venerdì 14 dicembre 2012

Alla fine dell'arcobaleno

La stanza era scarna, in linea con la sobrietà smorta e decadente di un bunker post-atomico: un tavolo e due sedie, il tutto rigorosamente in acciaio. Il commissario Rigoni osservava pensieroso il sospettato dalla parete a specchio adiacente alla sala interrogatori. “Che ne pensi?”, sibilò. L'ispettore Bianchi era perplesso quanto lui. Aspirò una lunga boccata dalla marlboro e soffiò lentamente il fumo. “Penso che questo mestiere mi porterà alla tomba, ecco che ne penso”, sorrise amaramente, “è la ventesima da stamattina!”, sbottò poi spegnendo con rabbia il mozzicone. Il posacenere tintinnò pesantemente. “Secondo te dice la verità?”, chiese Rigoni sconsolato. Bianchi ormai non si preoccupava più di recitare la parte dello “sbirro cattivo” e poteva anche lui concedersi una leggera afflizione. Attaccò quindi con voce fiacca e demoralizzata: “Sono dieci ore che lo torchiamo. Guardalo... è nervoso, se la fa sotto... osserva le mani... e come si guarda in giro spaesato. Per me non sta mentendo... certo che se quella è la verità...”
Hanno trovato solo la testa. Nessuna impronta digitale sopra. Aveva addosso il sangue della vittima. Le orme erano confuse. Cristo! E' un ragazzino, quanti anni ha? 17...?”, chiese il commissario continuando ad osservarlo.
18 appena compiuti”, rispose l'ispettore sfogliando il fascicolo e ingurgitando frettolosamente un sorso del loro caffè da sbirri, lungo, freddo e insipido. “ Manca il movente. Ma è l'unico sospettato e non c'è niente e nessuno che lo scagioni. L'ultimo ad aver visto viva la vittima... Questo caffè è un altro chiodo sulla mia bara!”, sbuffò giocherellando col pacchetto di sigarette. “Ne ho visti di psicopatici nella mia carriera...”, continuò, “individui capaci di fare a pezzi la madre, metterla in lavatrice e pasteggiare a ostriche e champagne mentre rimirano estasiati il vorticare del cestello; gente che poi ti guarda con due occhi da cerbiatto... innocenti come pargoli, che se non li avessi sorpresi coperti di sangue, col coltello a mezz'aria, a mangiare pezzi di cervello dal cadavere ancora caldo avresti scommesso che non c'entravano! Schizofrenici e sociopatici per tutti i gusti, assassini nati o per divertimento, per noia, per miliardi e miliardi di motivi quante sono le rotelle sballate nel loro cervello schifoso e putrido!”. Si passò una mano fra la folta chioma brizzolata e sospirò prendendosi il viso fra le mani. “Ma lui no”, riprese, “non è questo il caso. Sarebbe il più grande figlio di puttana di tutti i tempi, che prende per il culo due agenti pluridecorati con trent'anni di carriera!”
Rigoni si staccò dal vetro e alzò gli occhi al grande oblò ingiallito: erano quasi le due di notte. Per un attimo sperò che Bianchi gli battesse sulla spalla e gli dicesse “Per oggi basta dai, andiamo a casa, riprendiamo domani”. Si vergognò subito per quel pensiero. Quel ragazzo di là si giocava la vita. Forse era innocente, ma per come stavano le cose sarebbe di certo stato condannato: ergastolo. Sedette di fronte al collega, si fece scivolare il dossier sotto il naso e lo aprì con gesto energico, volutamente plateale. “Dunque, cosa abbiamo: ricapitoliamo! Vediamo di nuovo la dichiarazione dell'imputato”
Bianchi annuì, si accese l'ennesima sigaretta e cominciò: “Ieri l'altro, la sera di domenica 10 giugno l'imputato riceve una telefonata dalla vittima, un suo amico...”, scolò gli ultimi sorsi di brodaglia alla caffeina e si sgranchì collo e braccia dondolandosi sulla sedia, “...che gli propone di vedersi al solito pub. Sono le dieci. I tabulati e le triangolazioni dei cellulari confermano posizione e orario... 32 secondi, una chiamata breve: plausibile. I due si incontrano fuori dal pub e senza perdere tempo ordinano due birre e si mettono al tavolo in fondo, vicino alla finestra, quello più appartato”.
Esatto”, continuò Rigoni, “l'imputato... Roberto ha detto che Stefano, l'amico, non voleva che nessuno sentisse, era molto agitato, molto su di giri”.
Il tossicologico però è risultato negativo, vero?”
Si, niente droghe, era pulito”
Bene, andiamo avanti”, sentenziò Bianchi.
Ok, ecco... qui c'è il fatto... l'amico, la vittima, gli dice di aver visto uno gnomo sotto l'arcobaleno”. Rigoni fece una pausa. Bianchi sospirò, ma si sforzò di non tergiversare. “Avete verificato il meteo?”
Si, giornata soleggiata; aveva piovuto dalle dieci alle undici nella zona della presunta tana, in via Stroppato”
Si, la conosco, è in campagna, c'è una discarica nelle vicinanze”
Esatto, Stefano ci era andato in moto, per fare un po' di fuoristrada, ci andavano spesso. Testuali parole: Stefano mi dice di aver visto un nano uscire da un buco sotto l'arcobaleno. Era vestito di pelli, secondo lui era uno gnomo. Sapete cosa si dice degli gnomi e degli arcobaleni...”
L'ispettore e il commissario si scambiarono un cenno d'intesa. Bianchi intanto accendeva la quinta sigaretta dalla fine dell'interrogatorio. “Eggià”, sussurrò, “la pentola d'oro. Va avanti”
Ok”, rispose Rigoni, “Stefano convince Roberto a tornare sul posto il giorno dopo, ieri sera. Come d'accordo ci si recano in moto, alle 23 e 30 circa. La Yamaha YZF 250 della vittima è stata ritrovata poco distante”
Abbiamo testimoni che confermino gli spostamenti dei due soggetti fino a questo momento?”
Si, la madre di Stefano per l'uscita del figlio di domenica mattina e i genitori di Roberto per quella di lunedì, la sera dell'omicidio. Erano in casa. Hanno sentito un colpo di clacson e il trillo del cellulare dal piano di sopra. Il padre ha scostato le tendine e ha visto chiaramente Stefano che aspettava davanti al vialetto d'ingresso col motore acceso. Roberto in tutta fretta è saltato in sella (la sua Suzuki la tiene sempre parcheggiata nel giardino) e ha seguito l'amico. Ecco, quello che sappiamo per certo finisce qui. Da qui in poi solo lui sa la verità”
Bianchi e Rigoni guardarono all'unisono al di là del vetro. Il ragazzo stava immobile e composto sulla sedia, i gomiti sul tavolo e le mani intrecciate a sorreggere il mento.
Andiamo”, disse Bianchi risoluto, “voglio parlarci ancora una volta”
Come entrarono nella stanza, Roberto trasalì e schizzò in piedi quasi in lacrime. “Come devo dirvelo??! Non l'ho ucciso io, sono innocente!”, urlò. I due agenti presero posto in silenzio di fronte a lui, a braccia conserte.
Calmati. Raccontaci tutto un'altra volta. Da quando siete arrivati alla... tana. Dai, forza.”
Dai loro sguardi Roberto capì che come lui cercavano la più piccola speranza, il più piccolo pretesto per sovvertire un verdetto già scritto. Ne fu straordinariamente stupito e commosso. Contro i mulini a vento. Era spacciato, ma almeno non era solo. Quei due erano lì con lui alle tre di notte, in quello stanzino squallido. Anziché essere a letto con le mogli magari. Forse erano persone oneste. Forse erano gli scudieri più indicati per quella battaglia e lui non doveva cedere proprio adesso. Calma e sangue freddo! Un lungo respiro e concentrazione. Raccontare tutto nel modo più preciso ed esaustivo possibile, finché c'era ancora qualcuno disposto ad ascoltare. “Siamo arrivati lì verso le 11 e 40. In via Stroppato. Abbiamo spento le moto un chilometro prima per non farci sentire. Le abbiamo spinte fino allo stradino, le abbiamo appoggiate contro la montaletta e abbiamo continuato a piedi. Ci siamo arrampicati per la salitella e siamo arrivati sul prato. Non c'era nessuno, naturalmente. Avevamo due torce. Siamo andati a quel buco. Stefano è entrato per primo. Stava davanti a me. L'apertura era piccola, ci si passava carponi e ci si stava giusti giusti. Dopo una ventina di metri che scendevamo giù ripidi siamo arrivati a un grande spiazzo pianeggiante. Era una stanza sotterranea più ampia. Ci siamo messi in piedi, il soffitto sarà stato alto tre metri. Illuminavamo con le torce ma non c'era nulla. Cercavamo qualcosa che assomigliasse alla pentola, un contenitore qualsiasi. Poi è sbucato.”
Lo gnomo?”, chiese Rigoni.
Non so cosa fosse. Di certo l'assassino.”
I due poliziotti si lanciarono un'occhiata preoccupata. Roberto proseguì: “Doveva esserci un varco nella parete, non si vedeva niente, è spuntato dalla nostra sinistra, all'improvviso. Si è lanciato senza una parola su Stefano. Io ero dietro di lui. Gli si è avvinghiato alla pancia. Gli è caduta la torcia. Era tutto buio. Nel mio fascio di luce la testa di quel tizio smastricciava la pancia di Stefano. Grufolava come un maiale. Stefano urlava e si dimenava, vedevo il sangue che scorreva. Ho gridato lascialo! Ma niente. Mi sono avventato e l'ho colpito con la torcia. Si è staccato da Stefano, che è caduto a terra, e si è voltato verso di me. L'ho visto bene per qualche secondo. Aveva la statura di un nano, ma il volto... non so se era deforme o se era un animale. Non parlava, non ha detto una parola. Grugniva, tipo.”
Riusciresti a descriverlo?”, domandò Bianchi.
La faccia era larga, squadrata. I capelli erano radi e lunghi fino alle spalle. Tutti unti, lerci. Anche la faccia era sozza. Di terra credo, aveva chiazze marroni. I denti erano piccoli e aguzzi. La bocca era insanguinata, sbavava”. Si fermò un istante e chiese un bicchier d'acqua. Rigoni incaricò un agente che zelante tornò anche con un kit kat. Dopo una breve pausa continuò: “Gli occhi erano come quelli dei cani, marroni e liquidi, con la pupilla molto grande. Non indossava vestiti, erano peli. Era ricoperto di una folta peluria marrone, su tutto il corpo. Solo il muso era glabro. E' rimasto fermo per qualche secondo. Ero impietrito, non sapevo che fare. Si è lanciato su di me. Correva a quattro zampe. Mi è saltato alla gola e mi sono ritrovato a terra con quel mostro sopra. Stefano si lamentava nell'ombra”
E come mai non hai ferite o graffi, quella... cosa... aveva artigli affilati, hai detto nella precedente deposizione...”
Si, aveva unghie lunghe, ricurve e taglienti, non ho mentito! Sto dicendo la verità, cazzo! E' tutto il giorno che dico la verità!”
Va bene, stiamo solo cercando di capire”, lo ammansì l'ispettore.
E' durato pochi istanti, mi era sopra, come dicevo, e voleva azzannarmi alla gola. Gli tenevo distante la testa con tutte e due le mani, avevo i jeans e una maglietta a maniche lunghe, per quello forse non mi ha graffiato. Io l'ho graffiato invece. Anche se mi faceva ribrezzo conficcavo le unghie in quella faccia schifosa, gli ho calzato il pollice in un occhio, volevo cavarglielo! Ho sentito che affondava nel morbido... Stefano piangeva, non lo vedevo ma era gravemente ferito. Ho colpito quel mostro con la torcia più forte che potevo, nell'occhio. Una volta, due, con tutta la rabbia e la disperazione che avevo in corpo. Ha lanciato un grido, come un fortissimo ringhio. In un lampo è saltato via. Gli ho puntato la luce addosso in tempo per vederlo trascinare via Stefano per un piede, nello stesso varco da cui era apparso. E' stato velocissimo. Ho illuminato il buco ma niente. Ho chiamato due volte Stefano: niente. A quel punto che potevo fare? Seguirlo? Senza un'arma? Anche volendo non l'avrei mai raggiunto. E se là sotto c'erano altri tunnel... se c'erano gallerie che si snodavano ovunque che fine avrei fatto?!”
Bianchi sussultò, il volto gli si era illuminato in un sorriso. I due lo guardavano stupiti.
Hai detto che l'hai graffiato, no?”
Roberto annuì.
Dimmi che non ti sei lavato le mani!”
Ci pensò un po' su poi scosse la testa. “Purtroppo no, da quando mi avete prelevato con tutto il casino non ne ho avuto modo...”
Bene!”, esclamò Bianchi ad alta voce afferrando il telefono. “Sono l'ispettore capo Ernesto Bianchi, vorrei parlare col tenente Baldelli della scientifica... ok... Baldelli? Corri qui in sala interrogatori, c'è del DNA che ti aspetta!”
Mezz'ora più tardi un signore sulla cinquantina, alto, corpulento e leggermente stempiato faceva il suo ingresso con aria seccata. “Ma lo sai che ore sono?!”, apostrofò Bianchi prima ancora di salutare Rigoni con un cenno del capo.
Si, scusa, ma è urgentissimo! Fammi questo favore, ti offro una cena, dai!”
Aggiudicato! Venerdì sera, pesce! Il locale lo scelgo io, ti faccio sapere”, sorrise Baldelli appoggiando la valigetta con gli attrezzi sul tavolo e aggiustandosi le piccole lenti rettangolari. “Facciamo pesce del più prelibato, con vini più che adeguati... però voglio i risultati prima di ieri, ok Baldo?”, ammiccò l'ispettore.
Ok, affare fatto!”
Mentre si stropicciava gli occhi Bianchi controllò che sua moglie non si fosse svegliata. Sul comodino il cellulare vibrava irradiando una luce tremula. Gettò un'occhiata alla sveglia: le tre e mezza. Spense il telefono e sgattaiolò dal letto e dalla stanza con passo felpato, fissando la moglie che girata su un fianco russava sommessamente. Quando fu al sicuro in cucina, chiuse la porta e controllò le chiamate ricevute: era la centrale.
Ho i risultati”. La voce di Baldelli era incerta.
Poi solo un lieve fruscio di fondo.
... allora? Su, forza, non tenermi sulle spine!”
Il DNA non è umano”
E di che animale è?”
Altro vuoto di esitazione.
Non te lo so dire. Nessun tipo di animale conosciuto.”
Bianchi abbozzò un sorriso: “Forse i mulini a vento non sono poi così imbattibili”.

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