Informazioni e notizie su tutto quello che scrivo, che faccio e che mi accade (anche per sbaglio).
domenica 21 dicembre 2014
Visita ai nonni
Tenuta di Greenwood, nei pressi di Londra, anno 1756
Jake era intento a caricare la pipa. Dopo cena era il suo rito propiziatorio per una bella dormita. Pressava dolcemente il tabacco, avendo cura di lisciarne lo strato nella maniera più perfetta possibile. Sua moglie Eva aveva spento il fuoco e stava sganciando il calderone dello stufato, quando bussarono al portone del castello.
Si scambiarono uno sguardo interrogativo e perplesso. Jake posò la pipa. - Tu resta qui, - disse staccando dalla parete una scimitarra e avviandosi. Chiunque fosse, com'era arrivato al portone? Come aveva superato il cancello?
- Ciao mamma, - le sorrise Katherine facendo il suo ingresso.
- Guarda chi ti ho portato... - esclamò Jake alla moglie, tenendo in braccio una graziosa bimbetta dai boccoli color grano e dai grandi occhi scuri.
- Ho piegato le sbarre del cancello, sai nonno, - esultò Maddy.
- Coi poteri della mamma? - chiese Jake divertendosi a pungerle il visino con la barba ormai quasi del tutto bianca.
- Nooo... - si schermì la piccola allontanando divertita le guance abrasive del nonno, - con le mani...
- Ah birbantella, allora mi hai rotto il cancello eh... - tuonò Jake in tono scherzoso.
- Dopo l'ho rimesso a posto, nonno - dichiarò Maddy orgogliosa dell'impresa.
Katherine accarezzò dolcemente la guancia della figlia.
- Hai fatto bene a passare figliola, - le disse Eva smettendo le faccende, - è un pezzo che non ci si vede.
- Nonno nonno raccontami una storia! - esclamò Maddy dondolando in braccio a Jake.
- Voleva assolutamente una storia, - sussurrò Katherine alla madre, - sono dovuta passare per forza, - sorrise.
Maddy nel frattempo si era divincolata dall'abbraccio del nonno e saltata giù lo aveva trascinato nella camera da letto per estorcergli qualche racconto avventuroso.
- Come sta la piccola, tutto bene? - domandò Eva a Katherine una volta rimaste sole. A parte qualche ruga appena accennata e vaghi sprazzi grigi tra i ricci fluenti, Eva era ancora una donna molto attraente, pensò Katherine specchiandosi negli stessi occhi verdi della madre.
- Alla sua età i miei poteri non erano così forti, - disse Katherine.
- Si è mai trasformata con la luna piena?
- No. Credo che non abbia bisogno di cambiare aspetto. E' già fortissima e molto agile.
- Le generazioni che passano... la natura che affina la sua opera... - rifletté Eva. - Lui si è più fatto sentire? - chiese poi in tono sommesso.
Katherine scosse la testa sospirando.
- Non è da tutti accettare una cosa del genere, - disse Eva. - A Maddy hai detto niente?
- Le ho detto che il babbo è in giro per mare, come faceva da giovane il nonno.
- E lui sa niente di Maddy?
- Katherine fece ancora segno di no con la testa.
- Forse ne avrebbe il diritto, non credi? E' pur sempre sua figlia... - buttò lì Eva timidamente.
- Maddy non ha bisogno di un padre così. Di un vigliacco! - sbottò Katherine. Se ne pentì subito e gettò l'occhio in direzione della camera dov'erano sua figlia e suo padre.
- Dai Kat... non so quanti sarebbero stati capaci di...
- Non gli ho detto che ero incinta. Non ho fatto in tempo: è sparito non appena gli ho confidato di me. Be' meglio così. Non lo voglio un codardo. Io e la mia bimba stiamo bene anche da sole. Adesso cambiamo discorso: voi come state?
- Cosa vuoi figlia mia... gli anni passano. Cominciamo a essere vecchiotti. Ma va bene, non ci lamentiamo. La licantropia aiuta a mantenersi sani!
Risero insieme, prendendosi le mani.
- Chissà cosa combinano quei due di là... - scherzò Katherine.
- Jake va matto per Maddy. Ogni volta che sta con lei si illumina, ringiovanisce a vista d'occhio, - disse Eva.
- C'era una volta, - iniziò Jake seduto sul letto, - venti miglia a sud-est dell'isola di Tortuga, lungo una rotta poco battuta dalle navi mercantili, una lussureggiante isoletta che i bucanieri di tutto il mondo avevano eletto a loro covo... - Maddy lo ascoltava rapita, seduta sulle sue ginocchia. - Decine di velieri vi salpavano coi cannoni scalpitanti, per farvi poi ritorno con le stive ricolme di spezie e preziosi...
- Cosa sono i bucanieri?
- E’ un altro nome per dire “pirati.”
- Come te nonno...
- Esatto piccolina. Allora, la vuoi sentire questa storia?
- Ci sono i mostri?! - domandò Maddy elettrizzata.
- Ci sono grossi scimmioni blu, lupi grandi grandi... e anche uomini d’acciaio.
- E sono cattivi?
- Molto cattivi!
- Bello! Dai nonno, racconta racconta!
- D’accordo. Ecco qui, piccolina: http://www.wizardsandblackholes.it/?q=la_caccia
- Ti è piaciuta la favola Maddy? - le chiese alla fine.
- Sì nonno, molto! Raccontamela ancora una volta!
- Per stasera basta, che si è fatto tardi e tu e la mamma dovete tornare a casa. Ma voglio dirti un segreto. Lo sai tenere un segreto, vero Maddy?
La piccola sgranò trepidante gli occhioni e si affrettò a fare sì con la testa.
Jake la fissò benevolo, per aumentarle ancor di più la curiosità. Poi si guardò intorno come per accertarsi che nessuno ascoltasse. Alla fine le si avvicinò e le sussurrò:- Non è una favola, è tutto vero. E quel pirata, il protagonista della storia, sono io.
Se vi è piaciuto (lo spero) e volete leggere altri miei text-trailer, li trovate (gratuitamente) nell'apposita sezione della W&B:
http://www.wizardsandblackholes.it/?q=text-trailers
Buona lettura!
mercoledì 17 dicembre 2014
Esce oggi! (naturalmente...)
... E voi?! Avrete il coraggio di leggerlo?!
(Fatevi pure invogliare dai text-trailer, scritti anche quelli da me)
http://www.wizardsandblackholes.it/?q=17
lunedì 15 dicembre 2014
domenica 7 dicembre 2014
lunedì 1 dicembre 2014
Storie brevi
Per tutti i possessori di smartphone amanti della narrativa che volessero leggere alcuni miei racconti, et voilà:
http://www.storiebrevi.it/
venerdì 28 novembre 2014
Una recluta al poligono
Le raffiche si interruppero quando entrò accompagnata dal sergente Berardi, incaricato per l'occasione di farle da istruttore.
- E quella sventola chi è? - sussurrò un agente al collega che faceva una pausa.
- La nuova arrivata. La ragazza di Jim.
- Ah. Ma li ha diciott'anni?
- Lo spero per Naspetti, ci manca solo che il commissario vada nei casini per aver arruolato una minorenne...
Guen rivolse loro un sorrisetto mentre si accomodava alla postazione e i due trasalirono come colti in fallo. Non poteva averli sentiti, non con le cuffie, erano solo bisbigli. Senza contare che nel frattempo le calibro nove avevano ricominciato a martellare.
- Aspetta, - la ammonì l'istruttore indicando un cartello dove campeggiava «È obbligatorio indossare cuffie e occhiali di protezione.»
- Gli occhiali sono solo un impiccio, - rispose Guen.
Il sergente fece spallucce. Fa' come ti pare, se ti fai male cavoli tuoi.
Prese la mira visibilmente impacciata. Al momento di premere il grilletto strappò e il colpo si perse, alzando uno sbuffo nella monticciola dietro il bersaglio.
I due che la osservavano si scambiarono un cenno ironico; Guen appariva stupita del potente rinculo. Berardi si lisciò sardonico i baffi grigi. Aveva usato una sola mano, errore da principiante: col grosso calibro a 25 metri è già difficile prenderci impugnando saldamente a due mani.
Svuotò svogliatamente il primo caricatore, in apparenza per nulla seccata che la sagoma del soldato laggiù in fondo fosse ancora intonsa, come verificò e riferì il corpulento sergente munito di binocolo. Ricaricò, armò la pistola e riprese posizione.
- Non così, - la schernì Berardi. Le prese le mani nelle sue, che sembravano due rugose palette da neve. - Non è una 22. La mano debole deve fornire uguale supporto per sorreggere l'arma in modo sicuro. - Si atteggiava a grande esperto mentre incombeva sull'aggraziata silhouette di Guen. - Polsi dritti per assorbire il rinculo, pollici uno sopra l'altro e bloccati verso il basso. Ecco, così. - E le si avvicinò ancora un po', distendendole le braccia e portandosi dietro di lei, quasi a sfiorarle i fianchi. - Ecco... adesso sei pronta a far fuo...
Con un guizzo inaspettato Guen si divincolò dalle grinfie dell'omone ed estrasse il caricatore. Berardi rimase di sasso. I due curiosi seguivano la scena divertiti.
Guen scarrellò la Glock 17T e con scatto felino intercettò al volo l'ultimo colpo, quello in canna. Fissando l'istruttore con ghigno beffardo appoggiò la pistola sul banco e mise la pallottola sul palmo della mano. Sorridendo schiccherò il proiettile che scomparve fischiando.
Dopo un attimo di esitazione il sergente puntò il binocolo sul soldato di carta. Adesso aveva un unico foro, proprio in mezzo alla fronte. Berardi farfugliò qualcosa senza riuscire a dare alla frase un senso compiuto, mentre Guen soddisfatta si dirigeva verso l'uscita ancheggiando con un pizzico di malizia. Passando davanti ai due fece loro l'occhietto, prima di lasciare le cuffie su un tavolino e richiudere dietro di sé il massiccio portone di ferro.
- E quella sventola chi è? - sussurrò un agente al collega che faceva una pausa.
- La nuova arrivata. La ragazza di Jim.
- Ah. Ma li ha diciott'anni?
- Lo spero per Naspetti, ci manca solo che il commissario vada nei casini per aver arruolato una minorenne...
Guen rivolse loro un sorrisetto mentre si accomodava alla postazione e i due trasalirono come colti in fallo. Non poteva averli sentiti, non con le cuffie, erano solo bisbigli. Senza contare che nel frattempo le calibro nove avevano ricominciato a martellare.
- Aspetta, - la ammonì l'istruttore indicando un cartello dove campeggiava «È obbligatorio indossare cuffie e occhiali di protezione.»
- Gli occhiali sono solo un impiccio, - rispose Guen.
Il sergente fece spallucce. Fa' come ti pare, se ti fai male cavoli tuoi.
Prese la mira visibilmente impacciata. Al momento di premere il grilletto strappò e il colpo si perse, alzando uno sbuffo nella monticciola dietro il bersaglio.
I due che la osservavano si scambiarono un cenno ironico; Guen appariva stupita del potente rinculo. Berardi si lisciò sardonico i baffi grigi. Aveva usato una sola mano, errore da principiante: col grosso calibro a 25 metri è già difficile prenderci impugnando saldamente a due mani.
Svuotò svogliatamente il primo caricatore, in apparenza per nulla seccata che la sagoma del soldato laggiù in fondo fosse ancora intonsa, come verificò e riferì il corpulento sergente munito di binocolo. Ricaricò, armò la pistola e riprese posizione.
- Non così, - la schernì Berardi. Le prese le mani nelle sue, che sembravano due rugose palette da neve. - Non è una 22. La mano debole deve fornire uguale supporto per sorreggere l'arma in modo sicuro. - Si atteggiava a grande esperto mentre incombeva sull'aggraziata silhouette di Guen. - Polsi dritti per assorbire il rinculo, pollici uno sopra l'altro e bloccati verso il basso. Ecco, così. - E le si avvicinò ancora un po', distendendole le braccia e portandosi dietro di lei, quasi a sfiorarle i fianchi. - Ecco... adesso sei pronta a far fuo...
Con un guizzo inaspettato Guen si divincolò dalle grinfie dell'omone ed estrasse il caricatore. Berardi rimase di sasso. I due curiosi seguivano la scena divertiti.
Guen scarrellò la Glock 17T e con scatto felino intercettò al volo l'ultimo colpo, quello in canna. Fissando l'istruttore con ghigno beffardo appoggiò la pistola sul banco e mise la pallottola sul palmo della mano. Sorridendo schiccherò il proiettile che scomparve fischiando.
Dopo un attimo di esitazione il sergente puntò il binocolo sul soldato di carta. Adesso aveva un unico foro, proprio in mezzo alla fronte. Berardi farfugliò qualcosa senza riuscire a dare alla frase un senso compiuto, mentre Guen soddisfatta si dirigeva verso l'uscita ancheggiando con un pizzico di malizia. Passando davanti ai due fece loro l'occhietto, prima di lasciare le cuffie su un tavolino e richiudere dietro di sé il massiccio portone di ferro.
venerdì 21 novembre 2014
Sfida all'ultima pagina
Sfida all'ultima pagina: tre scrittori senigalliesi sfidano il campione pesarese Salvatore di Sante
Domenica 30 novembre presso la Galleria Auchan di Ancona quattro autori marchigiani di fantasy e fantascienza si sfideranno in un duello all'ultima pagina! A leggere brani tratti dalle loro opere l'attrice Catia Urbinelli della compagnia Il Melograno. L'evento sarà presentato da Mattia Crivellini di Fosforo.
Il campione in carica è lo scrittore pesarese che lo scorso luglio presso la libreria IoBook ha vinto la prima sfida dei Maghi e dei Buchi Neri.
Salvatore presenterà il suo "17". A sfidarlo tre scrittori senigalliesi: Franky
Kaone con "Pliocene Anno Zero", Gabriele Boldreghini con "Viaggio al centro della Follia" e Michele Pinto con "23 anni prima di Mitòsis".
Gli scrittori presenteranno le loro opere, risponderanno alle domande del presentatore e alle curiosità del pubblico che decreterà il vincitore con i propri applausi.
I partecipanti alla serata potranno acquistare i 4 ebook in gara (due dei quali saranno disponibili nei negozi solo a dicembre) al prezzo speciale di 5€.
E tu da che parte stai? Da quella dei Mostri o da quella degli Alieni?
venerdì 31 ottobre 2014
lunedì 20 ottobre 2014
Per sempre diciassettenne
La matita si puntò sul quadernone perché con la coda dell'occhio aveva captato un movimento nel parco della scuola. La panchina era deserta, uno stormo di foglie secche danzava stancamente attorno alla quercia. Riprese quindi a tratteggiare il suo drago corazzato fra gli appunti di storia. Nemmeno questa volta Guen si era accorta che Stefano dall'ultimo banco la osservava insistentemente. La campanella mise fine al monologo del professore su Napoleone Bonaparte e anche la sua classe si riversò nell'androne mescolandosi al fiume di studenti che invadevano chiassosamente il cortile. I più prendevano a piedi mentre pochi fortunati inforcavano le motociclette e filavano via tra il puzzo dell'olio e le dense fumate di scarico.
- Ci vieni stasera alla festa di Stefano? - Marta le si fiondò addosso comparendo dal nulla.
- Ancora non so, - rispose Guen abbozzando un sorriso.
- Eddai, mi sa che gli piaci.
- Peggio ancora. Non voglio casini.
- Non ti piace quel fusto? - la stuzzicò l'amica.
- Al momento non mi interessano queste cose. Accomodati pure, è tutto tuo.
- Magari! E' lui che non mi si fila, sennò... ops! - esclamò Marta dandole una gomitatina.
- Ciao. Ci siete stasera alla mia festa? - Lupus in fabula: Stefano le aspettava al varco nascosto dietro la quercia.
Guen guardava per terra imbarazzata, giochicchiando con qualche foglia.
- Certo! A che ora? - cinguettò Marta ignorando bellamente le occhiatacce dell'amica.
- Alle otto alla mia casa di campagna. Sapete dov'è, vero? I miei non ci sono. Portate da mangiare, i ragazzi portano da bere.
- Ci vediamo lì allora, - disse Marta facendogli l'occhiolino. Ma Stefano non aveva smesso un attimo di guardare Guen che invece non staccava mai gli occhi dal marciapiede.
- Allora a stasera, eh! - lo incalzò Marta sforzandosi di esibire un tono di voce ancora più squillante. Niente da fare. Stefano non la sentiva neppure, la sua attenzione era tutta per Guen.
- Vabbe' - sospirò Marta, rassegnata a rimanere in ombra. - Ciao ciao! - tagliò corto poi tirando l'amica per un braccio.
- Oh, è proprio vero: chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane. Ce l'avessi io uno così che mi viene dietro...
Guen le rispose sospirando: - Domani c'è anche il compito in classe di latino, non ho voglia di venire alla festa.
Da qualche minuto aveva superato il bivio dove di solito si separavano per tornare ognuna a casa propria. Guen si stava chiedendo se non fosse il caso di ripensarci, quando una voce alle sue spalle materializzò i suoi pensieri con un tempismo sbalorditivo.
- Sei davvero sicura di non voler venire alla mia festa?
Anche se lì per lì avrebbe voluto rispondere che invece sì, ci sarebbe stata anche lei alla festa, si voltò di scatto stizzita e sbottò:- No, non posso. Devo studiare!
Rimase di sasso. La voce era stata quella di Stefano, ma il tizio davanti a lei non era Stefano. Un soffio d'aria gelida la fece rabbrividire. Si guardò attorno soffocata da un'improvvisa vampata d'angoscia, cercando scampo in qualche anima pia che passasse da quelle parti. La strada era deserta. Un refolo bistrattò un mulinello di foglie accendendole un'intuizione: quei lunghi capelli neri. Lo svolazzo del soprabito in pelle: era lui dietro la quercia, a scuola! Lo sconosciuto rimaneva in silenzio, inchiodandola con uno sguardo glaciale che sapeva di distanze siderali, di qualcosa che riemerge inesorabile dalle tenebre. Provò a chiedere chi fosse ma le parole le morirono in gola. Lo sconosciuto la bloccò stringendole le braccia. In piedi di fronte a lei la sovrastava di trenta centimetri buoni. Voleva disperatamente scappare ma il corpo non rispondeva, le gambe erano un blocco di cemento. Era paralizzata, riusciva solo a muovere gli occhi. Poi quella voce le entrò in testa come un sibilo, senza che lui muovesse le labbra. Sembrava mormorasse dagli occhi.
- Ciao Guendalina. Alla fine ti ho trovata. C'è un legame speciale che ci unisce, gli Antichi non scelgono a caso i loro seguaci...
Lentamente mise a fuoco il lampadario sul soffitto, nella penombra diafana di camera sua. Si tirò su a sedere. La sveglia sul comodino faceva le quattro e mezza di notte. La testa le girava e pulsava dolorosamente. Si sentiva stranita, distante. Come era tornata a casa? Il ricordo balenò e trasalendo si portò la mano al collo. I polpastrelli sentirono una lacerazione. Si trascinò in bagno con passo malfermo. Accese la luce e una fitta la piegò in ginocchio, strappandole un gemito. Gli occhi avvamparono come se ci fosse entrata della sabbia. Quando riuscì a riaprirli intravide due piccoli fori dai contorni frastagliati, sul collo della ragazza che la fissava spaventata dallo specchio.
http://www.wizardsandblackholes.it/?q=17
- Ci vieni stasera alla festa di Stefano? - Marta le si fiondò addosso comparendo dal nulla.
- Ancora non so, - rispose Guen abbozzando un sorriso.
- Eddai, mi sa che gli piaci.
- Peggio ancora. Non voglio casini.
- Non ti piace quel fusto? - la stuzzicò l'amica.
- Al momento non mi interessano queste cose. Accomodati pure, è tutto tuo.
- Magari! E' lui che non mi si fila, sennò... ops! - esclamò Marta dandole una gomitatina.
- Ciao. Ci siete stasera alla mia festa? - Lupus in fabula: Stefano le aspettava al varco nascosto dietro la quercia.
Guen guardava per terra imbarazzata, giochicchiando con qualche foglia.
- Certo! A che ora? - cinguettò Marta ignorando bellamente le occhiatacce dell'amica.
- Alle otto alla mia casa di campagna. Sapete dov'è, vero? I miei non ci sono. Portate da mangiare, i ragazzi portano da bere.
- Ci vediamo lì allora, - disse Marta facendogli l'occhiolino. Ma Stefano non aveva smesso un attimo di guardare Guen che invece non staccava mai gli occhi dal marciapiede.
- Allora a stasera, eh! - lo incalzò Marta sforzandosi di esibire un tono di voce ancora più squillante. Niente da fare. Stefano non la sentiva neppure, la sua attenzione era tutta per Guen.
- Vabbe' - sospirò Marta, rassegnata a rimanere in ombra. - Ciao ciao! - tagliò corto poi tirando l'amica per un braccio.
- Oh, è proprio vero: chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane. Ce l'avessi io uno così che mi viene dietro...
Guen le rispose sospirando: - Domani c'è anche il compito in classe di latino, non ho voglia di venire alla festa.
Da qualche minuto aveva superato il bivio dove di solito si separavano per tornare ognuna a casa propria. Guen si stava chiedendo se non fosse il caso di ripensarci, quando una voce alle sue spalle materializzò i suoi pensieri con un tempismo sbalorditivo.
- Sei davvero sicura di non voler venire alla mia festa?
Anche se lì per lì avrebbe voluto rispondere che invece sì, ci sarebbe stata anche lei alla festa, si voltò di scatto stizzita e sbottò:- No, non posso. Devo studiare!
Rimase di sasso. La voce era stata quella di Stefano, ma il tizio davanti a lei non era Stefano. Un soffio d'aria gelida la fece rabbrividire. Si guardò attorno soffocata da un'improvvisa vampata d'angoscia, cercando scampo in qualche anima pia che passasse da quelle parti. La strada era deserta. Un refolo bistrattò un mulinello di foglie accendendole un'intuizione: quei lunghi capelli neri. Lo svolazzo del soprabito in pelle: era lui dietro la quercia, a scuola! Lo sconosciuto rimaneva in silenzio, inchiodandola con uno sguardo glaciale che sapeva di distanze siderali, di qualcosa che riemerge inesorabile dalle tenebre. Provò a chiedere chi fosse ma le parole le morirono in gola. Lo sconosciuto la bloccò stringendole le braccia. In piedi di fronte a lei la sovrastava di trenta centimetri buoni. Voleva disperatamente scappare ma il corpo non rispondeva, le gambe erano un blocco di cemento. Era paralizzata, riusciva solo a muovere gli occhi. Poi quella voce le entrò in testa come un sibilo, senza che lui muovesse le labbra. Sembrava mormorasse dagli occhi.
- Ciao Guendalina. Alla fine ti ho trovata. C'è un legame speciale che ci unisce, gli Antichi non scelgono a caso i loro seguaci...
Lentamente mise a fuoco il lampadario sul soffitto, nella penombra diafana di camera sua. Si tirò su a sedere. La sveglia sul comodino faceva le quattro e mezza di notte. La testa le girava e pulsava dolorosamente. Si sentiva stranita, distante. Come era tornata a casa? Il ricordo balenò e trasalendo si portò la mano al collo. I polpastrelli sentirono una lacerazione. Si trascinò in bagno con passo malfermo. Accese la luce e una fitta la piegò in ginocchio, strappandole un gemito. Gli occhi avvamparono come se ci fosse entrata della sabbia. Quando riuscì a riaprirli intravide due piccoli fori dai contorni frastagliati, sul collo della ragazza che la fissava spaventata dallo specchio.
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sabato 18 ottobre 2014
Al Puledro Rampante
L'insegna della locanda cigolava al vento.
- Ehi, guarda là...
- E' quella spugna di Larry che dà ancora fuori di testa, - sghignazzò il compare.
Dal vetro angusto e annerito dal fumo delle candele, due marinai si gustavano lo spettacolo con contorno di tonno e birre scure.
- Ma con chi parla? - Brandelli dello sproloquio di Larry-poverodiavolo filtravano assieme agli spifferi dalle crepe dell'intelaiatura.
- Ci sta provando con una ragazza, mi sembra, - fece quello tracagnotto trangugiando un boccone.
- Sarà la solita polena, - sbottò l'altro pulendosi col braccio la barba coperta di spuma e appoggiando rumorosamente il boccale sul tavolo.
- Ehi, cosa c'è? - il suo amico si era bloccato con un trancio a mezz'aria e la bocca aperta.
- Che diavolo ti prende?!
- Non è una polena. Non è una nave.
L'altro continuava a scrutare la nebbia che avvolgeva il porto con un'espressione tra l'impaurito e lo sbigottito.
- Ma quello è... - farfugliò quello grassoccio.
Due globi rossastri si accesero a bucare la foschia. Lo smilzo si alzò in piedi, incollandosi al vetro e strizzando gli occhi.
- E' un drago!!! - gridarono all'unisono schizzando all'indietro e inciampando nelle sedie.
- Esattamente. Quello è Torcia, il mio fido destriero, - esclamò un giovane sulla soglia. - Buonasera, avrei bisogno di un'informazione, se lorsignori acconsentono...
http://www.wizardsandblackholes.it/?q=lafigliadelpirata
- Ehi, guarda là...
- E' quella spugna di Larry che dà ancora fuori di testa, - sghignazzò il compare.
Dal vetro angusto e annerito dal fumo delle candele, due marinai si gustavano lo spettacolo con contorno di tonno e birre scure.
- Ma con chi parla? - Brandelli dello sproloquio di Larry-poverodiavolo filtravano assieme agli spifferi dalle crepe dell'intelaiatura.
- Ci sta provando con una ragazza, mi sembra, - fece quello tracagnotto trangugiando un boccone.
- Sarà la solita polena, - sbottò l'altro pulendosi col braccio la barba coperta di spuma e appoggiando rumorosamente il boccale sul tavolo.
- Ehi, cosa c'è? - il suo amico si era bloccato con un trancio a mezz'aria e la bocca aperta.
- Che diavolo ti prende?!
- Non è una polena. Non è una nave.
L'altro continuava a scrutare la nebbia che avvolgeva il porto con un'espressione tra l'impaurito e lo sbigottito.
- Ma quello è... - farfugliò quello grassoccio.
Due globi rossastri si accesero a bucare la foschia. Lo smilzo si alzò in piedi, incollandosi al vetro e strizzando gli occhi.
- E' un drago!!! - gridarono all'unisono schizzando all'indietro e inciampando nelle sedie.
- Esattamente. Quello è Torcia, il mio fido destriero, - esclamò un giovane sulla soglia. - Buonasera, avrei bisogno di un'informazione, se lorsignori acconsentono...
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Fiocco rosa in casa Robinson
- Guardala... - sussurrò Eva illuminandosi tutta.
Suo marito Jake sorrideva imbambolato, non riuscendo a staccare gli occhi dalla fagottina che dormiva beata nella culla.
- Fai la nanna cuccioletta, - mormorò Eva sfiorandole appena le guanciotte. - Non è un amore?
- Tutta sua mamma! - bisbigliò Jake. Eva gli appoggiò morbidamente un bacio sulla guancia.
- Avremo fatto bene? - disse Jake tirando la moglie un po' in disparte per non rischiare di svegliare la piccola.
Eva lo guardava senza capire.
- E se diventa un... - il pirata si interruppe e abbassò lo sguardo.
Lei aveva capito dove voleva andare a parare ma si limitò a fissarlo aspettando che finisse lui la frase.
- Ho paura che sia un mostro come noi, - ammise Jake. Ecco, aveva sputato il rospo.
- Katherine è nostra figlia. Ed è una bimba perfettamente sana, come ha detto il dottor Jones. E' forse una colpa amarsi? Sarà quel che vuole il cielo.
Dalla culla si levarono dei versetti a interrompere la conversazione.
- Ehi, ciao Kat, ti sei svegliata piccolina? - Appoggiato alla sponda della culla Jake le accarezzava teneramente il pancino. Katherine sorrideva dimenando le manine.
- Il babbo ha paura. Dì al babbo che sei una bimbina normale normale - scherzò Eva.
La piccola parve farsi seria di botto e iniziò a guardare Jake tutta assorta. Il pirata si sentì invaso da un calore benefico che, divampato nel petto, saliva pian piano ad irrorargli la mente. Era come se una voce dentro di lui gli mormorasse:- Non preoccuparti, tranquillo, andrà tutto bene.
A un tratto sentì qualcosa che gli sfiorava la testa. Katherine sorrideva di nuovo e lo indicava. Lentamente la bandana che gli legava i lunghi capelli corvini si sfilò e fluttuò adagio fin dentro la culla. Katherine la strinse fra le manine cicciotte e lanciò un gridolino d'esultanza.
http://www.wizardsandblackholes.it/?q=lafigliadelpirata
Suo marito Jake sorrideva imbambolato, non riuscendo a staccare gli occhi dalla fagottina che dormiva beata nella culla.
- Fai la nanna cuccioletta, - mormorò Eva sfiorandole appena le guanciotte. - Non è un amore?
- Tutta sua mamma! - bisbigliò Jake. Eva gli appoggiò morbidamente un bacio sulla guancia.
- Avremo fatto bene? - disse Jake tirando la moglie un po' in disparte per non rischiare di svegliare la piccola.
Eva lo guardava senza capire.
- E se diventa un... - il pirata si interruppe e abbassò lo sguardo.
Lei aveva capito dove voleva andare a parare ma si limitò a fissarlo aspettando che finisse lui la frase.
- Ho paura che sia un mostro come noi, - ammise Jake. Ecco, aveva sputato il rospo.
- Katherine è nostra figlia. Ed è una bimba perfettamente sana, come ha detto il dottor Jones. E' forse una colpa amarsi? Sarà quel che vuole il cielo.
Dalla culla si levarono dei versetti a interrompere la conversazione.
- Ehi, ciao Kat, ti sei svegliata piccolina? - Appoggiato alla sponda della culla Jake le accarezzava teneramente il pancino. Katherine sorrideva dimenando le manine.
- Il babbo ha paura. Dì al babbo che sei una bimbina normale normale - scherzò Eva.
La piccola parve farsi seria di botto e iniziò a guardare Jake tutta assorta. Il pirata si sentì invaso da un calore benefico che, divampato nel petto, saliva pian piano ad irrorargli la mente. Era come se una voce dentro di lui gli mormorasse:- Non preoccuparti, tranquillo, andrà tutto bene.
A un tratto sentì qualcosa che gli sfiorava la testa. Katherine sorrideva di nuovo e lo indicava. Lentamente la bandana che gli legava i lunghi capelli corvini si sfilò e fluttuò adagio fin dentro la culla. Katherine la strinse fra le manine cicciotte e lanciò un gridolino d'esultanza.
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mercoledì 15 ottobre 2014
La Caccia III: la figlia del pirata
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La Caccia III: la figlia del pirata
L'imperdibile capitolo finale della mia trilogia.
La Caccia III: la figlia del pirata
L'imperdibile capitolo finale della mia trilogia.
domenica 5 ottobre 2014
venerdì 3 ottobre 2014
Il diario (Text-trailer "17")
Dal diario di Jim:
16-12-2014
1984 sbucciato testa mensola 1985 caduto scale 1986 incidente in bici 1987 rotto piede
1996 investito da camion sulle strisce-braccio rotto emorragia interna-guarito in sette giorni- massimale panca 150 Kg.
Siete superstiziosi? A me ogni volta che sento parlare di gatti neri che attraversano la strada o di non passare sotto una scala mi viene da ridere.
Ciao a tutti. Mi chiamo Jim, sono un poliziotto. E la mia vita è tutto un 17.
Domani è il mio 34esimo compleanno e se sopravviverò forse riuscirò a battere la mia ragazza a braccio di ferro. Guen... se penso che potrei non rivederla più mi sale il panico, mi viene da vomitare. Come se già non fosse un problema stare con una di 17 anni. Vaglielo a spiegare alla gente che ha 17 anni da un bel pezzo...
Poi c’è Alex, il mio migliore amico. Non voglio morire, mi mancheranno le nostre sfide, la mia Viper contro la sua Ducati.
Non riesco a prendere sonno. Di male in peggio, domani avrò bisogno di essere al 100%. Incrociate le dita per me...!
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Gregor (Text-trailer "17")
Jim sentì il tonfo e si sporse di scatto oltre la fila di armadietti. La sorprese col pugno ancora serrato e gli occhi velati di lacrime; un accenno di canini le scendeva dal labbro.
- Che hai Guen, che succede? - disse lanciando un'occhiata al pezzo d'intonaco che si era staccato dalla parete.
Non si aspettava di trovarlo lì, credeva che i colleghi se ne fossero già andati tutti. Aveva riposto il distintivo e la camicetta dell'uniforme ed era rimasta in reggiseno.
Dopo qualche istante di esitazione decise che il suo ragazzo doveva sapere.
- Il cadavere scoperto oggi... - bisbigliò.
- Il vampiro. Sì, e allora?
- Aveva una «G» tatuata sul braccio...
- Non ci ho fatto caso, cosa significa?
- Sta per Gregor.
- Azzo! - sbraitò di colpo Jim. No, scusa piccola: ho dimenticato a casa la chiave dell'armadietto... un'altra volta... di 'sto passo mi fumerò uno stipendio in lucchetti...
Guen sorrise. Era di nuovo riuscito a sdrammatizzare e a tirarla un po' su, anche se in modo comico e del tutto involontario.
Jim si guardò un attimo intorno, poi al sicuro da sguardi indiscreti strappò il lucchetto con uno strattone.
- E chi è Gregor? - le chiese poi lanciando il blocchetto d'acciaio nel cestino, a mo' di tiro a canestro.
Guen tornò seria e un'ombra le passò sul viso. - Stavo con lui prima di mettermi con te. E' lui che mi ha trasformata. Credo mi stia cercando.
- Non gli permetterò di farti del male.
- Tu non lo conosci! - urlò lei. - E' troppo forte per noi due.
- E per noi tre invece? - esclamò Alex facendo capolino dagli armadietti.
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Toccata e fuga al "Coast to Coast" (Text-trailer "17")
Il commissario Naspetti bofonchiava chino sul verbale ripetendo l'ultima frase per convincersi che suonasse bene, oltre che riportare fedelmente le circostanze dell'arresto. Odiava perdere tempo con le scartoffie, specialmente quando si trattava di un pesce piccolo.
- Posso? - Guen si affacciò nella stanza bussando piano.
- Entra. - Naspetti le rivolse con noncuranza un gesto della mano, continuando a ragionare sul manoscritto (non era molto pratico di computer e per sicurezza faceva sempre una stesura su carta prima di digitalizzare il tutto).
- Uhm... dunque... l'agente Baldini ha sparato... no, ha esploso tre colpi in aria intimando di fermarsi... Ecco. Oh, scusa - disse poi alzando lo sguardo e appoggiando la biro sulla scrivania - dimmi.
- Volevo ricordarle che domani ho preso la giornata libera.
- Sì sì me lo ricordo. Ah! - la bloccò che si era già voltata e impugnava la maniglia.
- Sto scrivendo il verbale per quel tossico di Alessi che abbiamo arrestato stamattina. Ci ha detto dove trovare il complice.
- Terenzi? - fece Guen.
- Esatto. Fa il barista al Coast to Coast tutte le sere dalle sei.
- Ok, ci vado subito e lo porto qui.
- Intero mi raccomando...
- Sissignore! - e sorridendo scomparve.
Il capellone che la vide scendere dalla mastodontica Guzzi con la livrea bianca e blu la spogliava con gli occhi a ogni passo che faceva. Guen gli sorrise ed entrò nel bar dribblando due Harley parcheggiate malamente.
- Salve ragazzi. Polizia. Dov'è Luca Terenzi?
Nessuno rispose. Tutti la fissavano: chi divertito, chi eccitato e chi arrabbiato.
- Ehi bambolina non sei un po' troppo giovane per giocare ai poliziotti? - era il tipo seduto fuori che adesso le stava alle spalle.
Senza scomporsi Guen gli appiccicò sul naso il distintivo contraffatto.
- Forza, non ho tempo da perdere. Tra poco finisco il turno e gli straordinari non me li pagano quindi... dov'è?!
- Te lo dico se ti fai offrire da bere - un troglodita con una camicia senza maniche unta di grasso di motore si era staccato dal bancone con una Bud in mano e le si era avvicinato gonfiando il petto, esibendosi in una camminata da duro.
- Grazie ma non bevo in servizio - rispose Guen accentuando un sorriso ipocrita.
- Allora perché non mi offri tu qualcosa... - ghignò il tipo allungandole una mano verso i fianchi.
Guen scattò e gliela strinse in una morsa. - Giù le zampe! - ringhiò. Le iridi guizzarono di un lampo giallastro. Strinse finché il ceffo non iniziò a urlare, poi mollò la presa. L'energumeno barcollò indietro per qualche passo poi le ruppe in faccia la bottiglia di birra.
Guen incassò senza un gemito e tornò subito a fissarlo. I tagli rossi sul viso si chiusero in un istante e la pelle tornò di porcellana come se non fosse successo niente.
- Bene. Aggressione a Pubblico Ufficiale. Questo mi autorizza a reagire. - colpì il tizio col palmo della mano scaraventandolo contro le mensole dei liquori che rovinarono a terra in una pioggia di legno e vetro.
A un secondo ceffo bloccò la stecca da biliardo a mezz'aria, gliela ruppe in testa e con un calciò lo spedì attraverso la finestra a ruzzolare malconcio nel parcheggio polveroso.
- Che cazzo succede qui? - da una porticina nascosta dalla tappezzeria sbucò un ciccione pelato col pizzetto, gli occhiali scuri e una bagascia in topless alla cintura.
- Luca Terenzi, il tuo amico ha confessato. Sei in arresto per spaccio di cocaina. E a quanto pare... - aggiunse Guen squadrando la signorina - anche per favoreggiamento della prostituzione.
- Ma succhiami l'uccello! - berciò Terenzi facendo apparire dal cilindro un fucile a canne mozze e spintonando via la dolce metà.
Sparò e pompò fino a svuotare il caricatore. Centrata dai pallettoni, fu fatta letteralmente volare contro il muro; frantumò due quadri e scivolò sul pavimento lasciando una scia rossa sulla parete.
- Affanculo! - esclamò Terenzi soddisfatto. Stava per tornare alla saletta privata a riprendere il divertimento quando un rumore e un presentimento lo fecero esitare.
Si voltò e si ritrovò Guen a due centimetri dalla faccia. Troppo tardi per abbozzare una reazione: strabuzzò gli occhi e rantolando stramazzò a terra senza fiato, afflosciato da un montante fulmineo.
Guen lo prese per la cintura e si affrettò verso l'uscita. - Lo porto in centrale, è in arresto. Si fermò un attimo. - Il dipartimento le rimborserà i danni al locale. - disse al barista con voce piatta. Quello continuò a guardarla attonito.
- Cazzo, che stupida! - sibilò una volta uscita, guardando la Guzzi.
Per fortuna un pick-up fosforescente addobbato con sgargianti lingue di fuoco le inchiodò davanti in una nuvola di polvere.
Guen sorrise fra sé. - Requisisco il veicolo per un'azione di polizia - comunicò al conducente appena sceso. Vedendo l'uniforme costellata di fori grandi come palle da biliardo e Terenzi tenuto come una borsa della spesa, quello tremando le lanciò le chiavi del furgone.
- Tu prendi la mia moto e seguimi al commissariato!
Il tizio annuì come uno zombie, sotto lo sguardo dei pochi avventori rimasti che si erano accalcati all'ingresso.
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Un bel volo (Text-trailer "17")
- Sento i rami che frusciano. Toh! Uno scoiattolo!
Jim, alla guida, sorrideva. La Viper filava veloce sui tornanti. La sbirciava, felice e divertito.
- Che figata! Non mi ero mai accorta di come si acuissero gli altri sensi. Oh, arriviamo? Mi sembra una vita che siamo partiti...
- Quasi, manca poco. Ho voluto farti una sorpresa. Hai preso sempre un giorno di ferie a ogni mio compleanno, per starmi vicina e volevo ringraziarti.
- Non voglio ti succeda niente. E poi sono ancora più forte di te.
L'aria frizzante le portava aromi di prati fioriti ed erba appena tagliata.
- Eccoci. - esclamò Jim. Il muscoloso dieci cilindri si ammutolì, lasciando la scena al sibilo del vento tra le insenature e le chiome degli alberi.
Guen si tolse la benda e subito si illuminò in un sorriso.
Scese dall'auto e si sporse dallo strapiombo. Di sotto, a un centinaio di metri, un fiume formava una pozza che sussurrava di mille barbagli dorati. Tutto intorno si estendevano grandi blocchi di pietra levigati, una passerella naturale abbellita da sprazzi di verde.
- Sarà la nostra laguna privata, - disse Jim. - Ti piace?
- E' bellissima. - rispose Guen.
- Sono venuto qui altre volte, a fare dei sopralluoghi. Ci si arriva solo calandosi da un elicottero. Col paracadute non è il caso, il corridoio di roccia è molto stretto.
- L'acqua è abbastanza profonda?
- Sì. Ho guardato su internet e per sicurezza ho telefonato anche alla Forestale.
Senza aggiungere altro Jim tornò alla macchina e prese uno zaino dal bagagliaio.
- Che c'è dentro? - chiese Guen.
- Sorpresa. Allora, andiamo? - ammiccò Jim indicando il burrone con un cenno del capo.
- A quest'altezza sarà una bella botta. Sicuro di essere pronto?
- Vedremo. Al massimo stai pronta tu a mordermi, se vedi che i miei poteri non bastano...
Rimasero qualche istante in silenzio. Anche il vento si era fermato. Jim le prese la mano e piantò i suoi occhi azzurri in quella nocciola di lei.
Guen annuì, seria. Jim annuì, sorridendo.
Il volo sembrò infinito. La colonna di spruzzi esplose come un geyser, stormi di uccelli spiccarono il volo in un frenetico frullare d'ali.
Riemersero respirando affannosamente e boccheggiando rumorosamente, ammantati da un freddo sepolcrale.
***
Sempre per mano, ancora uno accanto all'altra, stavano supini su un masso piatto e liscio. Lui coi boxer e lei in mutandine e reggiseno, i vestiti appoggiati lì a fianco ad asciugarsi al sole.
- Non mi sono rotto nulla - esultò Jim. - Sai... - riprese poi in tono grave - a volte penso... che un giorno forse non la spunterò. Cioè, non è detto che sia scontato sopravvivere e aumentare i poteri...
Guen si mise su un fianco e gli scoccò un bacio morbido sulla guancia.
- Sono delle prove? E' un percorso già stabilito? E dove mi porterà? Oppure è una condanna e una di queste sciagure prima o poi mi ucciderà? - disse Jim.
- Finché ci sarò io non morirai, te lo garantisco. Al massimo ti faccio diventare un vampiro... - scherzò Guen.
- Com'è successo a Naspetti... - sussurrò Jim.
- Eggià. - bisbigliò lei sorridendo e continuando a guardarlo, girata sul fianco.
La biancheria bagnata le si appiccicava addosso, mezza trasparente.
Jim si guardò attorno: che qualcuno potesse vederli era fuori discussione, ma scacciò il pensiero. Scattò in piedi e prese lo zaino.
- Ah... Adesso vediamo cosa c'è lì dentro, - fece Guen.
Jim estrasse una bandierina e andò a incastrarla in un mucchio di pietre. «Reame di Jim e Guen» c'era scritto con un pennarello nero.
- Ecco. Come ti ho detto, d'ora in poi questo sarà il nostro regno.
Guen rise, mentre Jim continuava ad armeggiare nello zainetto. Tirò fuori una busta di plastica sigillata e cominciò a disporne il contenuto.
- Dai... dopo quel volo è ancora tutto sano... - esclamò Guen raggiante.
Come ultimo tocco sistemò il bouquet di margherite e violette tra i calici. E voilà, il pic-nic era servito: due tramezzini prosciutto e funghi, due con uova e maionese e una bottiglia di birra rossa artigianale.
- Brindo a un altro scampato compleanno, a questo posto meraviglioso e alla mia splendida fidanzata! - propose Jim.
- Cin cin! - esultò Guen. - Senti... - continuò - che dici se facciamo come Twilight(1) e corro su per il bosco portandoti in spalla?
Risero forte e vuotarono d'un fiato i bicchieri.
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(1) Twilight è un film del 2008 diretto da Catherine Hardwicke e sceneggiato da Melissa Rosenberg, adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 2005 di Stephenie Meyer.
Volando col vecchio John
Ronfava supino nella gondola, con la bottiglia di gin stretta in mano. Il cielo e il sole erano degni di una tela impressionista ma il vecchio John, inciuccato com'era, si perdeva beatamente lo spettacolo.
Come al solito toccava al fedele pappagallo Polly occuparsi del volo. John gli aveva insegnato a tirare la corda per sprigionare il fuoco e così, escursione dopo escursione, l'arguto pennuto era diventato un maestro nel gonfiare il pallone al momento giusto ed evitare che si schiantasse contro qualche montagna. Va detto, a onor del vero (di modo che Polly non si monti troppo la testa), che gli ordini da seguire non erano dei più complessi: l'affezionato padrone si raccomandava solo di mantenere integri il pallone variopintamente rattoppato e i suoi occupanti fino al risveglio del suddetto dalla quotidiana e inevitabile sbronza d'alta quota.
E come ogni giorno da mesi ormai, Polly stava facendo un lavoro egregio.
- Dobloni d'oro... corona incastonata di diamanti... - farfugliava John dimenandosi ogni tanto tra gli sbuffi e il russare; perché prima che l'ottuagenario John andasse in fissa con la mongolfiera, anche lui era stato un lupo di mare. Un pirata, per la precisione. Il classico filibustiere con tanto di tricorno, camicia sborsante, pantaloni a righe e scimitarra a penzoloni nella fusciacca; uno dei tanti che nel diciottesimo secolo aveva sperato e tentato di far fortuna cavalcando i flutti tra un arrembaggio e l'altro.
Il vecchio John stava appunto sognando un condensato dei suoi più ardenti desideri giovanili: un'ingiallita mappa del tesoro, un'isola sperduta e incantevole, un forziere sotterrato e una bella indigena in una capanna di palme.
Purtroppo la fortuna non aveva arriso al vecchio John e i suoi anni da pirata li aveva passati più che altro dietro le sbarre di qualche fatiscente prigione, in isole sì sperdute ma per nulla incantevoli.
Al povero John, miracolosamente giunto alla vecchiaia ma consumato da peripezie e vicissitudini prima e da frustrazioni, rimpianti e alcol poi, non restò che trovare un porto sicuro in una gioiosa infermità mentale a spasso tra le nuvole. Così radunò tutto quanto la sua carriera piratesca gli aveva fruttato e comprò una logora mongolfiera di seconda mano e un pappagallo parlante, lasciando da parte il necessario per rum, whisky e gin.
- Capitano capitano, guerra! - John si riscosse al gracchiare furibondo di Polly. Si rimise in piedi a fatica, rischiando più volte di volare di sotto.
Si stropicciò a lungo gli occhi finché non intravvide la grande testa di scimmia sul monte.
- Guerra guerra, Isola della Scimmia! - continuava a starnazzare Polly.
Incuriosito da uno strano bagliore accesosi tra la boscaglia, John allungò il cannocchiale e mise a fuoco, tenendosi precariamente in equilibrio.
- Per mille sargassi, Polly! - mormorò. - Che stregoneria è mai questa?!
Per un attimo pensò che fossero le allucinazioni di un ubriacone, così tolse l'occhio dalla lente, si risedette, fece due tre respiri profondi e rimase accucciato per qualche minuto.
Polly continuava a sirene spiegate, con gran spolvericcio di piume blu e rosse.
Si rialzò tenendosi questa volta saldamente al parapetto e inforcò di nuovo il cannocchiale.
Guardò e guardò ancora. Deglutì e continuò a guardare. Là sotto stava succedendo qualcosa di terribile. E là in mezzo, da qualche parte, doveva esserci anche il suo amico Jake.
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L'appuntamento (parte seconda)
- Ma che caz...! - l'agente di guardia scattò dalla sedia additando il monitor al collega.
Sullo schermo si vedeva un poliziotto, dei quattro in servizio giù nella hall, che si avvicinava all'entrata rivolgendosi a qualcuno. Solo che la telecamera non immortalava nessuno. Il poliziotto volò per terra scivolando fuori dall'inquadratura e il capannello di gente si accalcò alle pareti, facendo il vuoto lungo il corridoio centrale. I due agenti corsero fuori armi in pugno e si precipitarono giù per le scale trascinandosi dietro gli anni e i chili di troppo. D'un tratto si bloccarono ansimanti. Un pipistrello schizzò vicino alla tempia del primo che si abbassò bruscamente, gemendo per la fitta al collo che il movimento repentino gli aveva procurato. Il secondo poliziotto aveva puntato l'arma verso il roditore volante, salvo poi stupirsi di quanto fosse idiota pensare di far fuoco.
Il pipistrello accennò un ghigno sprezzante e continuò il suo volo diretto all'ultimo piano.
- Dieci minuti alla messa in onda! - gridò qualcuno a Kasumoto. Il vecchietto dal viso di cuoio stava dando gli ultimi colpi di pettine alla candida zazzera a spazzola, quando il trambusto lo fece voltare di scatto. Gli operatori alle postazioni saltarono sulle sedie, togliendosi le cuffie. I battenti dell'ingresso esplosero. Una figura vestita di pelle, dai lunghi capelli corvini fluttuò nella stanza e in un attimo serrò in una morsa il collo del presentatore. Poche isolate grida si levarono dalla moltitudine dei presenti, i più rimasero impietriti.
- Che fine ha fatto la mia ragazza? - tuonò il misterioso sconosciuto.
- Di chi parli? - rantolò Kasumoto.
- Midori Watanabe. Aveva appuntamento qui due giorni fa.
Tre colpi di revolver .38 rimbombarono nella sala e scavarono altrettanti fori nel giubbotto del ragazzo, che continuò l'interrogatorio come se niente fosse.
- Da due giorni ha il telefono spento. A casa non c'è. Che fine ha fatto? - gridò stringendogli ancora di più il collo e sollevandolo di un metro buono da terra.
Le due guardie intanto stavano correndo a pistole spianate verso l'aggressore.
- Non sparate idioti, rischiate di colpirmi! - riuscì a farfugliare Kasumoto sempre più sofferente.
Con la mano libera il ragazzo afferrò un tavolino e senza voltarsi lo scagliò contro gli agenti, abbattendoli come birilli.
Nella sala era calato un silenzio di tomba.
- Dunque, vediamo se ti torna la memoria o se finisci prima l'ossigeno... - disse il giovane in tono pacato. - Dimmi dov'è Midori.
Kasumoto sfiatò un sorriso stentato.
- Cos'hai da ridere vecchio?
- Vuoi Midori? E che problema c'è... Non c'è bisogno di scaldarsi tanto. Andiamo in onda a minuti. Ti ci mando subito, da Midori, se è quello che vuoi...
Spiazzato da quelle parole il ragazzo mollò la presa e Kasumoto ricadde a terra, tossendo e tastandosi il collo rugoso.
- Vuoi darti una ritoccatina al trucco, bel tenebroso, prima di raggiungere la tua amata sul set? - chiese beffardo il vecchio presentatore. Sarà un ottimo avversario per i Cacciatori, gli ascolti schizzeranno alle stelle, pensò poi compiaciuto.
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venerdì 19 settembre 2014
L'erede
Port Luis, Palazzo Reale - 2 giorno del mese di gagarin, 24 anni prima di Mitòsis
Nella
sala del trono fervevano i festeggiamenti e incombeva un'attesa carica
di aspettative. I nani giocolieri roteavano biglie colorate in bilico
sui monocicli, gli schiavi bianchi in abiti sfarzosi si trascinavano con
le catene ai piedi tra la selva degli invitati, tenendo sopra la testa
enormi vassoi d'argento ricolmi di ogni prelibatezza. Il chiacchiericcio
sfumava in una melodia lentissima e perciò del tutto inadeguata,
l'unica che potesse sgorgare dall'apparecchio col grande corno,
residuato degli Antichi e bottino dell'ultima incursione dell'Esercito
Reale ai danni dei Ribelli.
Re Joffer XII era stravaccato sull'imponente scranna con la guancia appoggiata al pugno, mentre il ritrattista lo raffigurava in sella a un pegaso corvino con la durlindana superbamente puntata verso Spegulo.
Un vagito dalla camera attigua pietrificò all'istante tutti quanti. Il ciambellano fermò la musica. I nani si sfilarono i monocicli da sotto il sedere abbandonando le variopinte sfere alla forza di gravità. Gli schiavi si immobilizzarono e si voltarono in direzione di quel pianto. Gli invitati smisero di masticare e imitarono gli schiavi. Il pittore di corte in preda a uno spasmo deturpò l'opera in corso con un lungo striscio nero.
Re Joffer schizzò dal seggio e irruppe come una folata di vento nella stanza.
- No no no Maestà - lo bloccò subito Axia, la levatrice. - Ci sono state complicazioni durante il parto, la regina è allo stremo ed ha assoluto bisogno di riposo - disse spingendolo fuori dalla camera e affrettandosi a mettere il chiavistello. - Dovete pazientare almeno 48 ore Sire, per il bene del bambino e di vostra moglie. - gli urlò da dietro la porta.
Re Joffer esitò un attimo, poi sbuffando tornò alla sala del trono.
- Chi vi ha detto di smettere? Avanti coi festeggiamenti, forza! - sbraitò.
La musica riattaccò, i giocolieri inforcarono di nuovo i monocicli, gli schiavi ripresero a vagare apaticamente e gli invitati finirono di masticare i bocconi in sospeso. Martin il pittore invece osservava sconsolato il suo quadro, spremendosi le meningi su come rimediare all'errore.
Per il momento il pericolo era scampato, ma dovevano pensare a un piano.
Due giorni dopo...
- È un maschio? - esclamò rivolto alla regina Aoleon che lo fissava col volto imperlato di sudore.
- Sì, Vostra Maestà - tentennò Axia tenendo il frugoletto al petto, ben avvolto nella coperta.
- Un erede! - esultò Re Joffer XII. - Fatemelo vedere! - disse poi avvicinandosi. Ma la levatrice si ritrasse spaventata. Re Joffer XII rimase interdetto e lanciò alla moglie un'occhiata interrogativa. Aoleon distolse lo sguardo imbarazzata. Joffer XII si avventò sul fagottino, Axia urlando fece un passo indietro e la coperta scivolò in terra.
La regina urlò e fece per alzarsi. Axia rimase immobile guardando timidamente i due schiavi nell'angolo, nell'assurda speranza che potessero fare qualcosa.
Il sovrano cacciò un grido piegandosi sulle ginocchia, come scosso da un conato, col viso paonazzo e tremulo. La saliva gli sprizzava fra i denti digrignati, mentre con gli occhi iniettati di sangue cercava su chi sfogare la propria ira, le nocche bianche strette sull'elsa della spada.
- No! Ti prego... - supplicò Aoleon ancora stesa sul letto.
Il re partì brandendo la lama contro la levatrice e il principe neonato.
Uno degli schiavi si staccò dalla parete e si lanciò contro Joffer, riuscendo a bloccargli la spada e a placcarlo a terra. Mentre combattevano il re riconobbe Zantior, lo stalliere, che fece un fischio prolungato. Nel vano della finestra apparve nitrendo un pegaso grigio.
- Fuggi da tuo padre, presto! - gridò Zantior alla regina continuando a tenere a terra il re.
L'altro schiavo aiutò Axia e Aoleon a salire in groppa; le due donne e il pupetto volarono via stagliandosi contro la sagoma porpora della luna, dirette a Flacq, dal Duca Leon.
Nella concitazione della lotta il sovrano riuscì a estrarre un pugnale dallo stivale e lo piantò nel collo di Zantior. Il sangue sprizzava copioso, lo stalliere sentiva le forze abbandonarlo molto in fretta. Joffer lo scalzò via con un colpo di reni.
- Schifoso bastardo, è figlio tuo allora? - berciò sputando addosso allo schiavo agonizzante.
Il rosso del sangue sulla pelle chiara gli fece balenare la fugace visione del bimbo, di quel visino candido. Le barriere cedettero e la follia esondò: Re Joffer XII fece a pezzi Zantior menando fendenti su fendenti, continuando anche quando il poveretto era ormai già morto. Infieriva sul cadavere ansimando e leccandosi il sangue che gli schizzava sul viso.
- Inseguiteli! Mandate i Notturni! (1) - ordinò poi al drappello di guardie accorse per il trambusto. Quindi fece un lungo respiro e, ripreso il controllo, si avviò all'uscita.
- Ah... - disse fra sé colto da un ripensamento. Rientrò e tagliò la gola all'altro schiavo rimasto in piedi vicino alla finestra.
Re Joffer XII era stravaccato sull'imponente scranna con la guancia appoggiata al pugno, mentre il ritrattista lo raffigurava in sella a un pegaso corvino con la durlindana superbamente puntata verso Spegulo.
Un vagito dalla camera attigua pietrificò all'istante tutti quanti. Il ciambellano fermò la musica. I nani si sfilarono i monocicli da sotto il sedere abbandonando le variopinte sfere alla forza di gravità. Gli schiavi si immobilizzarono e si voltarono in direzione di quel pianto. Gli invitati smisero di masticare e imitarono gli schiavi. Il pittore di corte in preda a uno spasmo deturpò l'opera in corso con un lungo striscio nero.
Re Joffer schizzò dal seggio e irruppe come una folata di vento nella stanza.
- No no no Maestà - lo bloccò subito Axia, la levatrice. - Ci sono state complicazioni durante il parto, la regina è allo stremo ed ha assoluto bisogno di riposo - disse spingendolo fuori dalla camera e affrettandosi a mettere il chiavistello. - Dovete pazientare almeno 48 ore Sire, per il bene del bambino e di vostra moglie. - gli urlò da dietro la porta.
Re Joffer esitò un attimo, poi sbuffando tornò alla sala del trono.
- Chi vi ha detto di smettere? Avanti coi festeggiamenti, forza! - sbraitò.
La musica riattaccò, i giocolieri inforcarono di nuovo i monocicli, gli schiavi ripresero a vagare apaticamente e gli invitati finirono di masticare i bocconi in sospeso. Martin il pittore invece osservava sconsolato il suo quadro, spremendosi le meningi su come rimediare all'errore.
Per il momento il pericolo era scampato, ma dovevano pensare a un piano.
Due giorni dopo...
- È un maschio? - esclamò rivolto alla regina Aoleon che lo fissava col volto imperlato di sudore.
- Sì, Vostra Maestà - tentennò Axia tenendo il frugoletto al petto, ben avvolto nella coperta.
- Un erede! - esultò Re Joffer XII. - Fatemelo vedere! - disse poi avvicinandosi. Ma la levatrice si ritrasse spaventata. Re Joffer XII rimase interdetto e lanciò alla moglie un'occhiata interrogativa. Aoleon distolse lo sguardo imbarazzata. Joffer XII si avventò sul fagottino, Axia urlando fece un passo indietro e la coperta scivolò in terra.
La regina urlò e fece per alzarsi. Axia rimase immobile guardando timidamente i due schiavi nell'angolo, nell'assurda speranza che potessero fare qualcosa.
Il sovrano cacciò un grido piegandosi sulle ginocchia, come scosso da un conato, col viso paonazzo e tremulo. La saliva gli sprizzava fra i denti digrignati, mentre con gli occhi iniettati di sangue cercava su chi sfogare la propria ira, le nocche bianche strette sull'elsa della spada.
- No! Ti prego... - supplicò Aoleon ancora stesa sul letto.
Il re partì brandendo la lama contro la levatrice e il principe neonato.
Uno degli schiavi si staccò dalla parete e si lanciò contro Joffer, riuscendo a bloccargli la spada e a placcarlo a terra. Mentre combattevano il re riconobbe Zantior, lo stalliere, che fece un fischio prolungato. Nel vano della finestra apparve nitrendo un pegaso grigio.
- Fuggi da tuo padre, presto! - gridò Zantior alla regina continuando a tenere a terra il re.
L'altro schiavo aiutò Axia e Aoleon a salire in groppa; le due donne e il pupetto volarono via stagliandosi contro la sagoma porpora della luna, dirette a Flacq, dal Duca Leon.
Nella concitazione della lotta il sovrano riuscì a estrarre un pugnale dallo stivale e lo piantò nel collo di Zantior. Il sangue sprizzava copioso, lo stalliere sentiva le forze abbandonarlo molto in fretta. Joffer lo scalzò via con un colpo di reni.
- Schifoso bastardo, è figlio tuo allora? - berciò sputando addosso allo schiavo agonizzante.
Il rosso del sangue sulla pelle chiara gli fece balenare la fugace visione del bimbo, di quel visino candido. Le barriere cedettero e la follia esondò: Re Joffer XII fece a pezzi Zantior menando fendenti su fendenti, continuando anche quando il poveretto era ormai già morto. Infieriva sul cadavere ansimando e leccandosi il sangue che gli schizzava sul viso.
- Inseguiteli! Mandate i Notturni! (1) - ordinò poi al drappello di guardie accorse per il trambusto. Quindi fece un lungo respiro e, ripreso il controllo, si avviò all'uscita.
- Ah... - disse fra sé colto da un ripensamento. Rientrò e tagliò la gola all'altro schiavo rimasto in piedi vicino alla finestra.
(1) I Notturni sono esseri umani a cui è stato impiantato il gene che conferisce alla civetta un'eccezionale visione notturna. Hanno occhi più grandi e con le iridi completamente bianche.
sabato 16 agosto 2014
Un vecchio cimelio
La lingua di fumo si alzava sottile e sinuosa dal comignolo al limitar del bosco, appena più chiara della notte senza luna.
- Vieni giù caro, la cena è pronta, - esclamò Sandra dando l'ultima mescolata allo stufato di montone. Dalla soffitta Hoguar non rispondeva.
La moglie sospirò. Ormai sapeva che quando il vecchio mago si metteva in testa una cosa, nemmeno l'incantesimo più potente riusciva a farlo desistere. Il pentolone ribolliva sopra la fiamma vivace e il profumo delle patate e dei peperoni si insinuava negli interstizi in pietra, accarezzando le venature dei mobili in castagno.
- Ma dove cavolo è?! Oh, sempre così. Ogni volta che cerchi qualcosa non si trova mai... - sbraitava Hoguar.
- Dai che si raffredda! - gridò Sandra.
Dalla soffitta i rumori di cianfrusaglie spostate continuavano, interrotti solo da cupi brontolii e sonore imprecazioni.
- Eh... - la moglie sbuffando sganciò la pentola e la appoggiò un po' a fatica sul tagliere a centrotavola. Dalla finestrella circolare si vedeva la neve posarsi come zucchero a velo.
La tavola imbandita aspettava solo lui: stufato fumante e crostata di more per dolce. Da bere birra scura e idromele. La cena ideale da gustarsi al calduccio di un camino, a lume di candela con la consorte, mentre fuori qualche lupo ululava al rigido inverno.
Ma quella sera Hoguar si era fissato che doveva ritrovare il suo bastone da rabdomante.
Chino sotto il tetto spiovente, con la barba grigia che spazzava le assi polverose, apriva scatoloni, esaminava pergamene e spostava alambicchi. Ogni tanto si imbatteva in qualche barattolo dall'etichetta misteriosa che non ricordava di aver preparato.
- Bile di lucertola... - bofonchiava - cura mal di stomaco, crampi e spossatezza. Cinque gocce la sera per tre giorni... bah... sarà scaduto. E se lo gettò alle spalle, senza romperlo per fortuna.
- Guarda che io comincio a mangiare... - l'avvertimento che gli giunse nitido lo fece arrabbiare ancora di più ma si sforzò di mantenere la calma.
- Domani voglio fare lezione di rabdomanzia. Hai visto il mio bastone?
- No. Lo sai che non metto mai mano alle tue cose, se no poi mi dai sempre la colpa quando non le trovi.
- Eggià. Chissà dove me l'avrà messo... - bisbigliò Hoguar. - Ahia! - girandosi urtò qualcosa col piede. Una sfera azzurra rotolò fuori da un drappo cencioso.
- E questo? - sussurrò il mago. Lo sollevò alla fioca luce della lanterna ed esaminandolo notò all'interno un minuscolo magma arancione pulsante.
- No... - esclamò stupito. Gli occhi si accesero dietro le spesse lenti e un sorriso si allargò lentamente. - Non ci credo... il mio primo Palantìr... (1)
- Sandra, guarda cosa ho trovato! - disse inforcando di corsa la scala a chiocciola.
La moglie si girò verso di lui finendo il boccone e gli lanciò un'occhiataccia.
- Ah... buon appetito cara. Guarda: il Palantìr che mi avevano regalato i miei per il diploma!Saranno passati... - e si mise assorto a contare sul soffitto, - be' adesso non ricordo, un sacco di anni comunque!
- Oh, davvero uno spettacolo. Spero per te che quel coso possa farti apparire una succulenta cenetta romantica, perché per stasera lo stufato te lo scordi! E io scema che perdo tempo a cucinare, farti le crostate, mettere le candele...
- Dai Sandra scusa... - tentò Hoguar. La moglie si girò e continuò a mangiare.
- Tadàn! - esultò lo stregone facendo apparire da dietro la schiena una rosa grande come un cocomero e con ogni petalo di un colore diverso.
Rimase inizialmente contrariata, ma poi finì come al solito per accettare il regalo e sorridergli bonaria. - Sposare un mago ha anche i suoi vantaggi. Vabbe' sei perdonato... puoi mangiare.
- Grazie mille cara, che farei senza di te! Fammi un attimo provare se funziona ancora...
- Ma allora ci fai. Non vuoi proprio cenare stasera eh...
- No, dai. Un secondo solo. Vediamo cosa mi riserva il futuro.
Iniziò a bisbigliare la formula muovendo adagio entrambe le mani intorno alla sfera.
All'improvviso sgranò gli occhi, fece un balzo indietro soffocando un grido e scivolò a terra dopo aver inciampato sulla sedia.
- Che succede, cosa hai visto?! - implorò Sandra.
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(1) I Palantíri (al singolare Palantír), chiamati anche Pietre Veggenti e Pietre Vedenti, sono manufatti di Arda, l'universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien.
mercoledì 6 agosto 2014
L'appuntamento
Sede della Future Fight S.R.L., Tokyo, Giappone, anno 2054
Un sorriso artificiale si fece largo come una nota stonata sul viso di cuoio di Yoshida Kasumoto, mentre le andava incontro a lunghe falcate e a braccia spalancate.
- Signorina Watanabe, che piacere! - L'esclamazione rimbombò nella maestosa hall pervasa dai giochi di luce delle vetrate e degli infissi metallici.
- Piacere mio! - rispose la giovane porgendogli la mano e cercando lo sguardo dietro le inseparabili lenti scure.
- Grazie per essere venuta di domenica, signorina Midori. Mi segua, l'accompagno allo studio.
Entrati in ascensore Kasumoto premette il pulsante dell'ultimo piano e, come sempre accade secondo una legge non scritta ma universalmente riconosciuta, salirono in silenzio malcelando un leggero imbarazzo.
Le porte si aprirono con un sibilo. Si trovarono davanti un lungo corridoio su cui si affacciavano tante porte tutte uguali, con la maniglia in ottone, una targa nera e una lampadina rossa in cima (essendo giorno festivo le lampadine erano tutte spente).
Il lusso che l'aveva accolta al pianterreno aveva lasciato il posto a un intonaco leggermente annerito. Midori avvertiva una strana inquietudine mentre avanzava sul tappeto logoro di moquette rossa. Non c'erano più quadri alle pareti. Kasumoto le camminava a fianco, lanciando occhiate furtive alla palpitante scollatura che premeva sulla camicetta.
- Eccoci. - annunciò il vecchio presentatore spalancando l'ultima porta in cui confluiva il corridoio.
Midori entrò pensando alla stratosferica cifra dell'ingaggio e forse per questo non diede peso alla fotografia sotto la targa.
All'interno un'unica scrivania a ferro di cavallo costeggiava un mega schermo.
- Questa, signorina Watanabe, è la sala da cui mandiamo in onda La Caccia.
Midori si guardò intorno ispezionando la stanza. - E vuole che io l'affianchi nella conduzione, esatto?
- Esatto. Lei è molto famosa e, se posso permettermi, anche molto bella - disse in tono mellifluo scivolando sulla scollatura. - Con lei attireremo una fascia considerevole di pubblico giovane e gli ascolti schizzeranno alle stelle, più di quanto facciano già!
- Non le nascondo che l'idea mi alletta, - si sbilanciò Midori fantasticando sulla cifra a sei zeri, - ma per telefono non mi ha detto nulla sui contenuti del programma, mi spieghi un attimo...
- Certo signorina Watanabe, con piacere, siamo qui per questo. - Raccolse un telecomando dalla scrivania e un bagliore azzurrognolo infuse vita al pannello LCD da cento pollici.
Le immagini scorrevano, le urla e i boati dirompevano in stereofonia.
PAUSE. Kasumoto ripose il telecomando. - Ecco, questo le può bastare, credo, per farsi un'idea.
Midori fece un respiro profondo e deglutì. Il cuore le martellava nel petto. - Cavolo! - esclamò poi riscuotendosi - roba forte.
- Oh sì... - rispose Kasumoto fissando compiaciuto le immagini cristallizzate.
La scena congelata rimandò la signorina Watanabe alla fotografia intravista entrando.
- Quindi è un film fantastico. Pensavo si trattasse di una trasmissione in diretta...
- E lo è, infatti. - Kasumoto rise, gustandosi la sua espressione sorpresa. - E' un reality show.
Midori proruppe in una sonora risata, cercando la complicità del vecchio. Kasumoto non rise. Allora anche il viso della ragazza iniziò a spegnersi, man mano che una consapevolezza si faceva strada.
In effetti le scene erano di un realismo incredibile. Sembrava proprio tutto vero.
- Allora, che fa, accetta? - chiese Kasumoto.
Midori continuò a fissarlo facendo un passo indietro. Le labbra le tremavano, le parole non le venivano. Mentre corse all'uscita desiderò con tutta se stessa qualcuno a cui chiedere aiuto, ma l'edificio era deserto. Era domenica. E la porta era inchiavata.
- Affare fatto signorina Watanabe? - la incalzò Kasumoto sfoggiando ancora quel sorriso innaturale.
- Mi faccia uscire. - Midori armeggiava invano con la maniglia.
- Mi dica prima se accetta la mia proposta. Vedrà, sarà un successo.
- Voi siete pazzi. Lei è pazzo!
- Può darsi. Ma sono un pazzo ricco e famoso. E lo sarò ancora di più. Grazie a lei, volente o nolente. Parteciperà comunque al programma, signorina Watanabe. Se non vuole farlo da co-conduttrice vuol dire che lo farà da concorrente. - Un ghigno sinistro gli si disegnò in volto. - Domani sarà teletrasportata sull'isola! - annunciò trionfante.
Disperata si avventò su di lui convinta di poterlo sopraffare, ma Kasumoto prontamente le scaricò una bomboletta spray sul viso, fermando l'assalto. Scivolò nell'oblio accompagnata dalla faccia raggrinzita e lampadata del presentatore.
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giovedì 31 luglio 2014
lunedì 28 luglio 2014
sabato 26 luglio 2014
Le nozze della Principessa dei Centauri
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Era un giorno di festa in tutto il Reame: al Bosco delle Unioni si stava celebrando il matrimonio del secolo.
Le ghirlande di fiori tese tra un albero e l'altro, le farfalle che danzavano nel cielo turchino, gli uccelli che cinguettavano. E tutti che aspettavano col fiato sospeso quel sussurro, il fatidico monosillabo.
Un mago aveva persino creato un arcobaleno che attraversava la cascata, a incorniciare i due giovani in piedi, o per meglio dire, sugli zoccoli di fronte all'altare.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Luma, la principessa Luma, a cui le ancelle avevano spazzolato coda e capelli e li avevano poi cosparsi con unguenti profumati.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Luma con il raffinato velo di pizzo che dalle spalle ricadeva sulla groppa premurosamente strigliata.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Luma che adesso si era voltata e lo guardava con aria interrogativa.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Gli ospiti che dallo stupore iniziavano a considerare l'imbarazzo... Centauri perlopiù, alcuni maghi, qualche nano e pochissimi umani.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Il re che batteva gli zoccoli nervosamente, stringendo i denti dietro le labbra serrate.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Lui, Parson, un popolano addirittura, per questo sempre osteggiato dal padre della sposa e invidiato da tutti gli altri... lui che dovrebbe ringraziare il destino...
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Lui, Parson, che quel giorno omise il monosillabo. Due lettere che l'avrebbero marchiato a fuoco e a vita, due lettere che avrebbero pesato come un macigno sul suo onore.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Evidentemente non voleva, Parson, se ora corre via. Galoppa senza voltarsi. Lontano dai pavesi variopinti che congiungevano larici e querce. Lontano dalle corone di tulipani e orchidee disseminate sul prato e tra le sedie degli invitati. Lontano da una folla incredula. Ma allora, gli spruzzi della cascata che irroravano l'arcobaleno, l'altare di quarzo rosa modellato dagli scultori più famosi del regno, a cosa erano serviti?
A lasciare una principessa affranta e un re adirato.
E uno sposo che galoppa, galoppa. Sa perfettamente verso dove. Non l'ha mai saputo più chiaramente. E forse allora i passeri e i verzellini hanno lo stesso cantato l'amore, le farfalle e le rondini non hanno danzato invano in un cielo così azzurro...
Parson corre dalla ragazza dai capelli di rame. La ragazza che tante volte ha portato in groppa, per gioco, e con cui ha condiviso tanti sorrisi.
Corre da lei Parson, è a Jocelyn che corre a dire il suo sì.http://wizardsandblackholes.it/?q=centauromachia
Era un giorno di festa in tutto il Reame: al Bosco delle Unioni si stava celebrando il matrimonio del secolo.
Le ghirlande di fiori tese tra un albero e l'altro, le farfalle che danzavano nel cielo turchino, gli uccelli che cinguettavano. E tutti che aspettavano col fiato sospeso quel sussurro, il fatidico monosillabo.
Un mago aveva persino creato un arcobaleno che attraversava la cascata, a incorniciare i due giovani in piedi, o per meglio dire, sugli zoccoli di fronte all'altare.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Luma, la principessa Luma, a cui le ancelle avevano spazzolato coda e capelli e li avevano poi cosparsi con unguenti profumati.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Luma con il raffinato velo di pizzo che dalle spalle ricadeva sulla groppa premurosamente strigliata.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Luma che adesso si era voltata e lo guardava con aria interrogativa.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Gli ospiti che dallo stupore iniziavano a considerare l'imbarazzo... Centauri perlopiù, alcuni maghi, qualche nano e pochissimi umani.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Il re che batteva gli zoccoli nervosamente, stringendo i denti dietro le labbra serrate.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Lui, Parson, un popolano addirittura, per questo sempre osteggiato dal padre della sposa e invidiato da tutti gli altri... lui che dovrebbe ringraziare il destino...
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Lui, Parson, che quel giorno omise il monosillabo. Due lettere che l'avrebbero marchiato a fuoco e a vita, due lettere che avrebbero pesato come un macigno sul suo onore.
- Vuoi tu Parson prendere Luma...
Evidentemente non voleva, Parson, se ora corre via. Galoppa senza voltarsi. Lontano dai pavesi variopinti che congiungevano larici e querce. Lontano dalle corone di tulipani e orchidee disseminate sul prato e tra le sedie degli invitati. Lontano da una folla incredula. Ma allora, gli spruzzi della cascata che irroravano l'arcobaleno, l'altare di quarzo rosa modellato dagli scultori più famosi del regno, a cosa erano serviti?
A lasciare una principessa affranta e un re adirato.
E uno sposo che galoppa, galoppa. Sa perfettamente verso dove. Non l'ha mai saputo più chiaramente. E forse allora i passeri e i verzellini hanno lo stesso cantato l'amore, le farfalle e le rondini non hanno danzato invano in un cielo così azzurro...
Parson corre dalla ragazza dai capelli di rame. La ragazza che tante volte ha portato in groppa, per gioco, e con cui ha condiviso tanti sorrisi.
Corre da lei Parson, è a Jocelyn che corre a dire il suo sì.http://wizardsandblackholes.it/?q=centauromachia
venerdì 25 luglio 2014
La Valle delle Storie: Racconti brevi
http://www.amazon.com/Valle-delle-Storie-Racconti-Italian/dp/1499110987/ref=sr_1_3?s=books&ie=UTF8&qid=1406207439&sr=1-3
C'è anche il mio racconto (finalista) :-)
C'è anche il mio racconto (finalista) :-)
domenica 20 luglio 2014
Estate a Geamar
L'estate era alle porte nel reame di Geamar e per gli studenti di Hoguar iniziavano le vacanze. Gli Pterfoi planavano sospinti da una brezza vivace (per la gioia di Jacob che perdeva pomeriggi a osservarli) e i ruscelli mormoravano dolcemente, screziati dal riverbero del sole. Thearyn intrecciava pensosa delle margheritine mentre sbirciava Leorlas che si allenava con l'arco.
Aveva superato a pieni voti l'esame di «Magia Bianca» e si apprestava a diventare una brillante strega nonché una bellissima donna.
Avrebbe dovuto baciarlo? Che ci voleva in fondo, chiudeva gli occhi e... ma lui non sembrava...
Leorlas era suo compagno di banco dall'inizio delle superiori. Carino come la maggior parte degli elfi: lineamenti aggraziati, fluenti capelli biondi e occhi sfuggenti di un verde acceso che quando ti fissavano sapevano incantarti. E se n'era accorta, Thearyn, la mattina che le aveva chiesto di uscire: una passeggiata in riva al fiume e merenda con sidro e torta di lamponi. Ed eccoli lì. In verità in quattro anni di scuola non è che avessero parlato tanto. Leorlas passava il tempo libero con gli amici discutendo di caccia e degli allenamenti in combattimento e Thearyn preferiva intrattenersi con le compagne a disquisire di vestiti e pozioni. Ma ultimamente si era accorta che lui la osservava più del solito, per poi distogliere subito lo sguardo se lei lo fissava. Le si era accesa la curiosità di conoscere meglio quel ragazzo taciturno che le sedeva accanto da sempre ma di cui sapeva poco o niente. Finché come un fulmine a ciel sereno era arrivata quella domanda. Lei che stendeva il bucato in giardino e lui che sorprendendola alle spalle:
- Ti va di uscire?
Stesa sul prato vagava per libere associazioni: amore, margherita m'ama non m'ama, farfalle, baciarsi... quando un pensiero la riportò alla realtà: un altro amore, di un mondo lontano, in un tempo parallelo. Tirò fuori dallo zaino il Palantìr (1) che portava sempre con sè e lo adagiò sull'erba. Fu tentata di chiamare Leorlas ma presa da uno strano imbarazzo ci ripensò e decise che quel momento sarebbe stato solo suo. Incrociò le gambe e chiuse gli occhi. Sussurrò la formula muovendo le mani intorno al globo perlaceo che iniziò a risplendere sempre più intensamente.
L'avevamo lasciato sull'isola della Scimmia con un biglietto in tasca. Sul biglietto un nome e un indirizzo: «Bardack Road, Londra.» Anche quel pirata aveva un amore da vivere.
- Montru al mi!(2) - esclamò aprendo gli occhi. All'interno della sfera vorticò un magma di nuvole da cui iniziarono a prender forma dei volti. Riconobbe Jake. Sorrideva a una donna. Bellissima, con spumeggianti ricci biondi e occhi smeraldo come quelli di Leorlas; anche lei gli sorrideva.
- Ti amo, Eva - un sussurro. Poi si amalgamarono in un lungo abbraccio e si baciarono, finché la visione non sfumò in un vortice di colori. All'improvviso, dopo un'esplosione di luce, il faccino di un neonato. Dormiva succhiandosi il pollice, sulla culla era appuntato un fiocco rosa. Poi ancora un flash e un viso a campeggiare sul Palantìr: una ragazzina. Gli occhi della madre e i capelli del padre.
- Chi è? - Leorlas la fece sobbalzare, come quella mattina con il bucato.
- La figlia del pirata. Una fanciulla con strabilianti poteri che vivrà un'avventura fantastica... e voi? Volete vedere? - continuò Thearyn agitando le mani intorno alla sfera magica.
- Montru al li nun!(3)
Continua a leggere qui: http://www.wizardsandblackholes.it/?q=lafigliadelpirata
1) I Palantíri (al singolare Palantír), chiamati anche Pietre Veggenti e Pietre Vedenti, sono manufatti di Arda, l'universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien.
2) Le formule magiche che Thearyn recita sono in Esperanto. Significa «Mostrami ora!»
3) Traduzione: «Mostra loro ora!»
Gli amici ritrovati
Tenuta di Greenwood, nei pressi di Londra, anno 1744
- Eccoli papà! - esultò Katherine osservandoli dalla trifora dell'alta torre.
Le sue grida giunsero fin giù nella sala da pranzo, dove i genitori stavano continuando i preparativi.
A quell'annuncio Eva (neanche lei li aveva mai conosciuti) si affacciò timidamente al balcone colonnato.
Due persone risalivano il sentiero di ghiaia che serpeggiava fino al cancello in ferro battuto con l'emblema di famiglia (uno scudo attraversato da due spade incrociate e sormontato da un'aquila che lo ghermisce con gli artigli).
Una era alta e grossa, con un saio marrone e un cappello appuntito a falde larghissime. Camminava appoggiandosi a un bastone ricurvo.
L'altra era decisamente più minuta e già a quella distanza si vedevano i capelli sparpagliati dal vento.
Tutta la famiglia Robinson accorse a dare il benvenuto agli ospiti.
- Entrate, amici miei, che bello avervi qui! - esultò Jake invitandoli nel meraviglioso giardino.
Abbracciò stretto Hoguar e si scambiarono pacche sulle spalle.
La giovane elfa era ormai una donna ma, come allora, il suo volto risplendeva di una bellezza esotica e sfuggente; la maturità l'aveva resa ancora più attraente.
- Ciao Thearyn! Cavolo, ti trovo benissimo! - Jake si slanciò ad abbracciare anche lei, poi ricordandosi della moglie si trattenne e le porse educatamente la mano.
- Mangiamo qui fuori in giardino, che dite? Si sta d'incanto. Noi andiamo a prendere la roba al castello, voi aspettate qui. - aggiunse Jake facendo cenno di seguirlo alla moglie e alla figlia.
- Come pattuito abbiamo portato i dolci. Una torta di mele e una crostata di lamponi - disse Hoguar.
- Le ho fatte io - aggiunse Thearyn.
La giornata era splendida e ventilata, la cornice ideale per tutte le cose che avevano da raccontarsi, dopo vent'anni. Fatte le dovute presentazioni chiacchierarono e risero tantissimo, si commossero, si confidarono. Dilagò un'affettuosa amicizia, come se si conoscessero tutti da tempo.
Dopo pranzo Thearyn, Eva e Katherine si sedettero all'ombra di una quercia, mentre Hoguar e Jake combattevano per scherzo poco distanti.
Il pirata si era trasformato e si preparava ad aggredire lo stregone.
- Pligrandigu! (1) - esclamò Hoguar; e cominciò a crescere fino a diventare il doppio del licantropo.
- Guardali... - disse Eva osservandoli che si azzuffavano e si ruzzolavano nel prato.
Superato quel pizzico di gelosia iniziale, Eva aveva subito capito che Thearyn era una bravissima ragazza e mai avrebbe potuto esserci qualcosa tra lei e il suo Jake.
- Fammi vedere come avete immobilizzato la guardia, quella volta... - disse Katherine.
- Ok. Immotus! (2) - esclamò Thearyn indicando una colomba che rimase cristallizzata in aria. - Vai! - disse poi sciogliendo l'incantesimo, e la colomba proseguì il suo volo.
- Forte! - gioì Katherine.
- Ho saputo che anche tu hai poteri formidabili - le disse Thearyn - mostrami qualcosa dai...
- Ok. Pensa un numero tra zero e un milione...
- Pensato.
- Trecentomiladuecentotrentaquattro.
Thearyn rimase basita. - Wow...
- Leggo nel pensiero... - si schermì la fanciulla - e non solo... guarda. - Indicò una sedia che si librò in aria e rimase sospesa tre metri sopra il tavolo. - Ehi, pa' - apostrofò poi Jake.
Il lupo smise per un attimo di combattere e si voltò verso la figlia.
Katherine frustò il braccio nella sua direzione e gli lanciò addosso la sedia come un proiettile.
Il licantropo la frantumò con una zampata e come se niente fosse riprese a giocare con lo stregone che nel frattempo si era trasformato in un mastodontico orso polare.
- Poteri mentali... telecinesi... una volta ho fatto credere a un tizio di essere una gallina...
- Io se volete mi trasformo in quel mostro là... - fece Eva indicando il marito e fingendo un'espressione delusa.
Si guardarono divertite e risero di nuovo in coro.
- Quindi ci avete trovati grazie ai poteri di Katherine... come funziona di preciso? - chiese Eva alla giovane elfa.
- La magia del teletrasporto guidata dai poteri di tua figlia ha aperto un varco dimensionale tra i nostri due mondi e allo stesso tempo ci ha indicato la strada giusta. Meglio non so spiegarlo, è stato Hoguar, il mio maestro, a fare l'incantesimo.
- Mi ha detto Jake che invece sei stata tu, per errore, a teletrasportarti quella volta sull'isola della Scimmia... - fece Eva sorridendo.
- Esatto. Era pressappoco lo stesso incantesimo, solo che ho sbagliato un ingrediente.
Tutte e tre risero.
- Be', per fortuna. E' stato grazie a voi se mio marito ne è uscito vivo! (http://www.wizardsandblackholes.it/?q=isignoridellacaccia)
- ... E se poi sono nata io - fece Katherine. (http://www.wizardsandblackholes.it/?q=lafigliadelpirata)
- Sai, - disse Thearyn dopo una pausa - avevo più o meno la stessa età che hai tu adesso quando ho incontrato tuo padre...
E l'una negli occhi dell'altra lessero la stessa anima.
1) Formula magica in Esperanto, «Ingrandisci!»
2) Formula magica immobilizzante in lingua latina; compare ne «La Caccia II.»
venerdì 18 luglio 2014
Storie di filibustieri
Era un tempo da lupi. Una notte di
quelle in cui i marinai a zonzo sulla banchina tirano su la blusa e
calzano per bene il berretto di lana, imprecando tra una boccata di pipa
e l'altra. I pochi fortunati che possono pagarsi un pasto caldo si
rintanano invece in qualche taverna, come «Il tritone ubriaco», per
esempio, qui sul molo, a raccontarsi storie di navi fantasma e mostri
marini alla luce tremula di una candela.
- Hai sentito cosa va dicendo quella vecchia spugna di John?
- Chi? Il pazzo che gira in mongolfiera?
- Sì lui. Era qui ieri. Mi ha detto che mentre sorvolava l'Isola della Scimmia ha visto col cannocchiale delle cose dell'altro mondo...
L'altro marinaio rise sguaiatamente tracannando rum.
- Cosa? Delle sirene volanti? - esclamò pulendosi la bocca con la manica della camicia.
- No, peggio. Molto peggio! Ascolta bene: enormi gorilla blu, lupi mannari, uomini d'argento... e combattevano, c'era chi fuggiva e lo inseguivano... si ammazzavano... - non riuscì a finire la frase dal ridere.
Di colpo qualcuno piantò un coltello sul tavolo. I due trasalirono, i bicchieri si rovesciarono e la bottiglia rotolò per terra.
- Ah non ci credete, eh?! - li apostrofò il pirata dai lunghi capelli corvini. - John è mio amico e non mente mai. Sono Jake Robinson e ci sono stato su quell'isola. Ed è tutto vero, ve lo posso garantire, l'ho provato sulla mia pelle!
Ai due sembrò di vedere gli occhi del pirata accendersi di una luce sinistra, il volto accennare a deformarsi, la barba farsi sempre più folta e coprente e i canini spuntare dalle labbra, insolitamente lunghi e affilati.
http://www.wizardsandblackholes.it/?q=la_caccia
- Hai sentito cosa va dicendo quella vecchia spugna di John?
- Chi? Il pazzo che gira in mongolfiera?
- Sì lui. Era qui ieri. Mi ha detto che mentre sorvolava l'Isola della Scimmia ha visto col cannocchiale delle cose dell'altro mondo...
L'altro marinaio rise sguaiatamente tracannando rum.
- Cosa? Delle sirene volanti? - esclamò pulendosi la bocca con la manica della camicia.
- No, peggio. Molto peggio! Ascolta bene: enormi gorilla blu, lupi mannari, uomini d'argento... e combattevano, c'era chi fuggiva e lo inseguivano... si ammazzavano... - non riuscì a finire la frase dal ridere.
Di colpo qualcuno piantò un coltello sul tavolo. I due trasalirono, i bicchieri si rovesciarono e la bottiglia rotolò per terra.
- Ah non ci credete, eh?! - li apostrofò il pirata dai lunghi capelli corvini. - John è mio amico e non mente mai. Sono Jake Robinson e ci sono stato su quell'isola. Ed è tutto vero, ve lo posso garantire, l'ho provato sulla mia pelle!
Ai due sembrò di vedere gli occhi del pirata accendersi di una luce sinistra, il volto accennare a deformarsi, la barba farsi sempre più folta e coprente e i canini spuntare dalle labbra, insolitamente lunghi e affilati.
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domenica 13 luglio 2014
A volte (raramente) ritornano
Ore 19:00
Entrando l'infermiera attenuò l'impeto della camminata.
- Signora, mi spiace, l'orario delle visite è terminato - annunciò a bassa voce.
Laura si voltò appena. - Ancora cinque minuti, per favore...
L'infermiera chinò mestamente il capo in segno d'assenso e richiuse adagio la porta.
In quel cubicolo bianco e asettico, avvolto com'era da garze e gessi, il marito era un bozzolo d'insetto da cui si dipanava una ragnatela di tubicini collegati a macchinari ronzanti.
Ore 16:00
Sentì un tonfo sordo provenire dalla cucina e vi si precipitò ancora in accappatoio.
Il marito era riverso in una pozzanghera di fanghiglia.
-Paolo! - gridò precipitandosi su di lui e girandolo supino. I vestiti strappati scoprivano lembi di pelle con profondi tagli ed escoriazioni, viso e capelli erano imbrattati di sangue.
Ore 13:00
Aveva dato un paio di morsi al panino col prosciutto improvvisato alla bell'e meglio, poi lo stomaco le si era chiuso. Pensava, senza sapere cosa pensare. Suo marito Paolo era scomparso il giorno prima, proprio lì, in cucina. Così, nel nulla, di fronte a lei. Parlavano di cambiare la TV e di punto in bianco lui si era dissolto, come inghiottito dalla frase che stava pronunciando. Senza un rumore, nemmeno una corrente d'aria. La polizia non si sarebbe attivata prima di 48 ore: tante ce ne volevano perché una persona venisse dichiarata scomparsa. Ovviamente aveva mentito, aveva raccontato che non era rientrato dal lavoro.
Ore 20:00
Non era riuscito a dirle nulla, quando l'aveva trovato in cucina era già privo di sensi. Ma ora, rincasando dall'ospedale, Laura notò l'iPhone finito sotto il tavolo. Era sporco di sabbia, col display incrinato. Le balenò un'idea: forse avrebbe trovato qualche risposta. Provò ad accenderlo ma non dava segni di vita. Non era ancora detta l'ultima parola, poteva avere la batteria scarica. Corse in camera a rovistare nel cassetto della scrivania. Eccolo: il cavetto USB per collegarlo al PC!
L'ultima foto era quella di loro due sulle sdraio, nella vacanza al mare. Niente di nuovo. Aprì la cartella Video. Bingo!
Ma cos'era? Il mare... un galeone sullo sfondo... e quello? Un pirata sbucato dritto dritto da un romanzo di Stevenson correva verso l'obiettivo gridando:- Via via!!!
Fissava attonita il monitor del computer. Una figura sfocata, grigiastra e luccicante avanzava sulla spiaggia, in lontananza. Giravano un film?
Le sfuggì un grido: una massa nera, informe, scattò verso lo schermo e per un attimo le sembrò di vedere il muso di un lupo... o forse un volto umano mostruosamente deformato.
Nell'angolo a destra, in piccolo, avrebbe giurato di aver intravisto un gigante blu con quattro braccia. Ma che diavolo era successo?!
Ore 22:00
I macchinari iniziarono a emettere bip sempre più forti mentre sui monitor lampeggiavano cifre impazzite. Due infermiere accorsero trafelate.
- La Caccia! - urlò Paolo scattando a sedere con gli occhi spalancati, strappandosi via qualche tubicino sgocciolante.
http://wizardsandblackholes.it/?q=la_caccia
Entrando l'infermiera attenuò l'impeto della camminata.
- Signora, mi spiace, l'orario delle visite è terminato - annunciò a bassa voce.
Laura si voltò appena. - Ancora cinque minuti, per favore...
L'infermiera chinò mestamente il capo in segno d'assenso e richiuse adagio la porta.
In quel cubicolo bianco e asettico, avvolto com'era da garze e gessi, il marito era un bozzolo d'insetto da cui si dipanava una ragnatela di tubicini collegati a macchinari ronzanti.
Ore 16:00
Sentì un tonfo sordo provenire dalla cucina e vi si precipitò ancora in accappatoio.
Il marito era riverso in una pozzanghera di fanghiglia.
-Paolo! - gridò precipitandosi su di lui e girandolo supino. I vestiti strappati scoprivano lembi di pelle con profondi tagli ed escoriazioni, viso e capelli erano imbrattati di sangue.
Ore 13:00
Aveva dato un paio di morsi al panino col prosciutto improvvisato alla bell'e meglio, poi lo stomaco le si era chiuso. Pensava, senza sapere cosa pensare. Suo marito Paolo era scomparso il giorno prima, proprio lì, in cucina. Così, nel nulla, di fronte a lei. Parlavano di cambiare la TV e di punto in bianco lui si era dissolto, come inghiottito dalla frase che stava pronunciando. Senza un rumore, nemmeno una corrente d'aria. La polizia non si sarebbe attivata prima di 48 ore: tante ce ne volevano perché una persona venisse dichiarata scomparsa. Ovviamente aveva mentito, aveva raccontato che non era rientrato dal lavoro.
Ore 20:00
Non era riuscito a dirle nulla, quando l'aveva trovato in cucina era già privo di sensi. Ma ora, rincasando dall'ospedale, Laura notò l'iPhone finito sotto il tavolo. Era sporco di sabbia, col display incrinato. Le balenò un'idea: forse avrebbe trovato qualche risposta. Provò ad accenderlo ma non dava segni di vita. Non era ancora detta l'ultima parola, poteva avere la batteria scarica. Corse in camera a rovistare nel cassetto della scrivania. Eccolo: il cavetto USB per collegarlo al PC!
L'ultima foto era quella di loro due sulle sdraio, nella vacanza al mare. Niente di nuovo. Aprì la cartella Video. Bingo!
Ma cos'era? Il mare... un galeone sullo sfondo... e quello? Un pirata sbucato dritto dritto da un romanzo di Stevenson correva verso l'obiettivo gridando:- Via via!!!
Fissava attonita il monitor del computer. Una figura sfocata, grigiastra e luccicante avanzava sulla spiaggia, in lontananza. Giravano un film?
Le sfuggì un grido: una massa nera, informe, scattò verso lo schermo e per un attimo le sembrò di vedere il muso di un lupo... o forse un volto umano mostruosamente deformato.
Nell'angolo a destra, in piccolo, avrebbe giurato di aver intravisto un gigante blu con quattro braccia. Ma che diavolo era successo?!
Ore 22:00
I macchinari iniziarono a emettere bip sempre più forti mentre sui monitor lampeggiavano cifre impazzite. Due infermiere accorsero trafelate.
- La Caccia! - urlò Paolo scattando a sedere con gli occhi spalancati, strappandosi via qualche tubicino sgocciolante.
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Un'ordinaria notte di lavoro
Un'ordinaria notte di lavoro
(Text-trailer di Salvatore Di Sante e Luca Pappalardo)
Città di Qadath, Prima Capitale del Regno, Terzo Anello
- Ehi
tu, sveglia! - Gordat assestò un calcio a un mendicante accovacciato nel
vicolo maleodorante. - C'è il coprifuoco, non puoi stare qui! - berciò
il mercenario.
Il vecchio piagnucolò tirandosi sulla testa il saio lacero e coprendosi il volto con le braccia ossute. Gordat imprecò e lo spinse a terra con lo stivale. Torylo gli sputò addosso e si ficcò in tasca i pochi oboli dell'elemosina.
- No, quelli no, vi prego - il vecchio sollevò il busto e protese le braccia verso il soldato che l'aveva derubato. I due ridendo ripresero la ronda come se niente fosse. Balthasar aveva osservato la scena un po' in disparte. Era in momenti come quelli che si ricordava perché far parte della Guardia Cittadina non fosse proprio un punto di forza del suo curriculum vitae. Un manipolo di canaglie che sotto l'egida dei Triumviri sfogavano la propria ferocia sui più deboli. Ma d'altronde era un lavoro pagato, e solo il Dio sapeva quanto le tasche di Balthasar fossero costantemente bucate.
Di certo però non così che se l'era immaginata, quando si era arruolato. Al tempo in cui Qadath era all'apice del suo fulgore e il futuro non faceva paura, sembrava un lavoro tanto onesto quanto ben pagato. Quanto in fretta cambiano le cose.
- Guarda un po' chi abbiamo qui... - sentì dire a Torylo. Balthasar si accodò ai compagni e notò una figura esile che si tagliava sempre più nitidamente tra la polvere e i vapori che si alzavano dal selciato.
- Ciao bocconcino - berciò Gordat - che ci fai in giro a quest'ora tutta sola soletta?
Le fiamme delle torce appese lungo le abitazioni illuminarono un volto elfico di rara bellezza.
- Vengo dal Secondo Anello e devo portare una pozione medicamentosa a mio fratello che abita poco distante. - Parlava con voce sommessa, facendo saettare solo di tanto in tanto i penetranti occhi verdi sui volti dei tre soldati. Quando incrociò quello sguardo, Balthasar sentì muoverglisi qualcosa dentro. E per una volta, non solo dentro i pantaloni.
- Eh ma non si può. Durante il coprifuoco, dal tramonto all'alba, a nessuno è consentito gironzolare per il Terzo Anello. Mi spiace dolcezza, legge del Triumvirato. - sorrise beffardo Torylo spogliandola con lo sguardo.
- Devi pagare pegno, zuccherino - sibilò Gordat avvicinandosi e cercando di sfiorarle i capelli. La fanciulla si ritrasse con un balzo ma andò a sbattere sul corpaccione di Torylo che nel frattempo le si era portato alle spalle.
- Dai ragazzi, direi che per stasera ci siamo divertiti abbastanza... - si lasciò sfuggire Balthasar, ma senza troppa convinzione.
Torylo l'aveva immobilizzata cingendole il collo con un braccio e con l'altro le palpava brutalmente il seno. La giovane gridava e si dimenava e nella concitazione gli svolazzi della tunica rendevano il gioco ancora più eccitante.
- Tienila! - esclamò Gordat calandosi i pantaloni e afferrandola per i fianchi.
Balthasar osservò la propria mano muoversi verso la spada, ma un bagliore improvviso lo fermò.
Gordat gridava contorcendosi per terra con le mani sull'inguine; la ragazza con un balzo felino si era liberata dalla presa di Torylo che nel frattempo aveva sguainato la spada.
- E va bene. L'avete voluto voi. Volete scaldarvi un po'? - intimò la fanciulla plasmando un altro globo incandescente con rapidi e sapienti movimenti delle mani.
- Arti Arcane. Hai capito l'innocente fanciulla. - pensò Balthasar, che già simpatizzava con la fuorilegge.
L'Elfa scagliò la palla di fuoco contro Torylo, ma quello si abbassò prontamente, rimediando solo una leggera bruciatura all'orecchio.
- Adesso la paghi! - Nel frattempo l'altro si era rialzato e brandiva la sua mazza ferrata. La giovane tirò fuori dalla tasca un barattolino con una mosca.
- Sanĝoj formon batalanto (1) - recitò. In un cozzare di placche metalliche l'insetto si tramutò in una possente armatura dal cui pentolare fiammeggiavano due iridi rossastre. Il mostro ingaggiò battaglia con Gordat vibrando fendenti sovrumani, ma era molto lento e la sua scimitarra andava sempre a vuoto. Stanco di schivare Gordat cercò di parare il colpo ma non fu un'idea brillante: lo scudo andò in frantumi in una miriade di schegge e la forza d'urto lo scaraventò a terra, facendogli perdere conoscenza.
Balthasar seguiva la scena senza intervenire, incerto su come sentirsi. Nel frattempo Torylo era scampato a un altro attacco di fuoco; sacrificando il suo scudo si era gettato sulla fanciulla ed era riuscito a prenderla per il collo. Il soldato stringeva, l'Elfa si piegò sulle ginocchia gemendo. Nello stesso istante anche il cavaliere-mosca barcollò e cadde a terra. L'incantesimo perdeva efficacia.
- Puttana! - sibilò Torylo - Adesso muori!
Fu l'ultima cosa che disse, dato che un attimo dopo qualcosa lo colpì alla nuca con violenza inaudita, facendolo crollare a terra come un sacco di patate.
La donna, liberata dalla stretta dell'uomo, si ritrovò a fissare con occhi stupiti il suo inatteso salvatore. Fermo di fronte a lei, con la spada ancora levata in alto, Balthasar sospirò, per poi farle l'occhiolino.
- Dovrò inventarmi qualcosa di davvero originale, questa volta. -
L'elfa, alzatasi in piedi, gli sorrise.
- Non sei esattamente un soldato modello, vero? - mormorò.
- E tu non sei esattamente una giovane indifesa. Facciamo una bella coppia io e te, no?
L'espressione di lei tornò ad un certo sospetto, e già alzava una mano in aria, ma Balthasar si affrettò ad indietreggiare.
- Ehi, rilassati, scherzavo. Per stanotte avrò abbastanza problemi. Su, vola via prima che questi due si riprendano. - Lei restò ferma per un po', incerta. Poi si voltò.
- Grazie, soldato – disse semplicemente, sparendo di nuovo nel buio da dove era venuta.
- Nemmeno un bacio. Ecco che ci guadagno a fare l'eroe – si disse Balthasar con amarezza, scuotendo la testa. Quindi si stese a terra e chiuse gli occhi, iniziando a ragionare su quale favola avrebbe raccontato ai suoi compagni una volta rinvenuti. Non gli sarebbe certo venuto difficile. Sbadigliando, pensò che in fondo quella notte gli era andata bene: con la scusa di fingersi svenuto, si era guadagnato qualche minuto di sonno meritato.
La vita della Guardia Cittadina, imprevisti a parte, non era poi così male.
Il vecchio piagnucolò tirandosi sulla testa il saio lacero e coprendosi il volto con le braccia ossute. Gordat imprecò e lo spinse a terra con lo stivale. Torylo gli sputò addosso e si ficcò in tasca i pochi oboli dell'elemosina.
- No, quelli no, vi prego - il vecchio sollevò il busto e protese le braccia verso il soldato che l'aveva derubato. I due ridendo ripresero la ronda come se niente fosse. Balthasar aveva osservato la scena un po' in disparte. Era in momenti come quelli che si ricordava perché far parte della Guardia Cittadina non fosse proprio un punto di forza del suo curriculum vitae. Un manipolo di canaglie che sotto l'egida dei Triumviri sfogavano la propria ferocia sui più deboli. Ma d'altronde era un lavoro pagato, e solo il Dio sapeva quanto le tasche di Balthasar fossero costantemente bucate.
Di certo però non così che se l'era immaginata, quando si era arruolato. Al tempo in cui Qadath era all'apice del suo fulgore e il futuro non faceva paura, sembrava un lavoro tanto onesto quanto ben pagato. Quanto in fretta cambiano le cose.
- Guarda un po' chi abbiamo qui... - sentì dire a Torylo. Balthasar si accodò ai compagni e notò una figura esile che si tagliava sempre più nitidamente tra la polvere e i vapori che si alzavano dal selciato.
- Ciao bocconcino - berciò Gordat - che ci fai in giro a quest'ora tutta sola soletta?
Le fiamme delle torce appese lungo le abitazioni illuminarono un volto elfico di rara bellezza.
- Vengo dal Secondo Anello e devo portare una pozione medicamentosa a mio fratello che abita poco distante. - Parlava con voce sommessa, facendo saettare solo di tanto in tanto i penetranti occhi verdi sui volti dei tre soldati. Quando incrociò quello sguardo, Balthasar sentì muoverglisi qualcosa dentro. E per una volta, non solo dentro i pantaloni.
- Eh ma non si può. Durante il coprifuoco, dal tramonto all'alba, a nessuno è consentito gironzolare per il Terzo Anello. Mi spiace dolcezza, legge del Triumvirato. - sorrise beffardo Torylo spogliandola con lo sguardo.
- Devi pagare pegno, zuccherino - sibilò Gordat avvicinandosi e cercando di sfiorarle i capelli. La fanciulla si ritrasse con un balzo ma andò a sbattere sul corpaccione di Torylo che nel frattempo le si era portato alle spalle.
- Dai ragazzi, direi che per stasera ci siamo divertiti abbastanza... - si lasciò sfuggire Balthasar, ma senza troppa convinzione.
Torylo l'aveva immobilizzata cingendole il collo con un braccio e con l'altro le palpava brutalmente il seno. La giovane gridava e si dimenava e nella concitazione gli svolazzi della tunica rendevano il gioco ancora più eccitante.
- Tienila! - esclamò Gordat calandosi i pantaloni e afferrandola per i fianchi.
Balthasar osservò la propria mano muoversi verso la spada, ma un bagliore improvviso lo fermò.
Gordat gridava contorcendosi per terra con le mani sull'inguine; la ragazza con un balzo felino si era liberata dalla presa di Torylo che nel frattempo aveva sguainato la spada.
- E va bene. L'avete voluto voi. Volete scaldarvi un po'? - intimò la fanciulla plasmando un altro globo incandescente con rapidi e sapienti movimenti delle mani.
- Arti Arcane. Hai capito l'innocente fanciulla. - pensò Balthasar, che già simpatizzava con la fuorilegge.
L'Elfa scagliò la palla di fuoco contro Torylo, ma quello si abbassò prontamente, rimediando solo una leggera bruciatura all'orecchio.
- Adesso la paghi! - Nel frattempo l'altro si era rialzato e brandiva la sua mazza ferrata. La giovane tirò fuori dalla tasca un barattolino con una mosca.
- Sanĝoj formon batalanto (1) - recitò. In un cozzare di placche metalliche l'insetto si tramutò in una possente armatura dal cui pentolare fiammeggiavano due iridi rossastre. Il mostro ingaggiò battaglia con Gordat vibrando fendenti sovrumani, ma era molto lento e la sua scimitarra andava sempre a vuoto. Stanco di schivare Gordat cercò di parare il colpo ma non fu un'idea brillante: lo scudo andò in frantumi in una miriade di schegge e la forza d'urto lo scaraventò a terra, facendogli perdere conoscenza.
Balthasar seguiva la scena senza intervenire, incerto su come sentirsi. Nel frattempo Torylo era scampato a un altro attacco di fuoco; sacrificando il suo scudo si era gettato sulla fanciulla ed era riuscito a prenderla per il collo. Il soldato stringeva, l'Elfa si piegò sulle ginocchia gemendo. Nello stesso istante anche il cavaliere-mosca barcollò e cadde a terra. L'incantesimo perdeva efficacia.
- Puttana! - sibilò Torylo - Adesso muori!
Fu l'ultima cosa che disse, dato che un attimo dopo qualcosa lo colpì alla nuca con violenza inaudita, facendolo crollare a terra come un sacco di patate.
La donna, liberata dalla stretta dell'uomo, si ritrovò a fissare con occhi stupiti il suo inatteso salvatore. Fermo di fronte a lei, con la spada ancora levata in alto, Balthasar sospirò, per poi farle l'occhiolino.
- Dovrò inventarmi qualcosa di davvero originale, questa volta. -
L'elfa, alzatasi in piedi, gli sorrise.
- Non sei esattamente un soldato modello, vero? - mormorò.
- E tu non sei esattamente una giovane indifesa. Facciamo una bella coppia io e te, no?
L'espressione di lei tornò ad un certo sospetto, e già alzava una mano in aria, ma Balthasar si affrettò ad indietreggiare.
- Ehi, rilassati, scherzavo. Per stanotte avrò abbastanza problemi. Su, vola via prima che questi due si riprendano. - Lei restò ferma per un po', incerta. Poi si voltò.
- Grazie, soldato – disse semplicemente, sparendo di nuovo nel buio da dove era venuta.
- Nemmeno un bacio. Ecco che ci guadagno a fare l'eroe – si disse Balthasar con amarezza, scuotendo la testa. Quindi si stese a terra e chiuse gli occhi, iniziando a ragionare su quale favola avrebbe raccontato ai suoi compagni una volta rinvenuti. Non gli sarebbe certo venuto difficile. Sbadigliando, pensò che in fondo quella notte gli era andata bene: con la scusa di fingersi svenuto, si era guadagnato qualche minuto di sonno meritato.
La vita della Guardia Cittadina, imprevisti a parte, non era poi così male.
Le avventure di Balthasar continuano su: http://wizardsandblackholes.it/?q=storiadiunoscorpione
(1) Formula magica in Esperanto. Significa: «Cambia forma in guerriero.»
sabato 12 luglio 2014
Un bizzarro caso clinico
Un bizzarro caso clinico (Text-trailer di Salvatore di Sante)
La storia di Matt su Never let me go
Il
dottor Spynes meditava sulle annotazioni in attesa del paziente. La pipa
e le sopracciglia aggrottate erano il suo marchio di fabbrica per i
casi più insoliti.
Matt Spencer, 15 anni, Southampton. Allucinazioni visive (sottolineato tre volte), deliri e costrutti paranoici.
Tirò una lunga boccata e soffiò un tremulo anello di fumo.
Che
fosse schizofrenico? Pareva proprio un adolescente come tanti. Poca
voglia di studiare, qualche birra e qualche spinello d'accordo, ma
niente di che... A parlarci sembrava lucido: i pazzi hanno uno sguardo
diverso, e lui ne aveva visti, in trent'anni di professione.
Genitori morti in un incidente aereo tre mesi prima. Una sorella di due anni più grande. E poi quel Michael...
Genitori morti in un incidente aereo tre mesi prima. Una sorella di due anni più grande. E poi quel Michael...
Appoggiò delicatamente gli occhiali sulla scrivania e sospirando si massaggiò le tempie.
Michael
(sottolineato e con un punto interrogativo a fianco), il tutore, un
tipo strano, poco più grande della sorella... forse un po' troppo
giovane per fare il tutore. Che le fantasie del paziente fossero dovute
al trauma della perdita dei genitori? Possibile. Anche se i rapporti coi
compagni di classe e con Hope, la sorella, andavano bene. E poi quel
sogno.
Matt
aveva riferito di aver sognato la morte dei genitori, il disastro aereo.
Un sogno premonitore, insomma. Ansie e paure rimestate dall'inconscio
che poi le vomita nei sogni e che qualche volta, per pura coincidenza,
sfociano nel reale. Ma tutti quei particolari: le scritte sulla
carlinga, la descrizione dei passeggeri e dei loro dialoghi. Tutto
combaciava con le registrazioni della scatola nera e con le fotografie
associate all'elenco passeggeri.
- Dottore, Matt Spencer è arrivato - gracchiò l'interfono.
Spynes diede una rapida occhiata all'orologio.
- Può farlo entrare, Martha, grazie. - Ripose la pipa nel cassetto e raccolse ordinatamente i fogli degli appunti, battendoli sulla scrivania nell'istante preciso in cui il ragazzo faceva capolino sulla porta.
- Ciao Matt, in perfetto orario. Accomodati pure sul lettino che iniziamo subito.
- Buongiorno - bofonchiò stancamente il giovane avviandosi verso il consueto giaciglio terapeutico.
- Dottore, Matt Spencer è arrivato - gracchiò l'interfono.
Spynes diede una rapida occhiata all'orologio.
- Può farlo entrare, Martha, grazie. - Ripose la pipa nel cassetto e raccolse ordinatamente i fogli degli appunti, battendoli sulla scrivania nell'istante preciso in cui il ragazzo faceva capolino sulla porta.
- Ciao Matt, in perfetto orario. Accomodati pure sul lettino che iniziamo subito.
- Buongiorno - bofonchiò stancamente il giovane avviandosi verso il consueto giaciglio terapeutico.
- Allora: come stai oggi, che mi racconti?
Matt provava varie pose, intrecciando mani e piedi.
- Dunque... - fece per continuare ma le parole gli morirono in gola.
D'accordo, pensò. Basta, ci vado giù duro.
- Mio padre è uno stregone e suo fratello Lucas, un mutaforma, ce l'ha con lui perché vuole la Chiave del Sacro Cancello per il mondo della Magia. Ecco, l'ho detto. - sciorinò tutto d'un fiato. - Tanto lo so che non mi crede.
Nello studio calò il silenzio. Il dottor Spynes fece un colpo di tosse poi attaccò:- Cosa intendi per mutaforma?
Matt provava varie pose, intrecciando mani e piedi.
- Dunque... - fece per continuare ma le parole gli morirono in gola.
D'accordo, pensò. Basta, ci vado giù duro.
- Mio padre è uno stregone e suo fratello Lucas, un mutaforma, ce l'ha con lui perché vuole la Chiave del Sacro Cancello per il mondo della Magia. Ecco, l'ho detto. - sciorinò tutto d'un fiato. - Tanto lo so che non mi crede.
Nello studio calò il silenzio. Il dottor Spynes fece un colpo di tosse poi attaccò:- Cosa intendi per mutaforma?
Un tonfo sordo di lamiere accartocciate li fece sobbalzare.
- Eccolo! Quello! - esclamò Matt scattando a sedere e indicando fuori dalla finestra.
Il dottore deglutì, non credeva ai propri occhi: un drago mostruoso con la testa d'aquila era appollaiato sui rottami della sua Bentley e guardava nella loro direzione.
- Lucas, suppongo... - bisbigliò Spynes.
Matt annuì lentamente, gli occhi sgranati.
- Eccolo! Quello! - esclamò Matt scattando a sedere e indicando fuori dalla finestra.
Il dottore deglutì, non credeva ai propri occhi: un drago mostruoso con la testa d'aquila era appollaiato sui rottami della sua Bentley e guardava nella loro direzione.
- Lucas, suppongo... - bisbigliò Spynes.
Matt annuì lentamente, gli occhi sgranati.
La storia di Matt su Never let me go
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