venerdì 28 giugno 2013

Alan, il crononauta

2007-BA. Ridottissima serie di numeri e lettere. Una sigla innocua, il posto di un parcheggio, la denominazione di una proteina, la classificazione di un libro in biblioteca.
Ma 2007-BA era il nome della morte. Un asteroide. Per l'ennesima volta il destino del pianeta dipendeva da un pezzo di roccia.
Un meteorite aveva originato il nostro satellite, la Luna; un altro aveva provocato l'estinzione dei dinosauri. Col susseguirsi degli studi, dei calcoli e delle simulazioni si ipotizzò inoltre che anche dietro le glaciazioni o gli sconvolgimenti climatici più eclatanti ci fossero sempre degli asteroidi; senza contare gli ettari di foreste bruciate o i villaggi semidistrutti.
E adesso questo. 17 Dicembre 2116: la data di scadenza della Terra. Fra tre settimane.
La tecnologia non permetteva di disintegrare il meteorite in sicurezza: anche impiegando missili a testata nucleare si sarebbe sbriciolato in frammenti più piccoli ma ugualmente letali, una terrificante pioggia di fuoco e fiamme.
L'evacuazione non era un'alternativa perché con un diametro di 20 Km e un peso di 2.000 miliardi di tonnellate la devastazione sarebbe stata totale, sia che impattasse al suolo che in mare.
Si stimò che sarebbe caduto nell'Italia Centrale, alla velocità di 290.000 Km/h.
L'unica via di scampo non era quindi nello spazio, bensì nel tempo.
A differenza dei viaggi intergalattici, rimasti pura utopia, il viaggio nel tempo era possibile.
La notizia non fu mai divulgata e nessuno ne fece mai uso ufficialmente. Il Governo si adoperò per insabbiare l'avvenimento e mantenere una segretezza pressoché assoluta. Per questo non sono note le circostanze esatte in cui si svolse l'esperimento, né si conoscono l'inventore del dispositivo o i membri dell'equipe che lavorò al progetto.
Ora però quello stesso Governo, (composto dai leader delle dieci maggiori Potenze), riunito in un bunker sotterraneo attrezzato di ogni lusso e comodità, stava pianificando una trasmigrazione temporale.
Inizialmente si pensò di trasferire un ristretto numero di persone in un punto imprecisato del futuro. Molti obiettarono che non fosse moralmente corretto salvare pochi prescelti (fossero anche le menti più brillanti), lasciando morire sciami di moltitudini inconsapevoli. Gli scienziati sollevarono dubbi anche sulla direzione da prendere lungo la linea temporale: non più nel futuro, magari un futuro di polveri e miasmi letali da respirare per secoli o milioni di anni, ma nel passato, che sembrò d'un tratto più a portata di mano, per così dire, più vicino e più comodo, in quanto noto.
Il cronotraveler, il dispositivo per viaggiare nel tempo, era individuale, delle dimensioni e delle sembianze di un orologio da polso. Ne esistevano un centinaio. Si digitava gg/mm/ (+ o - ) aaaaaa (giorno, mese e anno, prima e dopo Cristo) e premendo il pulsante invio si veniva spediti alle coordinate indicate. Si poteva anche memorizzare una data di default verso cui si veniva indirizzati premendo il pulsante reset.
Restava da testarlo a dovere e individuare l'epoca più opportuna dove trasferirsi.
E proprio di questo si stava occupando il nostro protagonista, il viaggiatore designato che chiamerò Alan. Scelsero per iniziare l'anno 1975 D.C., un'epoca recente e quindi avanzata tecnologicamente, e relativamente tranquilla in quanto posteriore al secondo conflitto mondiale. Ogni volta poi, al sopraggiungere di 2007-BA sarebbero tornati indietro. Avevano tre settimane per trovare l'anno più opportuno. Impostarono come default il giorno corrente, dotarono Alan di armi e kit di pronto soccorso e l'avventura iniziò.

15/06/001975. Il problema della macchina del tempo era che non si sapeva mai dove ti avrebbe teletrasportato: in fondo al mare, in una grotta al centro della Terra, in mezzo alla strada nell'ora di punta; in America, Asia, Oceania, sospeso in aria, in caduta libera dalla ionosfera... Per fortuna impostando il default si poteva fissare, oltre alle coordinate temporali, anche il luogo corrente, il posto dove ci si trovava in quel momento: in questo caso il laboratorio del bunker segreto nell'anno 2116, un luogo sicuro dove tornare.
Invio. Alan venne smolecolarizzato e si ricompose con un tenue bagliore, perturbando l'aria circostante. Al suo apparire uno strano quadrupede trasalì e rimase impietrito, scomparendo poi nella boscaglia con rapidi balzi. Non riuscì a inquadrarlo nello scanner ma le macchie bianche sul manto marrone gli suggerirono che doveva trattarsi di un daino, un mammifero estinto da decenni che aveva visto nell'enciclopedia olografica.
Con un semplice tocco attivò il localizzatore che aveva al polso: Cesane, monti – Pesaro Urbino – Marche – Italy. Era in mezzo a un bosco, non scorgeva sentieri né anima viva. Armò la pistola disgregatrice e procedette in esplorazione. D'improvviso si sentì percorso da potenti vibrazioni e da un languido senso di nausea. Sul display del cronotraveler al polso sinistro lampeggiava in rosso la scritta “failure”.
In preda al panico premette e ripremette il tasto reset ma lo scenario non cambiava. Le vibrazioni e il lampeggiare continuavano. “Failure”, finché la macchina del tempo emise tre forti bip e lo smaterializzò sfilacciandolo nel vortice spazio-temporale.

Atterrò malamente su una landa brulla e desolata, cadendo da circa due metri, per fortuna senza conseguenze. Il terreno era coperto da una polvere grigiastra e ampi crepacci si aprivano qua e là.
All'orizzonte si stagliava un imponente muro verde: vegetazione, alberi probabilmente.
Cercò di svegliare il localizzatore ma il display era morto. Il cronotraveler era sempre in “failure”.
Non compariva nemmeno il tastierino per immettere una data.
Il visore sul casco captò del movimento e proiettò sulla visiera direzione e distanza. Una croce al centro di un cerchio lampeggiava e bippava sempre più insistentemente quando ci si avvicinava al bersaglio, mentre un calcolatore digitale incrementava o diminuiva la distanza del soggetto o dell'oggetto in movimento. Il sibilo divenne continuo e penetrante in direzione dei boschi all'orizzonte. Comparve un frenetico conto alla rovescia che partiva da 900 metri.
800-700... Imbracciò il fucile laser che teneva a tracolla e ne azionò le cariche fotoniche.
600... sentiva la terra tremare sotto i suoi piedi.
500... le fronde si agitavano nella boscaglia in lontananza.
Una sagoma scura apparve all'orizzonte. Zumò. Ancora. Ancora. 5X. Un tirannosauro stava correndo verso di lui. Aveva qualcosa sulla schiena. Zoom. Non era qualcosa, era qualcuno. Un uomo, un ominide. Una sella coi finimenti.
Alla velocità con cui procedeva l'avrebbe raggiunto in pochi secondi. Fece rientrare la visiera e puntò il fucile ormai completamente carico.
L'enorme rettile si fermò a pochi metri da lui, impennandosi alla tirata di redini del cavaliere e spalancando le fauci in un ringhio cavernoso e brutale.
L'ominide, di carnagione olivastra, aveva il viso tozzo e con un forte prognatismo. I capelli erano neri, radi e lunghi e brandiva una lancia dal manico in legno e dalla punta in selce.
Alan avrebbe potuto carbonizzarli all'istante, ma esitò un attimo di troppo. Non aveva mai ucciso nessuno, e in più era sconcertato da quella visione: un conto era osservare la proiezione di un T-Rex su un olobook di storia e un conto era trovarselo a un palmo dal naso.
L'ominide scagliò la lancia. Alan la schivò scartando di lato, ma non poté evitare che il sauro gli triturasse un fianco sferrando un morso con insospettabile velocità.
Accecato dalla vista delle carni straziate e sanguinanti, fece fuoco. Un raggio di luce rossa disintegrò i due riducendoli a un cumulo di cenere. Il morso gli aveva strappato via mezzo addome. Si accasciò a terra tenendosi la pancia. Le viscere eruttavano come serpenti a molla compressi in una scatola, schizzandogli sulla mano copiosi fiotti caldi. Gettò il fucile, si sfilò dalle spalle lo zainetto e tirò fuori il kit d'emergenza.
Ebbe un mancamento, la vista si affievolì. Frugando affannosamente estrasse un cilindro nero grosso quanto un candelotto di dinamite. Premette il bottone all'estremità finché un led rosso non divenne verde. Ricacciò dentro le budella urlando a squarciagola e spruzzò sulla ferita una patina gelatinosa. Il medi jet agiva in trenta secondi. Era un rigeneratore organico. Nebulizzava nanoparticelle combinate a molecole di DNA, guarendo e ricreando i tessuti danneggiati. Il meccanismo si ispirava alle stampanti 3D del XXI secolo, usate anche per sintetizzare cibo nei paesi africani ai tempi della Grande Carestia del 2063.
Si alzò in piedi rimirando la miracolosa guarigione, tastandosi quasi con riluttanza la porzione d'addome da cui poco prima fuoriusciva una cascata di visceri sanguinolenti. Ma non poté assaporare in pace quella sensazione: il cronotraveler aveva deciso che era tempo di saltare di nuovo nella centrifuga.

Azionò prontamente la chiusura ermetica del casco e la riserva di ossigeno iniziò a entrare in circolo. Annaspava per riemergere, fortemente impedito dalla tuta spaziale che però almeno lo isolava termicamente. L'acqua del fiume doveva essere gelata. Appena fu a galla fece rientrare la visiera, respirando a pieni polmoni e gettando occhiate tutt'intorno. Lo sovrastava un maestoso castello. Il ponte levatoio era alzato e si ergeva ripiegato proprio di fronte a lui. Scorse una macchia scura farglisi incontro. Alla sua destra occhieggiò una fila di squame. Si alzò qualche spruzzo. Disintegrò il primo coccodrillo proprio mentre gli saltava addosso a fauci spalancate. Le acque ribollirono al contatto col raggio laser, richiamando altre frenetiche chiazze subacquee. Alan sparò all'impazzata intorno a sé finché la spia di alimentazione della pistola iniziò a lampeggiare. Brandelli d'alligatore galleggiavano ovunque: tranci di ventri mollicci e verdi squame legnose.
Ansimando si issò sull'argine, lasciandosi cadere sull'erba soffice. Doveva calmarsi e riprendere fiato. Nuvole spumose come meringhe attraversavano calme il cielo.
Il sensore di movimento non segnalava pericoli. Il cronotraveler non dava segno di vita, col display penosamente muto e i pulsanti che suonavano ciocchi; ma si sarebbe rianimato all'improvviso, lo sapeva, per gettarlo a casaccio in qualche spirale dimensionale.
Sospirando si rimise in piedi. Il ponte levatoio, sulla facciata del castello, sembrava una bocca e i finestroni affrescati erano gli occhi. Sui due torrioni ai lati sventolavano bandiere gialle e blu con un leone rampante incorniciato da uno scudo. In mezzo correva una fitta merlatura. Non c'era passaggio di sentinelle nei camminamenti di guardia. Azionando il jet pack sorvolò in un batter d'occhio l'anello d'acqua infestata e atterrò molleggiando davanti al ponte levatoio, quell'immensa bocca lignea imbronciata. Fece il giro delle mura, quando un grido stridulo lo costrinse ad alzare lo sguardo.
Siete dunque giunto a salvarmi, prode cavaliere?”
Una fanciulla meravigliosa si sbracciava dall'alta torre, calando dalla finestra una lunghissima treccia bionda che arrivava quasi fino a terra. La inquadrò nel visore e ingrandì: gli occhi di un ammaliante turchese, le guance accese di tenue rossore. Una sensualità acerba e irresistibile.
Volle rispondere qualcosa ma fu ricacciato furiosamente nel vortice e risputato in un altro prato, in un altro tempo. Questo però era un giardino, a giudicare dalla cura delle siepi e del manto erboso. Un giardino cosparso di variopinti alberi da frutto e gruppi di cespugli bassi ingemmati di more e lamponi. Una brezza leggera accarezzava le chiome e il fogliame, spandendo un aroma vellutato di vaniglia e miele. Nella donna che gli veniva incontro credette di riconoscere la fanciulla del castello, tanto era bella; di una bellezza surreale, fiabesca. E per di più completamente nuda. I capelli castani ricadevano in ampie volute sulle spalle aggraziate e sui seni bianchi e morbidi. La donna fissava Alan meravigliata dello strano abbigliamento, ma non impaurita. Nel suo sguardo si leggevano curiosità e innocenza.
Io sono Eva”, gli disse avvicinandosi fino a toccare un lembo della tuta spaziale. Ne saggiava la consistenza e disorientata passava a paragonarla alla sua graziosa nudità.
Io sono Alan”, bisbigliò incredulo. Stava per aggiungere “piacere di conoscerti”, ma la frase gli sembrò quantomai fuori luogo e gli si strozzò in gola.
Nel frattempo, come se seguissero la padrona, tantissimi animali, delle specie più diverse, accorrevano dai dintorni e si avvicinavano tranquillamente. C'era qualcosa di insolito. Nell'aria aleggiavano quiete profonda e una serenità quasi inebriante. Il leone non bramava la gazzella che gli saltava leggiadra al fianco, la gazzella non si preoccupava del leone che ruggiva sommessamente. Ed era lo stesso fra tigri e stambecchi, tra leopardi e conigli, tra orsi e volpi. Arcobaleni nascevano all'improvviso fra un laghetto e l'altro, rimbalzando nelle fontane adorne di statue.
Dove siamo?”, domandò Alan.
In risposta udì dei passi giganteschi alle sue spalle. Allibito si voltò e prese a far scorrere lentamente lo sguardo sui sandali ciclopici, su per le gambe, lungo il saio bianco fino al cordone stretto in vita che si perdeva fra le nuvole...
Una voce echeggiò cavernosa e perentoria, ma rassicurante e salvifica al tempo stesso.
Questo è il Paradiso Terr...”
E di nuovo tutto per Alan si perse nei frammenti di quel vorticoso fagocitare. Come una scheggia impazzita turbinava nel tunnel psichedelico tempestato di lampi e scariche elettriche, attendendo sconsolato la prossima meta.

Trascorsero così ancora sei lunghi mesi, spesi a vagare soffertamente per epoche remote e future, in un peregrinare insensato e sfibrante. Il cibo in pillole si stava esaurendo, ne aveva al massimo per un paio di settimane. Aveva imparato che la sua tecnologia era impotente contro la magia e gli incantesimi: se l'era vista brutta nel reame di elfi e fate, quando, scambiatolo per un invasore, per poco non l'avevano tramutato in rospo; per fortuna la regina Liael aveva indovinato le sue pacifiche intenzioni e l'aveva risparmiato, regalandogli anche un sacchetto di monete d'oro. Di ritorno nel suo mondo sarebbe stato ricco. Se mai fosse tornato.

Un bel giorno, nell'ottobre del 1944, mentre si trovava in Germania sotto i bombardamenti, il cronotraveler funzionò di nuovo. Così, di punto in bianco, accadde e basta: premette reset per la milionesima volta, non sperandoci nemmeno più, e invece si ritrovò nel laboratorio da dove era partito sei mesi prima. Solo che era deserto. Il cronotraveler aveva sbagliato di qualche minuto. Doveva approfittarne. Rubò un altro cronotraveler dalla cassaforte a parete: come alcuni degli scienziati coinvolti nel progetto conosceva la combinazione, anche se nessuno avrebbe dovuto. Sentì dei passi in corridoio. Di sicuro era l'altro se stesso, con tutti i colleghi, che si accingeva a lanciare l'esperimento da lui appena concluso. Su un foglio scrisse in tutta fretta, a caratteri molto grandi: “VA BENE IL 1975. BUONA FORTUNA. ADDIO. ALAN” e lo sistemò sotto il monitor del pannello di controllo centrale. Appoggiò sopra la scrivania anche il gruzzoletto di monete donatogli dalla regina delle fate. Sarebbero servite di certo più a loro che a lui. Senza farsi notare sgattaiolò fuori dalla stanza e accovacciato sotto l'ampia vetrata li sentì vociare confusamente a proposito del suo messaggio e dell'oro. Strisciò dentro un altro laboratorio, fortunatamente vuoto anche quello.
Ogni cronotraveler conteneva una scatola nera che registrava tutte le coordinate spazio-temporali raggiunte. Anche se il display era fuori uso, forse le informazioni erano state conservate. Collegò il dispositivo a un elaboratore diagnostico e soffocò a stento un urlo di gioia quando sullo schermo iniziarono a scorrere righe e righe di giorni, mesi e anni. Trasferì i dati nel nuovo cronotraveler appena rubato, scelse la destinazione e dette invio.

Prode cavaliere, siete dunque tornato per salvarmi?”, gridò la fanciulla dalla lunghissima treccia, prigioniera nell'alta torre.
Invero sì, madamigella!”, esclamò Alan azionando il jet pack e librandosi in volo fino alla sua finestra.
Non temete mia signora, vi salverò io. Reggetevi a me”, disse mentre la teneva stretta, sospesa per aria.
Io sono Alan. Qual è il vostro nome di grazia, mia signora?”
Raperonzolo”, rispose spaventata.
Bene, Raperonzolo, fidatevi di me”, disse Alan impostando di nuovo il cronotraveler e sparendo con lei nel gorgo temporale.

Coraggio Eva... assaggiala! E' buonissima vedrai...”, sibilò il serpente.
Eva si guardava intorno perplessa, cercando Adamo per chiedere consiglio. Incalzata dal serpente alla fine si decise. Accostò con titubanza il pomo rosato alle labbra. Al momento del morso però gettò un grido, osservando la mela sgretolarsi in uno sbuffo di fumo, colpita da un accecante raggio rosso.
Ehi tu! Chi sei, cosa credi di fa...”, urlò il serpente ma Alan lo fulminò con un altro colpo di pistola.
Grazie straniero, per un pelo!”, tuonò il gigante in sandali e saio accorrendo trafelato con Adamo al seguito.
Come ti chiami e chi è la fanciulla?” continuò la possente voce da sopra le montagne.
Io mi chiamo Alan, Signore, e questa è la mia ragazza, Raperonzolo. Volevamo chiederLe il permesso di stabilirci qui. Le giuro che siamo entrambi brave persone e seguiremo i Suoi insegnamenti senza disubbidire”, esclamò guardando Raperonzolo che annuiva entusiasta.
Ti credo Alan. So che siete giovani di buon cuore. In virtù di quello che hai appena fatto, concedo molto volentieri a te e alla tua ragazza di vivere qui. In fondo due coppie sono meglio di una. C'è spazio a sufficienza per i figli che vorrete avere, e per i figli dei figli, e i figli dei figli ancora...”

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