venerdì 28 giugno 2013

Il tunnel delle Fiabe Sbagliate

Maria assistette alla scena allibita, con le lacrime agli occhi.
“Tra i biglietti venduti non risulta quello di sua figlia”, sillabò il poliziotto con voce monotona e distaccata.
La donna balbettò qualcosa tentando istintivamente di richiamare i due agenti che stavano salendo in auto.
“Sara aveva scritto il nome sul suo biglietto”, bisbigliò, “un biglietto rosa...”
Ma quelli misero in moto senza profferir parola e l'auto di pattuglia riprese apaticamente la strada fino a sparire all'orizzonte.
Non poteva crederci. Non voleva andarsene ma non sapeva cos'altro fare, a quel punto.
Con la coda dell'occhio vide il turbante azzurro dell'ipnotizzatore scomparire dietro le gabbie dei leoni.
Il giostraio sputò lo stuzzicadenti e le rivolse un ghigno sprezzante. Si passò le mani sudice sulla canottiera e rimase immobile a fissarla. “Vede signora, sua figlia non è mai entrata in quel tunnel. Non l'ho mai vista. Si sbaglia, gliel'ho già detto”, la incalzò.
Maria sentì montare una vampata di collera. Poi qualcosa si mosse fra i cespugli intorno, un verso proruppe dalle scure chiome delle querce e d'un tratto realizzò di essere sola. In un bosco, di notte. Sola di fronte a un losco individuo.
La luna era offuscata. Ogni tanto una folata calciava via cartacce e lattine fra l'erba spelacchiata. Lo sguardo del giostraio mutò. Non era più beffardo, era minaccioso ora. “Vada via”, diceva quello sguardo, “non c'è niente che le sia amico qui”.
E difatti non c'era. Maria tornò al parcheggio quasi di corsa. La sua monovolume le sembrava l'unico posto sicuro, al momento. Aveva bisogno di pensare senza allontanarsi da lì.
Vide le luci del circo spegnersi una dopo l'altra. Sagome grigiastre e curve spingevano le gabbie sotto i tendoni. Finché tutto fu silenzio.
Raccolse il peluche della figlia dal sedile a fianco: una tartaruga gialla con due enormi occhi azzurri da cartone animato. E si sciolse in un pianto convulso.
Sara... scomparsa. Gliel'avevano rapita. Cosa fare se nemmeno la polizia poteva aiutarla? Da chi andare?
Accese il motore sgasando e partì sgommando, coi fari che bucavano la boscaglia.

“Maria... dai, lo sai, hai visto che ore sono? Ti ho detto di non chiamar...”
“Sì sì lo so. Non è per noi. E' per Sara.”
Sandro si riscosse e si staccò dalla parete mettendosi in ascolto bello dritto. “Cos'è successo a Sara?”
“Non al telefono. Vieni a casa mia. Verrei lì io, ma c'è Livia...”
“La mia compagna fa parte della mia famiglia. Devi accettarlo, Maria. Il giudice ha detto...”
“Non m'importa adesso! Nostra figlia è...” urlò Maria. “Scusa...”, continuò poi più pacata. “Scusa. Sì sì, lo so. Tranquillo. L'ho superata ormai. E' giusto che tu faccia la tua vita. Doveva andare così. D'altronde i matrimoni si sfasciano tutti i giorni, no? Comunque, non è questo. Sara...”
“Si è fatta male? Dimmi!”, esclamò Sandro preoccupato.
Dall'altro capo del telefono giunse un sospiro.
“Vieni qui, Sandro. Ti racconterò tutto.”

Entrò trafelato, in pantaloni del pigiama e maglietta bianca. Aveva ancora una copia delle chiavi, anche se a breve avrebbe dovuto restituirla. Maria lo aspettava seduta al tavolo con due tazze di caffè fumanti. Quando Sandro si accomodò iniziò subito a raccontargli della serata.
Quello strano circo. Sara tutta entusiasta all'idea di vedere i clown, e i leoni e le giraffe.
Quel maledetto tunnel delle “Fiabe Sbagliate”. Sara che entrava e che non sarebbe più uscita.
Il giostraio equivoco. I poliziotti in trance che fingevano di sfogliare una mazzetta inesistente di biglietti, alla ricerca di quello rosa con su scritto “Sara” e un cuoricino...
L'uomo più forte del mondo che aveva sollevato un elefante e demolito un'auto a calci e pugni.
E sembrava tutto vero. Il mago che aveva “clonato” un volontario dal pubblico.
“Erano gemelli. D'accordo con quelli del circo... mettono dei complici sugli spalti”, obiettò Sandro.
“Uno guardava l'altro come fosse un fantasma. E l'altro si guardava le mani e si toccava come stupito di essere al mondo, pallido come un morto. Dovevi vedere Sandro... dovevi esserci... sembrava tutto vero. Troppo vero...”, disse Maria con un filo di voce e gli occhi sgranati.
Sandro rimase in silenzio, sorseggiando il caffè giusto per non starsene con le mani in mano.
“L'avranno già portata via. Chissà dove... Cosa possiamo fare?”, implorò Maria.
“Se non sbaglio il circo riparte domani l'altro, giusto?”
Maria annuì.
“A quel che mi dici la polizia è fuori gioco. Allora stanotte ci vado io.”
“Vengo anche io.”, esclamò Maria.
“A te ti conoscono, invece a me anche se mi beccano non possono collegarmi a Sara. E' meglio così. Se è scomparsa in quel tunnel, mi ci intrufolerò. Non è passato molto tempo, magari è ancora lì dentro. E poi tocca a me: è pericoloso e sono suo padre.”
Le sorrise, fermo sull'uscio, col fucile a tracolla. I loro sguardi si incontrarono come non succedeva da anni.

Acquattato fra i cespugli Sandro ispezionava lo spiazzo del circo col binocolo a infrarossi, un souvenir di quando era nell'esercito. Nessuna attività. Il cielo era plumbeo e illune. Non tirava un filo d'aria. Giunse indisturbato fino all'ingresso, due alti pali di legno che reggevano un telone su cui campeggiava in giallo la scritta “CIRCO”.
Strano che non ci fosse un nome o un cognome. “CIRCO” e basta.
Imbracciò il sovrapposto1, tenendo occhi e orecchie ben aperti. Si aspettava di venir assalito da un branco di leoni o dall'uomo forzuto che gli scagliava contro un fuoristrada; o da un gruppo di clown inquietanti che piroettando e saltando gli lanciavano una pioggia di coltelli.
Ma non successe nulla di tutto questo. Sotto i tendoni artisti e animali dello spettacolo ronfavano all'unisono.
A un tratto, mentre si guardava intorno pensieroso, gli saltò all'occhio: il tunnel delle “Fiabe Sbagliate”, dove la parola “Sbagliate” era stata aggiunta a mano, con la vernice che ancora colava, mentre “Fiabe” era stampata in eleganti arzigogoli dorati. Proprio come descrittogli da Maria. L'ingresso era incustodito.

All'interno del tunnel lo spazio si dilatava in modo abnorme, sfociando in un bosco non dissimile da quello all'esterno, con alberi ad alto fusto cupi e spettrali.
Il trenino, abbandonato, era arrugginito e danneggiato in più punti. Non c'erano rotaie su cui potesse scorrere.
Sandro impugnò saldamente il fucile e si addentrò , spiato da mille occhi invisibili e dai sussurri del vento fra le fronde.

Una scia rossa saettò davanti a lui, facendolo trasalire. Intravvide un mantello volare a filo d'erba, rapido come un battito di ciglia. Con circospezione ne seguì le tracce fino a una casetta in legno. Dal comignolo un rivolo di fumo grigio si sfilacciava pigramente sotto una luna diafana.
Attirato da un brusio costante si accovacciò sotto la finestra. Due voci gli giungevano chiare.
“Nonnina, che orecchie grandi che hai...”
“Per sentirti meglio, nipotina mia...”
“Nonnina, ma che occhi grandi che hai...”
“Per vederti meglio, nipotina mia...”
“Nonnina... lo so che sei il lupo!”
Poi dentro si scatenò il finimondo: urla, latrati, tonfi, roba che andava in pezzi...
Sandro sfondò la finestra e irruppe.
Quella che sembrava una ragazzina con la mantellina scarlatta si drizzò sul letto, staccandosi dall'ammasso peloso, con la bocca e il viso lordi di sangue.
“Filetto di lupo alla tartara, vuoi favorire?!”, gli urlò contro trasfigurata in un ghigno animalesco e demoniaco.
Sandro si precipitò fuori spalancando la porta con un calcio e mettendosi a correre a perdifiato.
La ragazzina intanto si era ributtata a capofitto sulle viscere della carcassa, saziandosene perversamente.

Ansimando, seduto sotto un albero, Sandro guardava ancora in direzione della casetta, incredulo e scioccato.
“Presto che è tardi presto che è tardi!”
Un coniglio trotterellava verso di lui controllando ossessivamente un orologio da taschino.
Avanzava in posizione eretta. Indossava un elegante panciotto grigio, portava un monocolo e calzava un cappello a cilindro.
“Presto che è tardi presto che è tardi!”, ripeteva zampettando.
D'un tratto una fucilata gli fece saltare la testa, troncando a metà anche la frase.
Sandro sussultò. Si mise in piedi, ma stando ben attento a non sporgersi dal tronco dell'albero.
Una bambinetta con le treccine avanzava a passo spedito, con una doppietta aperta appoggiata sulla spalla. Sulla maglietta spiccava la scritta “Alice rules”.
“Adesso non è più tardi, hai tutto il tempo che vuoi, schifoso!”, esclamò la ragazzina sputando sulla testa del coniglio rotolata a qualche metro dal corpo martoriato.

Sandro calpestò inavvertitamente un ramo secco. La bimba ricaricò la doppietta in un lampo e fece esplodere una nuvola di corteccia. Sandro si gettò a terra finendo allo scoperto.
“Ah ah tana per te! Chi diavolo sei?”, berciò la marmocchia.
Sandro non riuscì a rispondere nulla .“Alice nel paese delle meraviglie...”, sussurrò pensando ad alta voce.
“Io sono Alice, ma questo è lo stronzo paese delle meraviglie!”, urlò puntandogli contro il fucile.
“Guarda, c'è lo Stregatto!”, gridò Sandro indicando alle sue spalle.
“Dove cazzo è?”, farfugliò Alice pronta a sfracellarlo di pallettoni.
Approfittando dell'attimo di distrazione le fu addosso. Con una mano bloccò la doppietta puntandola a terra e con l'altra le sferrò un tremendo diretto in pieno viso.
Alice cadde all'indietro senza fare un fiato, col naso ridotto a una poltiglia sanguinolenta e la mascella probabilmente fratturata.

“Papà papà!”, Sara gli corse incontro sbucando da un cespuglio e gli saltò al collo.
Sandro la strinse forte, chiudendo gli occhi. “Sara...! Dov'eri finita? Cos'è successo?”
“Durante il giro sono caduta dal trenino”, spiegò in lacrime. “Andava veloce, prendeva le buche, saltava... sono caduta fuori. Ho trovato una casetta e mi sono riposata un po' lì dentro. Poi sono arrivati tre orsi, mi sono spaventata e sono fuggita nel bosco. Ho sentito gli spari, ti ho visto e... papà che hai fatto? L'hai uccisa?!”, disse poi singhiozzando più forte, guardando ora Sandro ora Alice riversa a terra.
“No... ehm...”, farfugliò Sandro, “ diceva le parolacce. Ecco. Diceva un sacco di parolacce. Non si dicono le parolacce... d'accordo piccola?”
Sara annuiva, bianca come un lenzuolo, gli occhi sbarrati e colmi di paura.

E così uscirono dal tunnel, Sara in braccio al papà, e senza incontrare altri ostacoli tornarono a casa da Maria, che li accolse piangendo di gioia.
Il giorno dopo quel misterioso circo scomparve senza lasciare traccia e non se ne seppe più nulla.
Maria e Sandro si riavvicinarono. Lei gli permise di farle visita più spesso, con la scusa di sbrigare piccole riparazioni domestiche. Da cosa nacque cosa e... vissero per sempre felici e contenti.
Un po' meno Sara, che a causa degli incubi (sognava suo padre che fracassava teste di bambini) divenne dipendente dagli psicofarmaci. In compenso però non disse mai più una parolaccia in vita sua.

1Fucile da tiro, con le canne una sotto l'altra, a differenza della doppietta, che ha le canne una di fianco all'altra.

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