martedì 13 novembre 2012

Una notte in biblioteca

Non ricordava quanti anni fossero passati dall'ultima volta che ci aveva messo piede. I tempi della scuola erano lontani. Così aveva preso la palla al balzo ed era fuggito dalla vociante squadra di muratori alle prese col bagno nuovo, con tutto quel trapanare, battere e squassare.
La biblioteca Oliveriana esercitava un fascino più ammaliante che mai. Una giornata diversa dal solito era quello che ci voleva. Scaldato da un generoso sole d'inizio autunno aveva scappottato la spider, aveva buttato sul sedile del passeggero “Lo Hobbit” di Tolkien ed era partito di gran carriera.

La sala lettura era molto affollata. Si era ripromesso di leggere almeno un centinaio di pagine, ma non riusciva proprio a concentrarsi. Lo sguardo fuggiva sempre più spesso e spaziava curioso per i mastodontici scaffali e sugli ampi tavoli di legno scuro. Si domandò quante e quali storie fossero celate dietro quelle ante, impresse da inchiostri magari centenari.
Gli balenò il pensiero che non gli sarebbe affatto dispiaciuto lavorare in una biblioteca, magari proprio in quella. Purtroppo c'era il problema del titolo di studio: la maturità classica, per quanto pertinente, non poteva competere con una laurea in Conservazione dei Beni Culturali.
Ma non era il momento di farsi prendere da una crisi di mezza età e dal bilancio della propria vita. Doveva essere un pomeriggio spensierato: meglio dedicarsi all'osservazione furtiva degli altri frequentatori.
Immerso in quella quiete senza tempo ci si divertiva moltissimo. Un camion sul pavè fece vibrare i finestroni. Pensò al frastuono che doveva esserci in quel momento a casa sua e fu invaso da una caldissima sensazione di libertà e beatitudine.
Il ragazzo di fronte a lui era orientale. Una foltissima zazzera nera da cui si biforcavano le bianche propaggini di un I-Pod e una felpa bianca con la gigantografia di uno smile.
“Fondamenti di biologia vol. 2”: che mattone. Avrebbe detto piuttosto che studiasse una qualche materia artistica o al limite informatica.
La ragazza due tavoli più in giù, a destra, era davvero carina. Un po' troppo giovane forse... ma d'altronde quasi sempre le ragazze che gli piacevano erano troppo giovani. Con le dovute proporzioni, s'intende; giovani come può esserlo ad esempio una venticinquenne per un trentasettenne. A chi è che non piacciono le ragazze giovani alla fin fine? E poi si stava solo guardando in giro per ingannare il tempo, era forse vietato? In una biblioteca anzi era una delle poche cose consentite.
Aveva lunghi capelli biondi che le ricadevano sulle spalle. Indossava un maglioncino leggero con scollatura a V, verde. Era intenta nella lettura di un grosso tomo e a fianco aveva appoggiato un MacBook.
Aspettava di vederle gli occhi, ma rimaneva perfettamente immobile. D'un tratto si spostò dal libro al portatile e due iridi verde smeraldo guizzarono dalle sottili lenti rettangolari. Era decisamente bella.
Non si era accorto di fissarla e quando la ragazza incrociò il suo sguardo nel sistemarsi la graziosa montatura rosa, trasalì imbarazzato e fece finta di sprofondare nelle sue avventure di nani, elfi e draghi. Aspettò qualche istante poi con circospezione risollevò lo sguardo.
Qualcosa di anomalo lo disturbò. Sul momento non riuscì a capire cosa. Poi la fanciulla si ravviò di nuovo i capelli e allora la vide. Un'orecchia a punta, lunghissima. Di nuovo si ritrovò a fissarla, questa volta per un motivo ben diverso. Di nuovo la ragazza lo sgamò e inaspettatamente gli sorrise. Anzi, questa volta fu lei a fissarlo. Rimase basito. Gli occhi le fiammeggiavano di un bagliore dorato.
La vibrazione del cellulare lo fece trasalire. Aprì il display e lo richiuse seccato. La ragazza era tornata alle sue letture.
Visto che doveva andare al bagno pensò di passarle a fianco e sbirciarle le orecchie, se riusciva.
Mise il segno al libro, ficcò il telefono nella tasca del marsupio e si alzò con calma.
Procedeva lentamente, con lo sguardo basso. Quando fu vicino alla ragazza rallentò ancora di più tenendo sempre gli occhi puntati su di lei. Questa volta però non si sistemò i capelli, non fece nulla a parte continuare a stare china sul suo libro. Era un trattato sulla mitologia celtica.
Una signora ad una postazione nel corridoio gli consegnò le chiavi del bagno e gli indicò la strada e lui con l'entusiasmo ingenuo e traboccante di un fannullone in vacanza si arrampicò per le suggestive rampe di scale in pietra.
Mentre si lavava le mani guardandosi nello specchio, per chissà quale astrusa associazione mentale, tipo sapore della madeleine, gli tornò in mente una visita guidata che aveva fatto sempre lì, in prima liceo. Con la sua classe aveva visitato il museo Oliveriano, adiacente all'entrata della biblioteca e gli archivi storici al piano superiore. Gli balenarono alla mente i reperti di epoca etrusca, le statuette in terracotta e bronzo, le steli con le incisioni in doppia lingua, le urne cinerarie, le raffigurazioni delle divinità e dei pascoli... un vortice di sensazioni e immagini lo investì furiosamente. Si sentì mancare, la vista si affievoliva.
Si ritrovò steso a terra, accanto al lavandino. La stanza intorno prendeva lentamente forma e intanto gli saliva dalla spalla un bruciore sempre più acuto. Per fortuna non aveva battuto la testa. Era svenuto, incredibile! In vita sua gli era successo solo un'altra volta, quando da ragazzino gli avevano fatto un prelievo per delle analisi. Uno sguardo all'orologio: l'una di notte. Possibile che in tutte quelle ore nessuno avesse avuto bisogno del bagno? Strano.
Chissà se c'era un vigilante, una guardia giurata...
Possibile che nessuno avesse notato il suo libro, il marsupio e il giubbotto di pelle sulla sedia?

Trovarsi in una biblioteca a notte fonda è qualcosa di indescrivibile. Tra il sacro e l'orrifico.
Fece la massima attenzione per non rompersi l'osso del collo per le scale e si diresse alla sua postazione.
Una pallida luna si stagliava nelle finestre del corridoio rischiarando il silenzio più assoluto.
Era quasi arrivato alla soglia quando una voce di donna lo paralizzò.
Era impossibile che ci fosse ancora qualcuno. Forse la guardia.
Un'altra voce si aggiunse a quella di prima, poi un'altra ancora. Atterrito trovò a tentoni un tavolo e ci si accovacciò a fianco. Il portone era aperto, la luce accesa e dalla sala lettura giungeva un chiacchiericcio sempre più intenso e rumore di passi.
Fece timidamente capolino. La ragazza bionda di prima conversava amabilmente con un gigantesco lupo grigio che stava eretto su due zampe. Era scalza, vestita di pelli e portava una corona di fiori. Avrebbe detto che era un elfo. Più in là due dame di fine ottocento discutevano dei salotti della Pesaro bene. Vari libri erano sparpagliati sui tavoli.
Come mise piede nella stanza ebbe tutti gli occhi addosso. Poi quelle creature si tramutarono in fasci di luce che saettarono ognuno dentro un libro. I volumi si richiusero con gran rumore.
Era rimasta solo la ragazza elfica, che sorridente gli si avvicinò e mormorò: “Siamo lo spirito degli Scritti, siamo il sapere e l'essenza del mondo. Ogni tanto abbiamo bisogno di manifestarci per trarre nuovo vigore e infonderlo agli esseri umani. Perché avvertano l'importanza del sapere, della cultura e della condivisione. Tienilo sempre ben presente. Fa tesoro di tutto questo!”

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