martedì 13 novembre 2012

La Quarta Guerra Mondiale

“E' quasi pronto...”, gli sorrise facendo capolino nella stanza.
“Si Ma', un minuto e arrivo”, rispose continuando a fissare il monitor olografico.
Mentre digitava sul piano cottura pensò a quanto suo figlio si impegnasse negli studi e si sentì molto orgogliosa.
Marco frequentava la facoltà di Bio-robotica e benché fosse solo al primo anno aveva già passato cinque esami col massimo dei voti: una cosa più unica che rara.
Anna inserì tre capsule variopinte nella fessura e spinse il bottone. L'oblò del forno si animò come una centrifuga, brillando di tanto in tanto di riflessi cangianti. L'amalgama prese forma velocemente finché, annunciati da un leggero bip, emersero sul ripiano laccato bianco un pollo arrosto fumante, un cubo di purè e una piramide di pisellini.
“Eccomi, pronti!”, esclamò Marco precipitandosi a tavola col libro sottobraccio.
“Che studiavi di bello?”, chiese sua madre guardando un po' preoccupata fuori dalla finestra.
“Lunedì ho l'orale di storia antica, dal ventunesimo al ventiquattresimo secolo. Si, ma tanto non è un fondamentale. Papà ancora non è tornato?”, domandò Marco mentre la pelle del polso sinistro si raggrumava leggermente e l'orario prendeva forma a fosfori verdi.
Intanto i due soli cerulei stavano quasi tramontando. La tempesta di sabbia imperversava, gli anelli purpurei di π564-bis si intravvedevano a stento nel marasma di pulviscolo ocra.

La saracinesca dell'ingresso in fibra di carbonio scattò con un sibilo.
“Che tempaccio! Ce l'ho fatta, sono tornato finalmente”, disse sganciandosi il casco.
La moglie fece un sospiro di sollievo. “Ero in pensiero, vieni a tavola dai, ho appena preparato”.
L'uomo sganciò il bottone sulla spalla sinistra, la tuta si aprì sul davanti e si afflosciò alle caviglie con un lieve sbuffo. La raccolse alla rinfusa, le diede due o tre pacche per scrollare la patina giallastra e la affibbiò all'appendiabiti che emerse automaticamente dal muro alla sua sinistra.
“Com'è andata al lavoro?”, chiese Anna.
“Ciao Ba'”, fece Marco che aveva già iniziato a mangiare.
“E aspetta!”, lo redarguì bonariamente la madre.
Marco sorrise verso il padre che, come sapeva, non aveva nessuna intenzione di arrabbiarsi.
“Due scatole al lavoro!”, esclamò Luigi seccato. “Sono stato tutto il giorno dietro al nuovo arrivato a spiegargli come riprogrammare le CPU dei cyborg. Vabbeh, almeno è un ragazzo sveglio”.
“Avete ancora cyborg? Credevo ci fossero solo robot ormai...”, bofonchiò Marco spiluccando un cosciotto.
“Non produciamo più cyborg”, rispose Luigi sedendosi e riempiendosi il piatto di purè e piselli, “ma quelli ancora funzionanti li abbiamo tenuti. Te lo dicevo anche l'altra volta: i costi dei materiali sono al ribasso e si spende meno a costruire robot ex-novo che a convertire esseri umani”.
“Da quando poi non si possono più usare i cadaveri...”, aggiunse Anna che nel frattempo aveva preso posto a capotavola e si era servita, “com'è il pollo ragazzi? A me non dispiace”.
“Uhm... buono, buono”, risposero in coro Luigi e Marco scambiandosi sguardi d'intesa.
“Eggià...”, continuò Luigi, “a parte i carcerati nessuno dà il consenso per farsi convertire”.
“E ti credo...”, fece Anna, “quelli lo fanno perché così li mettono all'aperto, ai lavori socialmente utili: scavare gallerie, sgombrare macerie...”.
“Oppure roba pesante”, intervenne Marco, “li usano nei programmi di pulizia spaziale: recuperare frammenti di asteroidi, rottami di sonde, astronavi, velivoli, vero ba'?”.
“Uhm”, asserì Luigi col capo trangugiando una cucchiaiata di purè.
“I cyborg sono un casino, troppi rischi, mantengono emozioni umane”, spiegò Marco. “Nella rivolta del duemilacentododici morirono quasi cinquemila persone. L'ho studiato oggi. Devo dare l'esame di storia, lunedì”.
“E' vero. I cyborg conservano sempre un minimo di volontà propria, non sei mai sicuro al cento per cento. Una reminiscenza dell'umano, così la chiama il mio supervisore”, disse Luigi, “anche se al posto del cervello hanno un computer, alla fine la sinergia col tessuto vivente gli dà sempre quel qualcosa di sballato, di astruso...”
“... di umano”, disse Anna.
Nel frattempo era calata la notte e la tempesta non accennava a diminuire. Lo scudo a elettroni garantiva un'assoluta insonorizzazione, ammutolendo il sinistro e furioso ululare del vento.
“Durerà almeno fino a domenica”, sospirò Anna cominciando a sparecchiare.
“Almeno si potesse stare a casa...”, sorrise Luigi, “con sti cosi del teletrasporto non si sfugge, non si salta un giorno... eh... beati gli antenati...”.
“Eggià”, fece Marco, “ho letto che una volta c'erano le malattie. E se ti ammalavi non andavi a lavorare, e nemmeno a scuola”.
“Si”, intervenne Anna, “Nella vecchia Terra. Fino al duemilaottantaquattro. Poi è iniziata la manipolazione genetica dei feti. Ho dato una sbirciata ai tuoi libri quando non c'eri”, ammiccò al figlio.
Marco sorrise. “A proposito di teletrasporto...”, iniziò, “volete sentire quello che studiavo? Così mi aiutate a ripassare, tanto mi sa che co sto tempo non si va da nessuna parte...”.
“Ok, ripetici la lezione!”, esclamarono in coro moglie e marito.
Marco sfiorò con la mano il sensore sulla parete e la finestra si oscurò.
“Dunque”, attaccò, “le basi per lo sviluppo del moderno teletrasporto, cioè non più di particelle subatomiche ma di esseri multicellulari, furono gettate nel duemiladodici con la scoperta del Bosone di Higgs, già teorizzato cinquant'anni prima, dal britannico Peter Higgs appunto. Fu scoperto in un centro di ricerca della città di Ginevra, nella vecchia Terra. Da lì a sessant'anni cadde un altro tabù su cui si erano arrovellati i fisici di tutto il mondo: la materia e l'energia oscura, che costituiscono il novantasei per cento dell'universo.
“Ma allora gli antichi erano degli asini... non sapevano un tubo”, scherzò Luigi.
“Eddai papà... fammi finire”, sbottò Marco non riuscendo a trattenere le risa.
“Dai, dai”, fece mamma.
“Allora... vado veloce se no non ci arrivo più... si scoprì che la materia oscura era composta essenzialmente di neutrini e tachioni e che altro non era se non energia oscura a cui il bosone di Higgs aveva conferito una massa.”
Anna accennò ad attivare la trasparenza delle finestre ma una smorfia di disappunto e delusione di Marco la fece desistere.
“Dicevo...”, riprese Marco sorridendo, “si scoprì poi che bombardando di raggi Beta i tachioni presenti nella materia oscura questi prendevano, ummhh... agganciavano la materia ordinaria, generando settanta TeV di energia”.
“Se non sbaglio era proprio quello il problema: ci voleva troppa energia, giusto?”, disse Luigi.
“Esatto! Quindi, una volta superato quell'inconveniente, visto che i tachioni sono più veloci della luce... sshhhh!”, Marco mimò il balenare di un fulmine, “proprio i tachioni divennero il mezzo su cui viaggiava la materia nel teletrasporto!”.
“Bravo!”, esclamò Anna, schiarendo la finestra sull'infuriare della tempesta. Nel buio la sabbia vorticava in gorghi fosforescenti.
“E quando fu inventato il primo aggeggio per il teletrasporto di esseri umani? Tipo quello che abbiamo qui fuori?”, chiese il padre.
“Fu inventato nel duemiladuecentotré da un ingegnere aerospaziale americano, Tom Riggs”.
Tutti e tre corsero col pensiero al dispositivo di fronte a casa: un anello di quarzo e platino alto venti centimetri, fissato al suolo da un sistema di compressione gravitazionale.

“Adesso ti interrogo io”, fece Luigi. Raccolse con circospezione il libro del figlio e sfogliò attentamente qualche pagina.
“Parlami del disastro che decretò la fine della vecchia Terra”.
Marco sorrise pregustando la trionfale spiegazione.
“Dopo l'invenzione del teletrasporto naturalmente tutte le grandi potenze erano consapevoli dell'enorme minaccia che questo rappresentava per i traffici commerciali”, iniziò, “sarebbero fallite tutte le compagnie aeree, non avrebbero avuto più senso i cantieri navali, tutte le infrastrutture: ponti, autostrade... se chiunque avesse potuto trovarsi all'istante in qualsiasi punto del pianeta. Vado avanti?”.
Sua madre aveva cominciato a sparecchiare e andava e veniva dalla cucina, il suo modo per dire che avrebbe seguito la conversazione in maniera più disinvolta.
“Si, si”, disse Luigi, “tira dritto, io ti ascolto senza interrompere”.
“Ok. All'inizio le macchine per il teletrasporto erano un parallelepipedo di un metro quadro per base, alto circa due metri e mezzo. Fino al duemilatrecento ne esistevano solo dieci al mondo, tutti di proprietà della Instant Voyager, una holding multimiliardaria di più compagnie di trasporto, per la maggior parte finlandesi e spagnole. Avevano impiantato uno di quegli apparecchi, si chiamava Flash Tremila, davanti alla loro sede centrale, a Helsinki. Quell'unità era collegata alle altre nove dislocate a Roma, Parigi, New York, Vienna, Madrid, Mosca... poi non ricordo... vabbeh, comunque... Questa Instant Voyager aveva il monopolio del Flash Tremila e stava studiando come espandersi a dismisura e moltiplicare all'infinito i profitti... e fu qui che successe il fattaccio. Sai cos'è un cronovisore?”.
“Si, l'ho visto al museo”, disse Luigi aggrottando la fronte, “è una sfera, non mi ricordo di cosa è fatta, è una sfera che ti fa vedere il passato e il futuro, giusto?”.
“Esatto. Fu inventata molto prima del teletrasporto, nel duemilacentouno. E' fatta di una lega di rame e berillio. Al suo interno viene ricreata una singolarità, un buco nero di circa venti centimetri che apre un varco nel tessuto temporale. E' collegata a un tastierino numerico con cui si imposta l'anno da rintracciare. Da quando si acquisirono sempre più conoscenze sull'energia oscura, si arrivò poi ben presto a manipolare il continuum spazio-tempo. Ovviamente nessuno doveva cambiare il passato, se no sai che casino con tutti i paradossi...
Nel duemilacentocinquantasette ci fu un'altra svolta importantissima: lo scienziato spagnolo Alejandro Hernandez dimostrò che era impossibile viaggiare nel tempo, ci si poteva teletrasportare solo attraverso lo spazio. Lo studio gli valse il Nobel per la fisica. Comunque... e arriviamo alla questione... nel duemilatrecentosessantacinque un'organizzazione terroristica denominata Nessun Domani, con l'aiuto di scienziati corrotti, riuscì a miniaturizzare il congegno del teletrasporto e a impiantarlo sottopelle. Con un semplice computer da polso era possibile impostare le coordinate del luogo dove materializzarsi.
Quello fu il punto di non ritorno. Bastava procurarsi un cronovisore, vedere quando il tal carico di denaro veniva portato in banca, quale scommessa sarebbe stata vincente, dove avrebbe cenato il boss rivale da far fuori... e il gioco era fatto! Presto detto, fu il caos totale, come puoi immaginare. Cinquanta criminali psicopatici e senza scrupoli misero a ferro e fuoco il pianeta, fu la Quarta Guerra Mondiale, dal duemilatreesessantasei al duemilatreesettantuno.
La Federazione Universale per la Sicurezza optò per una soluzione estrema. Radunò le migliori menti del pianeta e le evacuò qui. Quelli erano i nostri antenati.
La vecchia Terra fu distrutta il dodici agosto duemilatrecentosettantuno, con l'esplosione simultanea di dieci bombe Gamma.
Da allora fu proibito ogni dispositivo individuale o mobile per il teletrasporto. La Instant Voyager mantenne il monopolio e costruì solo congegni tipo il nostro”.
“Bravo! La sai benissimo!”, esclamò Luigi dando una leggera pacca sulla spalla al figlio.
Dalla cucina la madre si voltò e gli fece l'occhiolino “Vedrai che l'esame lo passi di sicuro!”.
“Speriamo che passi anche questa tempesta”, sorrise Marco.
Tutti e tre guardarono fuori. In lontananza un gigantesco aerodonte avanzava a fatica controvento, sbattendo goffamente le diafane membrane alari e sfidando la bufera col suo grido acutissimo e penetrante.

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