“E' quasi pronto...”, gli sorrise
facendo capolino nella stanza.
“Si Ma', un minuto e arrivo”,
rispose continuando a fissare il monitor olografico.
Mentre digitava sul piano cottura pensò
a quanto suo figlio si impegnasse negli studi e si sentì molto
orgogliosa.
Marco frequentava la facoltà di
Bio-robotica e benché fosse solo al primo anno aveva già passato
cinque esami col massimo dei voti: una cosa più unica che rara.
Anna inserì tre capsule variopinte
nella fessura e spinse il bottone. L'oblò del forno si animò come
una centrifuga, brillando di tanto in tanto di riflessi cangianti.
L'amalgama prese forma velocemente finché, annunciati da un leggero
bip, emersero sul ripiano laccato bianco un pollo arrosto fumante, un
cubo di purè e una piramide di pisellini.
“Eccomi, pronti!”, esclamò Marco
precipitandosi a tavola col libro sottobraccio.
“Che studiavi di bello?”, chiese
sua madre guardando un po' preoccupata fuori dalla finestra.
“Lunedì ho l'orale di storia antica,
dal ventunesimo al ventiquattresimo secolo. Si, ma tanto non è un
fondamentale. Papà ancora non è tornato?”, domandò Marco mentre
la pelle del polso sinistro si raggrumava leggermente e l'orario
prendeva forma a fosfori verdi.
Intanto i due soli cerulei stavano
quasi tramontando. La tempesta di sabbia imperversava, gli anelli
purpurei di π564-bis si
intravvedevano a stento nel
marasma di pulviscolo ocra.
La saracinesca dell'ingresso in fibra
di carbonio scattò con un sibilo.
“Che tempaccio! Ce l'ho fatta, sono
tornato finalmente”, disse sganciandosi il casco.
La moglie fece un sospiro di sollievo.
“Ero in pensiero, vieni a tavola dai, ho appena preparato”.
L'uomo sganciò il bottone sulla spalla
sinistra, la tuta si aprì sul davanti e si afflosciò alle caviglie
con un lieve sbuffo. La raccolse alla rinfusa, le diede due o tre
pacche per scrollare la patina giallastra e la affibbiò
all'appendiabiti che emerse automaticamente dal muro alla sua
sinistra.
“Com'è andata al lavoro?”, chiese
Anna.
“Ciao Ba'”, fece Marco che aveva
già iniziato a mangiare.
“E aspetta!”, lo redarguì
bonariamente la madre.
Marco sorrise verso il padre che, come
sapeva, non aveva nessuna intenzione di arrabbiarsi.
“Due scatole al lavoro!”, esclamò
Luigi seccato. “Sono stato tutto il giorno dietro al nuovo arrivato
a spiegargli come riprogrammare le CPU dei cyborg. Vabbeh, almeno è
un ragazzo sveglio”.
“Avete ancora cyborg? Credevo ci
fossero solo robot ormai...”, bofonchiò Marco spiluccando un
cosciotto.
“Non produciamo più cyborg”,
rispose Luigi sedendosi e riempiendosi il piatto di purè e piselli,
“ma quelli ancora funzionanti li abbiamo tenuti. Te lo dicevo anche
l'altra volta: i costi dei materiali sono al ribasso e si spende meno
a costruire robot ex-novo che a convertire esseri umani”.
“Da quando poi non si possono più
usare i cadaveri...”, aggiunse Anna che nel frattempo aveva preso
posto a capotavola e si era servita, “com'è il pollo ragazzi? A me
non dispiace”.
“Uhm... buono, buono”, risposero in
coro Luigi e Marco scambiandosi sguardi d'intesa.
“Eggià...”, continuò Luigi, “a
parte i carcerati nessuno dà il consenso per farsi convertire”.
“E ti credo...”, fece Anna, “quelli
lo fanno perché così li mettono all'aperto, ai lavori socialmente
utili: scavare gallerie, sgombrare macerie...”.
“Oppure roba pesante”, intervenne
Marco, “li usano nei programmi di pulizia spaziale: recuperare
frammenti di asteroidi, rottami di sonde, astronavi, velivoli, vero
ba'?”.
“Uhm”, asserì Luigi col capo
trangugiando una cucchiaiata di purè.
“I cyborg sono un casino, troppi
rischi, mantengono emozioni umane”, spiegò Marco. “Nella rivolta
del duemilacentododici morirono quasi cinquemila persone. L'ho
studiato oggi. Devo dare l'esame di storia, lunedì”.
“E' vero. I cyborg conservano sempre
un minimo di volontà propria, non sei mai sicuro al cento per cento.
Una reminiscenza dell'umano, così la chiama il mio supervisore”,
disse Luigi, “anche se al posto del cervello hanno un computer,
alla fine la sinergia col tessuto vivente gli dà sempre quel
qualcosa di sballato, di astruso...”
“... di umano”, disse Anna.
Nel frattempo era calata la notte e la
tempesta non accennava a diminuire. Lo scudo a elettroni garantiva
un'assoluta insonorizzazione, ammutolendo il sinistro e furioso
ululare del vento.
“Durerà almeno fino a domenica”,
sospirò Anna cominciando a sparecchiare.
“Almeno si potesse stare a casa...”,
sorrise Luigi, “con sti cosi del teletrasporto non si sfugge, non
si salta un giorno... eh... beati gli antenati...”.
“Eggià”, fece Marco, “ho letto
che una volta c'erano le malattie. E se ti ammalavi non andavi a
lavorare, e nemmeno a scuola”.
“Si”, intervenne Anna, “Nella
vecchia Terra. Fino al duemilaottantaquattro. Poi è iniziata la
manipolazione genetica dei feti. Ho dato una sbirciata ai tuoi libri
quando non c'eri”, ammiccò al figlio.
Marco sorrise. “A proposito di
teletrasporto...”, iniziò, “volete sentire quello che studiavo?
Così mi aiutate a ripassare, tanto mi sa che co sto tempo non si va
da nessuna parte...”.
“Ok, ripetici la lezione!”,
esclamarono in coro moglie e marito.
Marco sfiorò con la mano il sensore
sulla parete e la finestra si oscurò.
“Dunque”, attaccò, “le basi per
lo sviluppo del moderno teletrasporto, cioè non più di particelle
subatomiche ma di esseri multicellulari, furono gettate nel
duemiladodici con la scoperta del Bosone di Higgs, già teorizzato
cinquant'anni prima, dal britannico Peter Higgs appunto. Fu scoperto
in un centro di ricerca della città di Ginevra, nella vecchia Terra.
Da lì a sessant'anni cadde un altro tabù su cui si erano
arrovellati i fisici di tutto il mondo: la materia e l'energia
oscura, che costituiscono il novantasei per cento dell'universo.
“Ma allora gli antichi erano degli
asini... non sapevano un tubo”, scherzò Luigi.
“Eddai papà... fammi finire”,
sbottò Marco non riuscendo a trattenere le risa.
“Dai, dai”, fece mamma.
“Allora... vado veloce se no non ci
arrivo più... si scoprì che la materia oscura era composta
essenzialmente di neutrini e tachioni e che altro non era se non
energia oscura a cui il bosone di Higgs aveva conferito una massa.”
Anna accennò ad attivare la
trasparenza delle finestre ma una smorfia di disappunto e delusione
di Marco la fece desistere.
“Dicevo...”, riprese Marco
sorridendo, “si scoprì poi che bombardando di raggi Beta i
tachioni presenti nella materia oscura questi prendevano, ummhh...
agganciavano la materia ordinaria, generando settanta TeV di
energia”.
“Se non sbaglio era proprio quello il
problema: ci voleva troppa energia, giusto?”, disse Luigi.
“Esatto! Quindi, una volta superato
quell'inconveniente, visto che i tachioni sono più veloci della
luce... sshhhh!”, Marco mimò il balenare di un fulmine, “proprio
i tachioni divennero il mezzo su cui viaggiava la materia nel
teletrasporto!”.
“Bravo!”, esclamò Anna, schiarendo
la finestra sull'infuriare della tempesta. Nel buio la sabbia
vorticava in gorghi fosforescenti.
“E quando fu inventato il primo
aggeggio per il teletrasporto di esseri umani? Tipo quello che
abbiamo qui fuori?”, chiese il padre.
“Fu inventato nel duemiladuecentotré
da un ingegnere aerospaziale americano, Tom Riggs”.
Tutti e tre corsero col pensiero al
dispositivo di fronte a casa: un anello di quarzo e platino alto
venti centimetri, fissato al suolo da un sistema di compressione
gravitazionale.
“Adesso ti interrogo io”, fece
Luigi. Raccolse con circospezione il libro del figlio e sfogliò
attentamente qualche pagina.
“Parlami del disastro che decretò la
fine della vecchia Terra”.
Marco sorrise pregustando la trionfale
spiegazione.
“Dopo l'invenzione del teletrasporto
naturalmente tutte le grandi potenze erano consapevoli dell'enorme
minaccia che questo rappresentava per i traffici commerciali”,
iniziò, “sarebbero fallite tutte le compagnie aeree, non avrebbero
avuto più senso i cantieri navali, tutte le infrastrutture: ponti,
autostrade... se chiunque avesse potuto trovarsi all'istante in
qualsiasi punto del pianeta. Vado avanti?”.
Sua madre aveva cominciato a
sparecchiare e andava e veniva dalla cucina, il suo modo per dire che
avrebbe seguito la conversazione in maniera più disinvolta.
“Si, si”, disse Luigi, “tira
dritto, io ti ascolto senza interrompere”.
“Ok. All'inizio le macchine per il
teletrasporto erano un parallelepipedo di un metro quadro per base,
alto circa due metri e mezzo. Fino al duemilatrecento ne esistevano
solo dieci al mondo, tutti di proprietà della Instant Voyager, una
holding multimiliardaria di più compagnie di trasporto, per la
maggior parte finlandesi e spagnole. Avevano impiantato uno di quegli
apparecchi, si chiamava Flash Tremila, davanti alla loro sede
centrale, a Helsinki. Quell'unità era collegata alle altre nove
dislocate a Roma, Parigi, New York, Vienna, Madrid, Mosca... poi non
ricordo... vabbeh, comunque... Questa Instant Voyager aveva il
monopolio del Flash Tremila e stava studiando come espandersi a
dismisura e moltiplicare all'infinito i profitti... e fu qui che
successe il fattaccio. Sai cos'è un cronovisore?”.
“Si, l'ho visto al museo”, disse
Luigi aggrottando la fronte, “è una sfera, non mi ricordo di cosa
è fatta, è una sfera che ti fa vedere il passato e il futuro,
giusto?”.
“Esatto. Fu inventata molto prima del
teletrasporto, nel duemilacentouno. E' fatta di una lega di rame e
berillio. Al suo interno viene ricreata una singolarità, un buco
nero di circa venti centimetri che apre un varco nel tessuto
temporale. E' collegata a un tastierino numerico con cui si imposta
l'anno da rintracciare. Da quando si acquisirono sempre più
conoscenze sull'energia oscura, si arrivò poi ben presto a
manipolare il continuum spazio-tempo. Ovviamente nessuno doveva
cambiare il passato, se no sai che casino con tutti i paradossi...
Nel duemilacentocinquantasette ci fu
un'altra svolta importantissima: lo scienziato spagnolo Alejandro
Hernandez dimostrò che era impossibile viaggiare nel tempo, ci si
poteva teletrasportare solo attraverso lo spazio. Lo studio gli valse
il Nobel per la fisica. Comunque... e arriviamo alla questione... nel
duemilatrecentosessantacinque un'organizzazione terroristica
denominata Nessun Domani, con l'aiuto di scienziati corrotti, riuscì
a miniaturizzare il congegno del teletrasporto e a impiantarlo
sottopelle. Con un semplice computer da polso era possibile impostare
le coordinate del luogo dove materializzarsi.
Quello fu il punto di non ritorno.
Bastava procurarsi un cronovisore, vedere quando il tal carico di
denaro veniva portato in banca, quale scommessa sarebbe stata
vincente, dove avrebbe cenato il boss rivale da far fuori... e il
gioco era fatto! Presto detto, fu il caos totale, come puoi
immaginare. Cinquanta criminali psicopatici e senza scrupoli misero a
ferro e fuoco il pianeta, fu la Quarta Guerra Mondiale, dal
duemilatreesessantasei al duemilatreesettantuno.
La Federazione Universale per la
Sicurezza optò per una soluzione estrema. Radunò le migliori menti
del pianeta e le evacuò qui. Quelli erano i nostri antenati.
La vecchia Terra fu distrutta il dodici
agosto duemilatrecentosettantuno, con l'esplosione simultanea di
dieci bombe Gamma.
Da allora fu proibito ogni dispositivo
individuale o mobile per il teletrasporto. La Instant Voyager
mantenne il monopolio e costruì solo congegni tipo il nostro”.
“Bravo! La sai benissimo!”, esclamò
Luigi dando una leggera pacca sulla spalla al figlio.
Dalla cucina la madre si voltò e gli
fece l'occhiolino “Vedrai che l'esame lo passi di sicuro!”.
“Speriamo che passi anche questa
tempesta”, sorrise Marco.
Tutti e tre guardarono fuori. In
lontananza un gigantesco aerodonte avanzava a fatica controvento,
sbattendo goffamente le diafane membrane alari e sfidando la bufera
col suo grido acutissimo e penetrante.
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