“Concupisco con pervicacia il rosso e
il blu di Stendhal”, esclamò perentorio.
Il suo interlocutore si lisciò i
baffetti castani e fece un breve cenno di assenso.
“Ecco”, bisbigliò porgendogli un
foglietto piegato in quattro e guardandosi attorno con circospezione.
Se lo infilò in tasca e a passo
spedito scese verso la sala di lettura. Lungo il tragitto arpionò un
volume a caso dagli scaffali aperti e si accomodò in un angolo.
Abbassò le lenti scure e ispezionò furtivamente la stanza. Al suo
tavolo non c'era nessuno. Più avanti un gruppetto di studenti
pigiava sui portatili, ridacchiando di tanto in tanto sottovoce.
Nessuna persona sospetta. Anche se, non essendo del mestiere, non era
affatto sicuro di saperne riconoscere, quand'anche ce ne fossero.
Sentiva il cuore andargli a mille. Fece un respiro profondo e
appoggiò il libro sul tavolo.
Per la prima volta da quando aveva
inforcato l'ingresso della biblioteca “Romolo Spezioli” fingendo
sicurezza, si concentrò su se stesso. Fece scorrere lo sguardo sulle
pareti, sulla rete metallica che faceva tanto pollaio e provò un
disagio profondo. Si sentì fuori posto come mai prima d'ora.
Ma che ci faceva lì? Come gli era
venuto in mente? Aveva persino comprato un completo nero con tanto di
cravatta e scarpe abbinate. Ma la cosa più pazzesca è che aveva
fatto più di centotrenta chilometri per arrivare lì. Lì dove
l'aveva indirizzato quella surreale telefonata.
Anzi, intercettazione ad essere
precisi. Il ricordo gli balenò vivido alla mente, si sentì mancare.
Stava parlando col suo amico Giorgio quando si intromise quello
strisciante brusio che via via si fece parola.
“Allora Giorgio alle nove al
biliardo, poi facciamo le squadre per il torneo, ma gioca anche...”,
bssss, bssss, “ci sei ancora? Giorgio...?”, bssss, bssss,
“...blioteca Romolo Spezioli di Fermo, domani sedici e trenta...,
bssss, bssss”. Era una voce bassa e tagliente.
“Pronto Giorgio... non ti sento...
Giorgio...”, bssss, bssss, “sala del mappamondo... bssss
bssss.... rola ordine... bssss bssss”.
Aprì il libro. Notò che gli era
capitato “Il postino suona sempre due volte”. Sorrise amaramente:
aveva visto il film, non c'era lieto fine.
Dispiegò il foglietto sopra il libro.
Era una formula. Una concatenazione astrusa di elementi chimici. A
colpo d'occhio colse il sodio, l'ossigeno e l'idrogeno: reminiscenze
delle superiori. C'erano varie addizioni e sottrazioni e valori in
percentuale.
Quantità di concentrazioni,
probabilmente.
Poi ebbe un sussulto.
Evidenziati in rosso in quel marasma
spiccavano due termini che conosceva bene.
Era l'ingrediente segreto della bevanda
più famosa del pianeta!
Udì un tramestio dal piano superiore e
poco dopo intravvide oltre la porta il bibliotecario coi baffetti.
Discuteva animatamente con un energumeno calvo che indossava un
completo identico al suo, ma di diverse taglie più grande. Il
bibliotecario gesticolava agitato come chi cerca di giustificarsi per
aver perso qualcosa e teme di perdere qualcos'altro di ben più
importante. Tutti e due gettavano occhiate fulminee per la stanza. Il
gigante pelato era una maschera di cera. Faceva paura. Il classico
tipo capace di metter su la cuccuma, spezzare il collo del suo ospite
e sorseggiare beatamente il caffè senza fare una piega.
Come li vide entrare in un'altra stanza
sgattaiolò fuori e corse a perdifiato alla macchina. Aveva
parcheggiato a pagamento poco distante, lungo le mura.
Partì senza sgommare, un occhio sempre
incollato al retrovisore. Imboccò l'autostrada in un assolato
pomeriggio di fine ottobre. Due spari echeggiarono e In Piazza del
Popolo la gente si disperse fra grida di terrore.
Se avesse tardato appena cinque minuti
avrebbe sentito il frastuono delle sirene e lo stridio delle gomme e
avrebbe visto dieci agenti in tenuta antisommossa fare irruzione
nella biblioteca.
Se avesse comprato il giornale il
giorno dopo avrebbe letto del cadavere dietro l'orologio, al piano
più alto della biblioteca.
Ma lui era a tutt'altre latitudini.
Sbandonato sulla sdraio a bordo piscina sorrideva allo splendore del
panorama tropicale, dalla sua villa principesca a strapiombo sul
mare. Il suo elicottero personale atterrando gli scompigliò
furiosamente i capelli. Lui continuava a sorridere, in accappatoio,
sorseggiando un mohito e accarezzando il rametto di rosmarino che da
quel giorno epocale, il giorno del ricatto, portava sempre nel
taschino. Di qualsiasi maglietta, camicia, giacca, cappotto,
vestaglia, soprabito, pigiama o accappatoio.
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