lunedì 20 ottobre 2014

Per sempre diciassettenne

La matita si puntò sul quadernone perché con la coda dell'occhio aveva captato un movimento nel parco della scuola. La panchina era deserta, uno stormo di foglie secche danzava stancamente attorno alla quercia. Riprese quindi a tratteggiare il suo drago corazzato fra gli appunti di storia. Nemmeno questa volta Guen si era accorta che Stefano dall'ultimo banco la osservava insistentemente. La campanella mise fine al monologo del professore su Napoleone Bonaparte e anche la sua classe si riversò nell'androne mescolandosi al fiume di studenti che invadevano chiassosamente il cortile. I più prendevano a piedi mentre pochi fortunati inforcavano le motociclette e filavano via tra il puzzo dell'olio e le dense fumate di scarico.
- Ci vieni stasera alla festa di Stefano? - Marta le si fiondò addosso comparendo dal nulla.
- Ancora non so, - rispose Guen abbozzando un sorriso.
- Eddai, mi sa che gli piaci.
- Peggio ancora. Non voglio casini.
- Non ti piace quel fusto? - la stuzzicò l'amica.
- Al momento non mi interessano queste cose. Accomodati pure, è tutto tuo.
- Magari! E' lui che non mi si fila, sennò... ops! - esclamò Marta dandole una gomitatina.
- Ciao. Ci siete stasera alla mia festa? - Lupus in fabula: Stefano le aspettava al varco nascosto dietro la quercia.
Guen guardava per terra imbarazzata, giochicchiando con qualche foglia.
- Certo! A che ora? - cinguettò Marta ignorando bellamente le occhiatacce dell'amica.
- Alle otto alla mia casa di campagna. Sapete dov'è, vero? I miei non ci sono. Portate da mangiare, i ragazzi portano da bere.
- Ci vediamo lì allora, - disse Marta facendogli l'occhiolino. Ma Stefano non aveva smesso un attimo di guardare Guen che invece non staccava mai gli occhi dal marciapiede.
- Allora a stasera, eh! - lo incalzò Marta sforzandosi di esibire un tono di voce ancora più squillante. Niente da fare. Stefano non la sentiva neppure, la sua attenzione era tutta per Guen.
- Vabbe' - sospirò Marta, rassegnata a rimanere in ombra. - Ciao ciao! - tagliò corto poi tirando l'amica per un braccio.
- Oh, è proprio vero: chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane. Ce l'avessi io uno così che mi viene dietro...
Guen le rispose sospirando: - Domani c'è anche il compito in classe di latino, non ho voglia di venire alla festa.

Da qualche minuto aveva superato il bivio dove di solito si separavano per tornare ognuna a casa propria. Guen si stava chiedendo se non fosse il caso di ripensarci, quando una voce alle sue spalle materializzò i suoi pensieri con un tempismo sbalorditivo.
- Sei davvero sicura di non voler venire alla mia festa?
Anche se lì per lì avrebbe voluto rispondere che invece sì, ci sarebbe stata anche lei alla festa, si voltò di scatto stizzita e sbottò:- No, non posso. Devo studiare!
Rimase di sasso. La voce era stata quella di Stefano, ma il tizio davanti a lei non era Stefano. Un soffio d'aria gelida la fece rabbrividire. Si guardò attorno soffocata da un'improvvisa vampata d'angoscia, cercando scampo in qualche anima pia che passasse da quelle parti. La strada era deserta. Un refolo bistrattò un mulinello di foglie accendendole un'intuizione: quei lunghi capelli neri. Lo svolazzo del soprabito in pelle: era lui dietro la quercia, a scuola! Lo sconosciuto rimaneva in silenzio, inchiodandola con uno sguardo glaciale che sapeva di distanze siderali, di qualcosa che riemerge inesorabile dalle tenebre. Provò a chiedere chi fosse ma le parole le morirono in gola. Lo sconosciuto la bloccò stringendole le braccia. In piedi di fronte a lei la sovrastava di trenta centimetri buoni. Voleva disperatamente scappare ma il corpo non rispondeva, le gambe erano un blocco di cemento. Era paralizzata, riusciva solo a muovere gli occhi. Poi quella voce le entrò in testa come un sibilo, senza che lui muovesse le labbra. Sembrava mormorasse dagli occhi.
- Ciao Guendalina. Alla fine ti ho trovata. C'è un legame speciale che ci unisce, gli Antichi non scelgono a caso i loro seguaci...

Lentamente mise a fuoco il lampadario sul soffitto, nella penombra diafana di camera sua. Si tirò su a sedere. La sveglia sul comodino faceva le quattro e mezza di notte. La testa le girava e pulsava dolorosamente. Si sentiva stranita, distante. Come era tornata a casa? Il ricordo balenò e trasalendo si portò la mano al collo. I polpastrelli sentirono una lacerazione. Si trascinò in bagno con passo malfermo. Accese la luce e una fitta la piegò in ginocchio, strappandole un gemito. Gli occhi avvamparono come se ci fosse entrata della sabbia. Quando riuscì a riaprirli intravide due piccoli fori dai contorni frastagliati, sul collo della ragazza che la fissava spaventata dallo specchio.


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