Nessuno sapeva da dove fosse sbucato
quel gatto.
Luca racconta che un pomeriggio di
maggio, mentre era intento a leggere un libro di avventure (forse non
troppo intento, visto che non si ricorda quale fosse), quel gattone
tigrato rosso era balzato all'improvviso sul tavolo di fronte a lui,
facendogli prendere un piccolo spavento (in realtà ne fu
terrorizzato, ma non lo avrebbe ammesso di fronte ai compagni nemmeno
sotto tortura).
Insomma, anche Macerata aveva il suo
Dewey. E anche se era contro il regolamento, come Dewey anche Felix
aveva la sua cuccetta: in un angolo della Specula, la sala più in
alto. A volte, nelle giornate più limpide, quando i Sibillini si
stagliavano nitidissimi, lo potevi trovare seduto sui sottili
davanzali in legno, assorto davanti ai finestroni. Faceva una strana
impressione vederlo lì quando la sala era deserta. Nel silenzio
quegli occhi smeraldo erano troppo espressivi.
Felix non viveva dentro la biblioteca.
La frequentava, se così si può dire. Dei giorni gironzolava in
lungo e in largo, dalla Sala degli Specchi fin su nella Specula;
altre volte invece oziava pigramente nella sua cuccia, facendo solo
di tanto in tanto capolino da qualche porta. Ogni sera all'ora di
chiusura spariva non si sa dove e la mattina dopo, puntuale,
all'apertura, era pronto ad accodarsi al primo impiegato che
arrivava.
C'era anche stata qualche lamentela per
il comportamento bizzarro di Felix. Capitava che di punto in bianco,
mentre si era immersi nella lettura, saltasse sul tavolo e si
accovacciasse di fronte al libro, fissandolo. Inutile dire che ai più
piccoli (ma in genere anche agli studenti universitari) questa
invasione della privacy non dava affatto fastidio, anzi. Si
divertivano ad osservarlo. Si sarebbe detto che stesse leggendo, o
che cercasse di farlo. E anche con una certa testardaggine... in
quelle occasioni era davvero difficile scacciarlo: non che fosse
aggressivo, sia ben chiaro. Non aveva mai morso o graffiato nessuno,
e ne aveva presi di manrovesci, gomitate o spintoni! Quello che
colpiva era che, a ben guardare, spesso Felix si piazzava ad
osservare con fissità determinati gruppi di volumi. Allora anche chi
passava di volata non poteva fare a meno di impuntarsi ed esserne
affascinato.
Non si appassionava a tutti i generi di
libri. Un osservatore attento avrebbe notato che si aggirava intorno
agli scaffali che trattavano di magia, esoterismo e occultismo. E
quando qualcuno si sedeva a consultare uno di questi volumi, alle
volte saltava su e gli teneva compagnia nella consultazione, finché
la pazienza o la simpatia del lettore glielo consentivano.
Felix alzò di scatto il capo, vigile.
Il vecchio professore entrò in
biblioteca di buon'ora. Non aveva lezione quella mattina, così ne
aveva approfittato. Sapeva già cosa prendere e si diresse alla
mensola con passo spedito, lanciando qua e là cenni di saluto ai
gruppetti di alunni che l'avevano riconosciuto.
Aprì il grosso tomo ingiallito e
sospirando inforcò gli occhialetti da lettura.
Felix si era messo in piedi e seguiva
le sue mosse. Quando il professore si lisciava il pizzetto bianco o
si grattava la fronte, le vibrisse di Felix fremevano agognanti e i
suoi occhi si accendevano di un bagliore arancione.
Il micione saltò di fianco al
professore, che ebbe un fremito. Intorno si levava qualche sguardo
curioso e si spalancava qualche sorriso.
Il professore cercò di smuoverlo,
dapprima con delicatezza.
“Scendi, dai”. Il gatto non si
muoveva e lo guardava.
“Cosa vuoi?”, bisbigliò seccato il
professore.
Felix miagolò. Un miagolio breve ma
risoluto.
Il professore si tolse gli occhiali e
ricambiò lo sguardo del gatto.
“Cosa c'è?”, gli chiese ancora.
Seriamente, questa volta.
Felix miagolò di nuovo, sempre lo
stesso miagolio risoluto di prima, questa volta più prolungato. E
spostava lo sguardo dal professore al libro.
Il professore guardò lungamente il
libro, poi lanciò una breve occhiata interrogativa al gatto.
Intorno quasi nessuno leggeva più, si
godevano tutti il bizzarro siparietto.
Felix appoggiò ripetutamente una zampa
sul libro, miagolando ogni volta per accompagnare il gesto.
“Vuoi che legga?”, chiese il
professore. Ma non lo disse, lo pensò.
Come pensò di trovare la risposta
negli occhi di Felix.
Raccolse gli occhiali e tossì piano,
guardandosi furtivamente intorno. Poi iniziò a leggere a voce
bassissima, da dove iniziava il periodo, più o meno dove Felix
indicava con la zampina.
Vide il gatto schizzare dietro l'angolo
non appena pronunciò l'ultima parola. Era un incantesimo celtico di
trasformazione.
Il professore ebbe uno strano
presentimento. Si alzò e si mise sui passi (sulle orme, per meglio
dire) di Felix.
“Ops... scusi...”. Per poco non si
scontrò con un ragazzo alto, dai lunghi capelli castani.
“Marco, ciao...”, esclamò il
professore dopo un attimo di imbarazzo, “che fine hai fatto? Non ti
vedo a lezione da un bel po'...”
“Professore... se sapesse...”,
sussurrò piantandogli in faccia due occhi verdi profondamente
turbati.
“Dimmi...”, insisté il professore.
Marco esitava.
“Dì la verità... è stata la
formula”, lo incalzò il professore.
Marco lo fissava basito.
Il vecchietto si sciolse in un
abbraccio e bisbigliò con gli occhi lucidi “Ah lo so, lo so cosa
ti è successo. Spero proprio che sia come penso. Altrimenti non so
che farò, la settimana scorsa ho tramutato mia moglie in un'oca...”
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