martedì 13 novembre 2012

Un gatto topo di biblioteca

Da quasi un anno la biblioteca comunale Mozzi Borgetti aveva una nuova attrazione che attirava visitatori da tutta la città, più delle ricercate miniature o dei rari incunaboli. Luca, un ragazzino pel di carota sugli otto anni e tutto lentiggini ne rivendicava orgogliosamente il primo avvistamento. Felix l'avevano chiamato, su suggerimento dello stesso scopritore, quel Luca di due righe sopra, famoso ormai quasi quanto il felino; lo stesso Luca che con gli amichetti si atteggiava a super-star, aggiustandosi più fiero che mai la montatura rossa delle spesse lenti.
Nessuno sapeva da dove fosse sbucato quel gatto.
Luca racconta che un pomeriggio di maggio, mentre era intento a leggere un libro di avventure (forse non troppo intento, visto che non si ricorda quale fosse), quel gattone tigrato rosso era balzato all'improvviso sul tavolo di fronte a lui, facendogli prendere un piccolo spavento (in realtà ne fu terrorizzato, ma non lo avrebbe ammesso di fronte ai compagni nemmeno sotto tortura).
Insomma, anche Macerata aveva il suo Dewey. E anche se era contro il regolamento, come Dewey anche Felix aveva la sua cuccetta: in un angolo della Specula, la sala più in alto. A volte, nelle giornate più limpide, quando i Sibillini si stagliavano nitidissimi, lo potevi trovare seduto sui sottili davanzali in legno, assorto davanti ai finestroni. Faceva una strana impressione vederlo lì quando la sala era deserta. Nel silenzio quegli occhi smeraldo erano troppo espressivi.
Felix non viveva dentro la biblioteca. La frequentava, se così si può dire. Dei giorni gironzolava in lungo e in largo, dalla Sala degli Specchi fin su nella Specula; altre volte invece oziava pigramente nella sua cuccia, facendo solo di tanto in tanto capolino da qualche porta. Ogni sera all'ora di chiusura spariva non si sa dove e la mattina dopo, puntuale, all'apertura, era pronto ad accodarsi al primo impiegato che arrivava.
C'era anche stata qualche lamentela per il comportamento bizzarro di Felix. Capitava che di punto in bianco, mentre si era immersi nella lettura, saltasse sul tavolo e si accovacciasse di fronte al libro, fissandolo. Inutile dire che ai più piccoli (ma in genere anche agli studenti universitari) questa invasione della privacy non dava affatto fastidio, anzi. Si divertivano ad osservarlo. Si sarebbe detto che stesse leggendo, o che cercasse di farlo. E anche con una certa testardaggine... in quelle occasioni era davvero difficile scacciarlo: non che fosse aggressivo, sia ben chiaro. Non aveva mai morso o graffiato nessuno, e ne aveva presi di manrovesci, gomitate o spintoni! Quello che colpiva era che, a ben guardare, spesso Felix si piazzava ad osservare con fissità determinati gruppi di volumi. Allora anche chi passava di volata non poteva fare a meno di impuntarsi ed esserne affascinato.
Non si appassionava a tutti i generi di libri. Un osservatore attento avrebbe notato che si aggirava intorno agli scaffali che trattavano di magia, esoterismo e occultismo. E quando qualcuno si sedeva a consultare uno di questi volumi, alle volte saltava su e gli teneva compagnia nella consultazione, finché la pazienza o la simpatia del lettore glielo consentivano.

Felix alzò di scatto il capo, vigile.
Il vecchio professore entrò in biblioteca di buon'ora. Non aveva lezione quella mattina, così ne aveva approfittato. Sapeva già cosa prendere e si diresse alla mensola con passo spedito, lanciando qua e là cenni di saluto ai gruppetti di alunni che l'avevano riconosciuto.
Aprì il grosso tomo ingiallito e sospirando inforcò gli occhialetti da lettura.
Felix si era messo in piedi e seguiva le sue mosse. Quando il professore si lisciava il pizzetto bianco o si grattava la fronte, le vibrisse di Felix fremevano agognanti e i suoi occhi si accendevano di un bagliore arancione.
Il micione saltò di fianco al professore, che ebbe un fremito. Intorno si levava qualche sguardo curioso e si spalancava qualche sorriso.
Il professore cercò di smuoverlo, dapprima con delicatezza.
“Scendi, dai”. Il gatto non si muoveva e lo guardava.
“Cosa vuoi?”, bisbigliò seccato il professore.
Felix miagolò. Un miagolio breve ma risoluto.
Il professore si tolse gli occhiali e ricambiò lo sguardo del gatto.
“Cosa c'è?”, gli chiese ancora. Seriamente, questa volta.
Felix miagolò di nuovo, sempre lo stesso miagolio risoluto di prima, questa volta più prolungato. E spostava lo sguardo dal professore al libro.
Il professore guardò lungamente il libro, poi lanciò una breve occhiata interrogativa al gatto.
Intorno quasi nessuno leggeva più, si godevano tutti il bizzarro siparietto.
Felix appoggiò ripetutamente una zampa sul libro, miagolando ogni volta per accompagnare il gesto.
“Vuoi che legga?”, chiese il professore. Ma non lo disse, lo pensò.
Come pensò di trovare la risposta negli occhi di Felix.
Raccolse gli occhiali e tossì piano, guardandosi furtivamente intorno. Poi iniziò a leggere a voce bassissima, da dove iniziava il periodo, più o meno dove Felix indicava con la zampina.
Vide il gatto schizzare dietro l'angolo non appena pronunciò l'ultima parola. Era un incantesimo celtico di trasformazione.
Il professore ebbe uno strano presentimento. Si alzò e si mise sui passi (sulle orme, per meglio dire) di Felix.
“Ops... scusi...”. Per poco non si scontrò con un ragazzo alto, dai lunghi capelli castani.
“Marco, ciao...”, esclamò il professore dopo un attimo di imbarazzo, “che fine hai fatto? Non ti vedo a lezione da un bel po'...”
“Professore... se sapesse...”, sussurrò piantandogli in faccia due occhi verdi profondamente turbati.
“Dimmi...”, insisté il professore.
Marco esitava.
“Dì la verità... è stata la formula”, lo incalzò il professore.
Marco lo fissava basito.
Il vecchietto si sciolse in un abbraccio e bisbigliò con gli occhi lucidi “Ah lo so, lo so cosa ti è successo. Spero proprio che sia come penso. Altrimenti non so che farò, la settimana scorsa ho tramutato mia moglie in un'oca...”

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