendente e con un gancio poderoso, ad un altro mandò
quasi in frantumi il volto. Le lame argentee balenavano nella luce
fioca del crepuscolo, i corpi possenti di Sennar e Liar guizzavano
rapidi assestando calci e pugni.
Un raggio rosso gli
passò il torace da parte a parte e Sennar proruppe in un grido
agghiacciante. Le cime delle palme lambite da quel raggio si
sgretolarono, e la cenere si perse nel venticello della sera. Marco e
Jake si voltarono e restarono a guardare. Sennar era a terra, non
dava segni di vita. Liar aveva afferrato per il collo uno dei nemici,
ma un altro alle sue spalle l'aveva decapitato con quel nuovo raggio.
La testa rotolò accanto al corpo del compagno, in una pozza di
liquido verde.
I cacciatori fecero
capannello sopra i due alieni. Fu tutto un vibrare di lame e un
balenare di raggi, pezzi di carne e budella che sprizzavano qua e là.
Marco terrorizzato
continuò a fuggire, strattonando senza riguardi il povero Jake.
Entrarono nella boscaglia. Si era fatto buio. In lontananza i
carnefici non avevano ancora finito di divertirsi con le loro
vittime.
“Fermo,
fermo!”, rantolò Jake. “Non ce la faccio.”
Marco lanciò
un'occhiata alla spalla del pirata. La benda era inzuppata, il sangue
colava sulla camicia e sui pantaloni.
“Lasciami
qui e fuggi. Per me è finita.”, sussurrò Jake guardandolo negli
occhi.
Marco sentì le
lacrime inumidirgli le guance. Sapeva che aveva ragione, per lui non
c'era scampo, ma il pensiero di abbandonarlo gli rivoltava lo
stomaco. Pensò alla fine di Sennar e Liar e si sentì mancare. Non
poteva lasciarlo a quella sorte. Ma cosa poteva fare? Non aveva armi,
l'avrebbero ucciso in due secondi, sarebbero comunque morti tutti e
due.
“Ehi...
pst!”, qualcuno bisbigliò alle loro spalle.
Jake aveva perso
conoscenza. Marco si voltò in direzione del sibilo.
“Ehi
tu, ragazzo... vieni qui”, sussurrò la voce.
Marco strizzava gli
occhi per bucare l'oscurità, sempre più fitta e fissava i cespugli
bassi.
Con un lieve
fruscio, un viso beffardo comparve fra gli arbusti e lo chiamò con
più decisione.
Marco lo raggiunse
dietro le fratte. Era un ragazzo all'incirca della sua età, scuro di
pelle, dai capelli lunghi e mossi. Indossava solo dei jeans
stracciati, era scalzo e a torso nudo.
“Io
sono Giulio”, disse lo sconosciuto senza guardarlo in faccia,
continuando a tenere la situazione sotto controllo dal suo
nascondiglio. Da lì si vedevano Jake, steso a terra immobile, e più
lontani i cinque cacciatori. Avevano smesso di infierire sui
cadaveri. Qualcuno girava attorno ai resti, qualcun altro si guardava
in giro, in cerca della prossima preda. Due di loro avvistarono il
pirata che giaceva inerte e si mossero verso di lui.
Marco ebbe un
fremito e fece per uscire allo scoperto, ma Giulio lo bloccò
afferrandogli il braccio. Aveva una forza spropositata.
“Lo
prenderanno, lo uccideranno!”, esclamò Marco cercando di non
gridare.
“Lascia
che vengano”, disse Giulio sorridendo leggermente, mentre una luce
sinistra gli attraversava gli occhi neri e penetranti.
Marco fece per dire
qualcosa ma le parole si strozzarono in gola. Giulio indicò il
cielo, facendo l'occhiolino. La luna piena irradiava il suo bagliore
sul teschio di Scimmia.
Due cacciatori
erano quasi arrivati a Jake. La prendevano con calma, il poveretto
non era nelle condizioni di nuocere, né tanto meno di scappare.
Speravano che fosse ancora vivo, per non perdersi il divertimento.
“Bene,
sono solo in due. Perfetto!”, disse Giulio, “così ce la posso
fare”
“Fare
cosa?”, chiese Marco sempre più confuso.
“Ora
vedrai... si cambia gioco”, sorrise Giulio. “Tu rimani nascosto
qui”. In men che non si dica schizzò fuori dai cespugli e corse
verso i due mostri.
La sua rapidità
era sovrumana. Marco vide la sua schiena gonfiarsi e deformarsi,
finchè tutto il corpo esplose in una massa scura e pelosa. Un
poderoso ululato scosse l'isola. Stormi d'uccelli neri si levarono in
volo dagli alberi circostanti. Quel gigantesco lupo atterrò i
cacciatori con una zampata. Gli artigli strappavano brandelli di
tessuto metallico, fiotti arancioni zampillarono scintillando.
Caricatosi Jake in
spalla, il licantropo si lanciò sul cespuglio dove Marco stava
acquattato, raccolse su anche lui e si precipitò nel bosco. Correva
su due zampe ad una velocità impressionante. A Marco sembrava di
sfrecciare col suo due tempi da cross. Dalle spalle del lupo constatò
con piacere che nessuno degli altri tre cacciatori si era accorto di
nulla. L'attacco era stato una fucilata.
All'improvviso
Giulio scartò a sinistra e s'intrufolò in una grotta nascosta dai
cespugli.
Depose
delicatamente a terra Marco e Jake, riassumendo le sembianza umane.
“Sei
un lupo mannaro”, fece Marco. Giulio annuì. Non sembrava
vergognarsi affatto di essere nudo come un verme.
“Sono
nato così. Con gli anni ho imparato a padroneggiare questa abilità.
Ho bisogno della luna piena per trasformarmi in lupo, ma posso
ridiventare umano quando voglio. Così è molto più comodo”.
“Si,
decisamente!”, sorrise Marco, “grazie per averci salvati. A
proposito, io sono Marco e lui è Jake”.
“Se
non avessero quei laser potrei affrontarli a viso aperto. Peccato per
i due gorilla blu, non se la cavavano male. Grazie al loro sacrificio
ho visto quel raggio, altrimenti avrebbero ucciso anche me in pochi
secondi”, sospirò Giulio.
“Adesso
che facciamo?”, pronunciò Jake, con un filo di voce. Aveva
riaperto gli occhi.
“Sei
vivo!”, esclamò Marco. Jake sorrise.
“Intanto
direi di restare nascosti, per stanotte. Ci riposiamo e mangiamo. Ho
preso due conigli”, disse Giulio.
“Io
ho un accendino”, propose Marco tirandolo fuori dallo zaino,
“possiamo cuocerli.”
“Buona
idea, vado a prendere dei rami”, fece Giulio uscendo.
“Se
ci trovano qui è finita. Loro sono in tre e noi di tre non ne
facciamo uno, con quel raggio ci fanno fuori all'istante”, mormorò
Jake.
Marco rimase in
silenzio. Non aveva argomenti con cui controbattere. Si sentiva
inferiore e inutile. Inferiore a Giulio e incapace di aiutare l'amico
ferito.
“Ecco.”,
Giulio rientrò con una fascina di arbusti. Scuoiarono un coniglio
col pugnale che Jake teneva nello stivale e lo arrostirono alla
bell'e meglio.
“Quindi
anche voi siete qui da ieri e anche voi avete avuto lo stesso
messaggio”, bofonchiò Giulio masticando, rivolto ai due.
Jake e Marco si
guardarono e annuirono.
“Perché
sei nudo, non hai vestiti?”, chiese Jake.
“Come...?
Non mi hai visto...? Ah... allora eri svenuto... ti sei perso lo
spettacolo”, rispose Giulio.
Quando lo
ragguagliarono sull'accaduto il pirata pensò che lo stessero
prendendo in giro, ma Giulio gli diede subito una dimostrazione.
Mancò poco che Jake non svenisse un'altra volta.
Cadeva una leggera
pioggerella e nessuno dei tre dormiva. Giulio era di guardia, anche
perché era l'unico in grado di affrontare i cacciatori, nel caso li
avessero scoperti. Le condizioni di Jake peggioravano di ora in ora:
aveva perso molto sangue e gli spifferi gelidi che si intrufolavano
nella grotta non aiutavano di certo. Marco vegliava l'amico
agonizzante e non riusciva a togliersi un'idea dalla testa. Osservava
l'andirivieni di Giulio che si assentava qualche minuto a esplorare i
dintorni e ricompariva poi sull'uscio della caverna, per assicurarsi
che fosse tutto a posto.
“Giulio,
devo parlarti, vieni un attimo”, lo chiamò Marco una volta che
stava per andare in perlustrazione.
Giulio si avvicinò,
esaminando con preoccupazione il respiro affannoso di Jake.
“Noi
non possiamo fare nulla. Se ci trovano siamo spacciati. Anche tu, da
solo, non puoi fare molto. Hanno quel raggio e... chi ci dice che
sono in tre? Se sono in dieci, in venti o in cento, boh?... Per quel
che ne sappiamo...”, sussurrò Marco.
“Allora...?”,
chiese Giulio.
“Ci
ho pensato molto ed è l'unica cosa che mi è venuta in mente...
magari è una cazzata, ma se rimaniamo così non credo che arriveremo
a domani sera... Jake è messo male...”, continuò sperando che il
pirata non lo sentisse.
Giulio non capiva
dove volesse andare a parare.
“Devi
trasformarci. Così Jake almeno guarirà, no?”, chiese Marco.
“E'
vero... non ci avevo pensato. Eccome se guarirà!!!”, disse Giulio.
“Se
saremo forti quanto te potremo difenderci e vendere cara la pelle.”,
disse Marco.
“Ci
sto. Trasformaci! Ormai sono spacciato, preferisco continuare a
vivere da mezzo lupo che tirare le cuoia!”, li interruppe Jake che
aveva sentito tutto.
“Siete
sicuri? Non è una bella vita... non è come nei film, è tutto più
squallido, crudo e violento...”, disse Giulio
“Cosa
sono i film?”, chiese Jake.
“Lascia
stare, uomo preistorico...”, lo canzonò Giulio, “volevo solo
dire che è una vita da incubo... da reietto, da fenomeno da
baraccone, senza legami...”
“Meglio
così che sotto terra!”, sorrise Jake.
“Esatto!
Siamo pronti, facciamolo!”, disse Marco.
Giulio abbozzò
appena la trasformazione, giusto per farsi spuntare gli artigli, e li
graffiò entrambi.
La luna piena
imbiancava la foresta col suo pallore.
I tre cacciatori
giunsero alla caverna, incuriositi dalle grida provenienti
dall'interno. Indugiarono qualche istante sull'entrata, scandagliando
il buio coi fasci di luce che proiettavano dagli occhi, a mo' di
fari. Illuminarono Jake rannicchiato a terra, infagottato sotto una
coperta, che si contorceva in preda al dolore.
Uno di loro si fece
avanti di qualche passo, allungando lo stiletto metallico e tenendo i
fari puntati su Jake.
“Nooo...
non uccidetemi, pietà! Per l'amor del cielo, risparmiatemi!”, Jake
urlava come un invasato.
Il cacciatore levò
in alto la lama. La trappola era scattata. Due enormi lupi neri
presero alle spalle i due rimasti più indietro. Li placcarono a
terra schiacciandoli con tutto il peso del corpo e bloccandogli le
braccia sotto le possenti zampe; poi, in men che non si dica,
martellarono le teste di pugni finché non le ridussero ad ammassi
informi di ferraglia oleosa.
L'ultimo si voltò
a vedere cosa stesse succedendo. Jake scattò in piedi trasformato,
gli prese la testa fra le zampe anteriori e gliela schiacciò
riducendola a una lamina sottile. L'alieno metallico si accasciò al
suolo con un tonfo sordo.
Un pallido sole
irrorava la rugiada che ammantava la bassa distesa erbosa. Le palme
sgocciolavano leggermente, il piumaggio variopinto di qualche
pappagallo balenava tra le fronde, seguito dal suo gracchiare.
Jake, Marco e
Giulio erano seduti in spiaggia, sulla battigia. Riacquistate le
sembianze umane, erano nudi ed esausti, ma sorridenti. Al tramonto
mancavano ancora diverse ore.
All'improvviso
comparve lo stesso schermo del giorno prima, proiettato dall'occhio
della Scimmia.
“Tutti
i cacciatori sono stati eliminati. Di conseguenza tutti i concorrenti
sopravvissuti saranno rispediti nei rispettivi mondi e nelle
rispettive epoche”.
Si guardarono negli
occhi, sapendo bene tutti e tre che non si sarebbero più rivisti.
Marco e Giulio si volatilizzarono e Jake rimase solo, nella sua
isola.
Osservò il mare
calmo, il cielo terso, il lieve ondeggiare delle palme, il vulcano
con la faccia di scimmia. Niente sarebbe stato più come prima.
Marco scattò a
sedere ansimando, col terrore di annegare.
Nel buio prese
forma il faccione da schiaffi di Alessandro e una borraccia che
pisciava acqua. Un coro di risate saliva sempre più distintamente da
una nebbia d'ovatta.
Non aveva freddo,
nonostante fosse nudo, in piena notte, steso su un mucchio di foglie
secche e fradicie.
I ragazzi lo
additavano e lo schernivano, le ragazze si tenevano in disparte
imbarazzate, qualcuna sbirciava incuriosita.
“Ma
che hai combinato? Hai fatto un'orgia nel bosco? Sarai mica in una
setta satanica...?”, vociò Alessandro.
Marco si alzò in
piedi con calma. Si scrollò di dosso le foglie e il terriccio e si
stiracchiò, guardandolo dritto negli occhi.
Il ghigno di
Alessandro si trasformò in un sorriso ebete. Gli altri tacevano,
immobili.
Marco era
insolitamente sicuro di sé, non si preoccupava di coprirsi.
“Vuoi
vedere qualcosa di spaventoso?”, l'apostrofò Marco in segno di
sfida.
Alessandro non
rispose e distolse lo sguardo, un po' impaurito.
“D'accordo.
Apri gli occhi, fa bene attenzione”, esclamò Marco. Un lampo
dorato gli balenò negli occhi, le fattezze e le dimensioni si
deformarono.
Gli amici
scappavano terrorizzati, gridando a pieni polmoni. Qualcuno inciampò
e si ruzzolò tra le erbacce, qualcun'altro nello scompiglio si
schiantò contro un albero. Quando si furono tutti dispersi e intorno
non aveva più nessuno, Marco si ritrasformò e gridò: “Ci vediamo
al rifugio! A dopo!”, e sorrise alzando gli occhi alla luna piena.
Lasciò seccato la
scrivania al suono del campanello. I passi frettolosi rimbombavano
nella casa deserta. L'ora era tarda, la visita sospetta.
“Chi
è?”, chiese Marco guardando dallo spioncino. Non c'era nessuno.
Una volta avrebbe aperto con qualche esitazione e avrebbe fatto
capolino circospetto, a poco a poco. Invece spalancò con decisione
il portone in legno bianco, scese i tre scalini e si fermò nel
giardino, guardandosi in giro.
Stava per tornare
dentro quando si sentì avvinghiare al collo.
Grazie alla sua
nuova forza non ebbe problemi a divincolarsi.
Non poteva credere
ai propri occhi.
“Giulio!”,
esclamò.
“Ciao
Marco, alla fine ti ho trovato!”
“Vedo,
ma come hai fatto? Sapevi solo il mio nome... telepatia fra
licantropi? Un nuovo potere?”
“Il
potere di facebook”, sorrise Giulio. “Ho messo il tuo nome e dopo
due pagine è saltata fuori la tua foto. Pensa te: anche io abito
qui, ci pensi? Nella stessa città... quante probabilità c'erano??”
“Incredibile!
Sull'isola c'erano alieni di altri mondi, c'era Jake che era di tre
secoli fa... e noi invece siamo qui...”, disse Marco.
“Stesso
mondo, stessa epoca, stessa età e stessa città! Incredibile!”,
rise Giulio.
“Vieni
entra, vieni vieni!”, lo invitò Marco con premura. “I miei sono
usciti, sono da solo!”
Giulio si guardava
intorno con stupore, ammirando i grandi quadri dalle cornici dorate,
il lampadario di cristallo e la pomposa scalinata in marmo.
“Caspita,
che bella casa!...”, ammiccò.
Marco sorrise.
“Cazzeggiavo in internet”, spiegò entrando in camera sua.
Giulio si sedette
sul letto, osservando il monitor del PC col salvaschermo attivato.
“Pensavo
fossi straniero, dai lineamenti...”, disse Marco additando l'amico.
“Mia
mamma è peruviana, ho preso da lei”, rispose Giulio.
“Ah,
ecco... mi sembrava”, Marco girò la sedia e ci si mise a
cavalcioni, faccia a faccia con l'amico.
Non sapevano che
dire, c'era un po' di imbarazzo. Marco ebbe un'idea. “Guardiamo se
troviamo qualcosa su Jake?”
“Dai!”,
approvò Giulio alzandosi e avvicinandosi al computer.
Misero su Google
“Jake pirata 1700”: ne uscirono sette pagine di risultati. Non ci
volle molto per andare a bersaglio: al quinto link trovarono le
risposte.
“Senti
qui...”, Marco leggeva ad alta voce, “Jake Robinson, uno dei più
famosi pirati del diciottesimo secolo... nato a Londra... ah... aveva
una moglie, Eva e pure una figlia... Catherine...bah, bah, bah...
spetta... avuta dalla moglie quando ancora era un commerciante di
spezie... ah, pensa... non è stato sempre un pirata... guarda... c'è
un ritratto...”
“E'
lui!”, esclamò Giulio, “... allora queste sono la moglie e la
figlia... bella la moglie...”
“Davvero!
Anche la figlia, guarda che carina... qui avrà quattro o cinque
anni, che dici?”, fece Marco.
“Si,
credo anche io”, rispose Giulio, “era carina anche la figlia...
spetta...”, Giulio strizzava gli occhi e scorreva velocissimamente
la pagina, “... la leggenda e le credenze... fu ritenuto un
licantropo... bla, bla, bla... il primo lupo mannaro nell'Europa dei
tempi moderni... pensa...”
Giulio e Marco si
guardarono stupiti. “Ma se...”, iniziò esitando Marco, “...
sei stato tu a trasformarci, a trasformarlo... come fa ad essere il
primo?”
“E'
del millesettecento... è vissuto prima di noi... boh... vedi,
paradossi temporali...”, farfugliò Giulio poco convinto.
“Boh...”,
anche a Marco le cose non tornavano. “Avremo modificato la linea
temporale, il corso degli eventi? Forse abbiamo fatto un casino...”
Giulio si rabbuiò
e prese a fissare il pavimento, poi rispose: “Oh, sta a sentire,
anche se fosse? Dopo tutto quello che abbiamo passato su
quell'isola... quel che è fatto è fatto ormai, basta!”
“Hai
ragione!”, lo sosteneva Marco, “Siamo fortunati ad essere vivi,
altro che paradossi... non ci voglio pensare...”
“Ma
sì, chi se ne frega! Abbiamo già il nostro bel da fare a gestire
questa doppia vita lupifera!”, rise Giulio.
Marco gli sorrise a
sua volta e accese lo stereo ad alto volume. “Allora, parliamo di
cose serie: cosa ti offro da bere, compagno lupo?”
“Uhm...”,
Giulio assunse un'espressione pensosa poi esclamò: “... direi...
un amaro... del cacciatore!”, e tutti e due risero forte,
gustandosi la bella giornata fuori dalla finestra.
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