venerdì 4 gennaio 2013

Il dono

La carrozza ebbe un sussulto, la luce scintillò sui finimenti in ottone, schizzando sul velluto purpureo dei sedili. I lampioni in ferro battuto scorrevano come lampi accanto alle rotaie, il fusto completamente invisibile; le fiamme del petrolio balenavano nella notte.
Si era appisolata. Dal finestrino si sforzava di intuire le forme della campagna. Una grossa nube si staccò dalla luna come una gomma da masticare da sotto il banco, stirando vaporosi filamenti grigiastri. Pallide stalattiti baluginavano ora su un campanile lì vicino, ora su una stalla, laggiù, lontano. Un grumo di alberi sfrecciò fra i lampioni.
Infilò dietro l'orecchio una ciocca rossa sfuggita alla treccia e posò stancamente lo sguardo sul sedile di fronte.
L'anziana signora la fissava timidamente, lei distoglieva lo sguardo, leggermente a disagio. La luna, ora completamente libera, inondava un campo di grano di diafano bagliore.
La vecchina, che continuava a fissarla, arricciò gli angoli della bocca e indicò verso di lei con un rapido gesto.
Allarmata la ragazza si affrettò a richiudere il piccolo scrigno in legno che reggeva in grembo, tra le mani giunte.
“Ha visto se è rimasto aperto da molto?”, esclamò agitata, rivolta alla signora.
“No, signorina, non si preoccupi. Nel sonno l'ha aperto per sbaglio, ma giusto qualche secondo fa”, la ammansì sorridendole.
“Per fortuna... grazie mille per avermi avvisata!”. La vecchina rimase immobile, continuando a guardarla e a sorriderle cordiale. Doveva essere una nobildonna, pensò la fanciulla. I capelli erano impeccabilmente raccolti in uno chignon vaporoso e bianchissimo. Due rombi d'oro incastonati di smeraldo pendevano dai lobi e richiamavano le perle della collana. La pelle sembrava di porcellana. La sottile velatura azzurra che correva sulle palpebre e il delicato rossetto pastello completavano il minuzioso e sofferto lavoro delle dame di compagnia. Sotto il sedile, dietro gli stivali di pelle nera, era riposto un ingombrante baule di ferro battuto e tela verde.
La fanciulla inspirò con voluttà: ne era rimasto molto nell'aria. Chiuse gli occhi e lasciò che il sorriso le scorresse lungo tutto il volto, riscaldandola. Quando li riaprì brillavano di una luce nuova.
“Dov' è diretta, signorina?”, l'anziana non riuscì a trattenere la curiosità, coinvolta dall'ebrezza di quegli splendidi occhi azzurri.
“A Brisborne, sulla costa occidentale. Sono un'insegnante, ho chiesto il trasferimento”. Così dicendo, un velo di tristezza le incupì i lineamenti. Accarezzò pensosa il cofanetto, le screziature marrone scuro, gli intarsi e le miniature nel ferro. Girò nella toppa la minuscola chiave dorata.
“E' un nuovo modello...”, disse l'anziana. La fanciulla annuì.
“Complimenti signorina! E' l'ultimo ritrovato della tecnologia. E'... un regalo? Se posso permettermi...”
La ragazza annuì di nuovo, alzando un attimo lo sguardo al lampadario di cristallo.
“...Posso vederlo?”, bisbigliò la signora con fare civettuolo.
In altre circostanze la richiesta sarebbe suonata impertinente, oltre che pericolosa. Ma quella gracile vecchietta non poteva certo essere una minaccia...
“Ecco, tenga”. La fanciulla glielo porse con un sorriso e la vecchietta lo arpionò con un insolito guizzo delle dita uncinate. Lo scrutò a lungo, quasi appiccicandoselo al naso e rigirandolo più volte. Quando lo restituì gli occhi scuri, prima sottili come fessure, sembravano spalancati a forza ed erano percorsi da uno sfolgorio quasi sinistro. Doveva averne letto il contenuto nella stampigliatura e probabilmente le aveva scatenato una marea di sensazioni e ricordi sommersi.
La porta della carrozza si aprì per metà e fece capolino un inserviente in uniforme rossa.
“Dieci minuti alla sua fermata, duchessa.”, annunciò in tono lugubre e distaccato, scomparendo poi in un baleno.
La fanciulla estrasse dal taschino il cipollotto: le undici e un quarto. A lei restavano ancora quattro lunghe ore di viaggio.
“... Tre mesi... ne ho visti al massimo da qualche ora... io ne ho uno da venti minuti...: il primo viaggio in dirigibile, con mio padre, quando avevo sei anni...”, sussurrò la duchessa con qualche esitazione.
“Si chiederà come posso permettermelo...”, disse la fanciulla. Sospirò a lungo, poi continuò tutto d'un fiato: “Non posso, infatti. Il mio ragazzo è in prigione, per sempre. Questo regalo per me è l'ultimo desiderio di un condannato”.
Il treno stava rallentando. Il giovane di colore, alto e dinoccolato, comparve all'improvviso, in un attimo estrasse il baule da sotto il sedile e se lo caricò in spalla.
“Siamo arrivati, duchessa. Mi segua, faccio strada”.
L'anziana si alzò lentamente, le mani ebbero un tremito facendo forza sul bracciolo. Indugiò qualche istante, poi tese la mano alla fanciulla, che si alzò di scatto. Il convoglio si fermò completamente.
“Tanti auguri per tutto, figliola”. Gli occhi le si inumidirono e abbracciò la ragazza con una vitalità inaspettata.
Il treno ripartì con un fischio acuto, uno sbuffo di vapore incipriò il cielo nuvoloso.
La fanciulla adagiò la guancia al confortevole poggiatesta. Diede un'ultima occhiata allo scrigno, per assicurarsi che fosse ben serrato, e si soffermò sulla targhetta in oro: “Cybermotion/ Sensaz.: Amore- scad. 03/2136”. E chiuse gli occhi, sfrecciando nella notte verso la sua nuova vita.

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