Aprì lentamente gli occhi. La fredda
luce dell'alba filtrava dagli scuri. Attese qualche istante, poi
iniziò a scostare il piumone con cautela, lanciando rapide occhiate
alla moglie girata su un fianco. Raccolse al buio i vestiti preparati
la sera prima, sulla sedia di vimini accanto al basso comò di
rovere. Si sforzò di attraversare il parquet a grandi falcate
leggerissime. Richiuse piano la porta, tenendo fino all'ultimo gli
occhi sui capelli biondo paglia che sbucavano dal piumone e si
stagliavano nella grande testata in legno scuro. Volle credere di non
averla svegliata, ma in fondo sapeva che di lì a poco l'avrebbe
vista alla finestra.
Arrivato in cucina aprì le tende e
sbirciò il tempo. Era sereno, le chiome degli alberi quasi immobili.
Con gesti lenti preparò la moka e la sistemò sul fornello. Tirò
fuori dalla credenza la crostata ai mirtilli. Sorrise pensando
all'anno passato, quando si era messo in marcia sotto il diluvio,
abbagliato dai fulmini e stordito dai tuoni. Lo zainetto era sotto il
tavolo, pronto dalla sera prima come i vestiti. Dentro non c'erano
funi, picchetti e moschettoni, ma tre pagnottelle, del pecorino, una
bottiglia d'acqua e il cellulare per le emergenze. Finora non gli era
mai servito, grazie a Dio, pensò mentre sorseggiava il caffè e si
tagliava due grosse fette di crostata. Si preoccupò di non fare
troppo rumore scostando il pesante portone di legno. Una folata di
brezza lo investì fredda e pungente, ma piacevolissima. Calzò il
berretto in testa, si stiracchiò e si sgranchì un po' le gambe; le
due ore di cammino che lo attendevano sarebbero state un
riscaldamento sufficiente.
Appena imboccato l'umido sentiero tra
le querce si voltò a guardare la baita d'abete rosso con tetto in
pietra. L'aveva costruita tutto da solo. Passo passo, anno dopo anno,
aveva dato forma alla casa che sognava fin da bambino. La famiglia e
gli amici non avevano mai capito perché fosse andato a vivere
proprio lì, proprio in quel momento.
Dal piccolo comignolo si levò un
flebile rivolo di fumo che pigramente scemava nel cielo ora più
limpido. La tendina ornata di girasoli si scostò leggermente e
apparve sua moglie che come sempre lo salutava avvolta nella grande
coperta rosa, con una tazza fumante in mano e il solito sorriso
affettuosamente beffardo: ormai lo beccava sempre. Pazienza, questo
non avrebbe di certo sminuito la sua impresa. Le rivolse
scherzosamente un “attenti” militaresco e si voltò a proseguire
il cammino.
Un sole più energico bucava le chiome
delle querce e dei faggi, ne risplendevano i cespugli screziati di
anemoni viola e bianchi. Seguiva i suoi pensieri a testa bassa, al
ritmo degli scarponi sempre più inzaccherati. La sua era stata una
fuga, un tirarsi indietro? I genitori pensavano di sì. Quante
litigate al crepitio del fuoco, con la neve che planava soffice fuori
dalla finestra! In fondo era felice. O credeva solo di esserlo?
Un'ombra gli tagliò la strada, alzò la testa di scatto e intravvide
un falco sfrecciare tra il verde delle fronde nell'azzurro del cielo.
In quel punto il sentiero si allargava, il bosco si diradava e
cominciava a scorgersi la parete. Per chi lo faceva in realtà? Gli
apparve l'amorevole sorriso della moglie: per vent'anni l'aveva forse
ingannata?
Corse col pensiero alla fotografia: i
capelli sempre biondi, ma un po' più lunghi; incantevoli occhi
azzurri al posto di quelli marroni e invece della coperta rosa una
sgargiante giacca a vento rossa bianca e blu. Non era necessario che
lei sapesse. Non era più quell'uomo. Sua moglie si era innamorata
del taglialegna solitario e gentile che era diventato. Tacere
significa mentire? No, non aveva mai finto. In entrambe le vite era
stato onesto e leale. E molto innamorato. La tragedia l'aveva
trasformato. Di colpo via dalla grande città, dal lavoro e dagli
amici. Verso un nuovo inizio. Proprio in quel luogo.
Infilò il piede destro nella piccola
rientranza e allungò il braccio sinistro sul groviglio di arbusti
che sbucavano dall'ampia fessura. I gesti si susseguivano
automaticamente, si arrampicava sicuro e tranquillo.
Iniziava a sudare sotto la camicia di
pile, ma continuava spedito. Dopo un quarto d'ora giunse al primo
spiazzo. Appoggiò lo zaino a terra e si stese a sedere, allungando
le gambe. Aveva le spalle un po' indolenzite. Laggiù, una decina di
metri più in basso, uno scoiattolo annusava le sue impronte
sgranocchiando il pezzettino di formaggio che gli aveva gettato.
Anche lui lassù mangiava, a piccoli morsi, seguendo due nuvolette
che passavano lentamente. Si sdraiò supino e rimase a contemplare il
cielo terso. Anche con lei, quella volta, si erano fermati lì.
Mentre si issava a fatica sulla vetta,
di nuovo la visione della rudimentale capannina di cemento e mattoni
grigi lo rincuorò profondamente.
“Ciao Angela”, esclamò
inginocchiandosi. La ragazza gli sorrideva dalla fotografia. Indugiò
a lungo, con le lacrime agli occhi, sui vaporosi capelli biondi e sui
sorridenti occhi celesti. La giacca a vento era la stessa che
indossava quel giorno, quella rossa bianca e blu. Aveva anche lo
stesso sorriso, quel giorno, quando scherzavano felici per
quell'arrampicata fuori programma, in quel piccolo rifugio tutto per
loro.
Si recò nel punto dove era scivolata.
Poco distante il gruppo di stelle alpine resisteva ancora.
“Sono tornato”, disse spalancando
il portone e pulendosi gli scarponi. Sua moglie lo aspettava ancora
avvolta nella coperta rosa, con un sorriso raggiante. Il fuoco
crepitava vivacemente, l'orologio a cucù sul caminetto faceva l'una.
La tavola era imbandita di cappelletti fumanti, un vassoio d'arrosto
misto, uno stinco di maiale al forno e una torta di mele fatta in
casa.
“Ta-daaan!!! Buon anniversario amore
mio!”, esclamò facendo apparire da dietro la schiena una stella
alpina.
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