martedì 4 settembre 2012

IL BLOCCO DELLO SCRITTORE

Pestò con violenza la leva del freno, il Monster bianco si intraversò stridendo e disegnò sull'asfalto polveroso una lunga virgola nera. Il possente bicilindrico borbottava al minimo. Tenendo gli occhi fissi davanti a sé cercò lentamente l'elsa della katana. Spense la moto e con circospezione stese il cavalletto. Sguainò la spada e mosse qualche passo. Un rivolo di vento gli scompigliò i lunghi capelli biondi e gli impolverò pesantemente gli stivali. Davanti a lui la strada finiva nel nulla. Era un bianco assoluto, come un telo o un muro che ostruisse l'orizzonte a perdita d'occhio. L'asfalto grigio coi tratteggi gialli, la fila di alberi ai lati della strada, il cielo terso e assolato: tutto confluiva e svaniva in quella terrificante immensità.

Era un'altra di quelle volte che non mi veniva niente. Niente, foglio bianco, tabula rasa. Mi accadeva sempre più spesso negli ultimi tempi. Il corso di scrittura creativa che avevo comprato col Corriere della Sera diceva che in questi casi buttare giù parole a casaccio, frasi senza senso, anche sgrammaticate, aiutava a rimettere in moto il turbine di idee. Da due ore buone però non facevo altro che arrivare a metà riga per poi cancellare tutto. E via da capo, sbadiglio dopo sbadiglio.

Guen si vestì senza accendere la luce, attenta a non svegliare Jim. Spalancò la finestra. Una brezzolina gentile gonfiò le tende e si insinuò sotto le lenzuola. Jim sbuffò appena e si girò su un fianco. Issata sul davanzale, la giovane vampira sorrise dolcemente al suo compagno addormentato. I suoi occhi nocciola scintillarono nella penombra, un istante prima che si tuffasse per venti metri con la sua Beretta in pugno.
Filava come il vento nel bosco di cipressi. Qualche solitario automobilista per un attimo credette di aver visto una ragazza in tuta di pelle nera che volava fra i rami più alti, nella luce argentea del plenilunio. Ma i chilometri ancora da fare erano ancora tanti e bastava la stanchezza a fargli compagnia per quei tornanti, senza che ci si mettessero pure le allucinazioni: il solitario automobilista abbandonò quindi in fretta quello stupido pensiero e tornò a concentrarsi sull'indicatore del carburante e sulla cartina stradale.

La mano a sorreggere il mento, fissavo avvilito ora le plastiche annerite del vecchio monitor, ora la nuova tastiera rossa pieghevole in gomma. Non era stata un grande acquisto: buffa e simpaticissima per carità, ma decisamente scomoda per scrivere. Anche questo non aiutava. Come non aiutava l'estate fuori dalla finestra, coi suoi trenta gradi e le grida dei bambini. E mi ritrovavo sempre a pensare a tutte le belle ragazze della spiaggia...

Tra il fitto della boscaglia si intravvedeva un tremulo barlume dietro i finestroni rotti. Guen interruppe di colpo la corsa e si appostò dietro un grosso tronco. Sapeva di trovarlo lì. Controllò che il caricatore fosse pieno. Un proiettile d'argento era in canna. Dalle assi di legno marce, divelte in più punti, poteva sbirciare dentro la baracca ma non coglieva nessun movimento. Di tanto in tanto una folata di vento più forte delle altre ululava fra le fronde e scuoteva il fil di ferro a cui era appesa la lampadina. Scattò fulminea e ruzzolò dentro con un gran fragore di vetri. Ben salda sulle gambe piroettò su se stessa con la pistola spianata, per controllare la stanza. Rimase esterrefatta, gli occhi spalancati. Intorno a lei solo bianco, avvolta da una sensazione di non luogo, intrappolata in un inquietante straniamento mai provato prima.

Timidamente batté la punta della katana contro quel muro candido e si accorse che era una specie di nebbia, la lama ci scompariva dentro. Si guardò intorno perplesso. Avvicinò prima l'indice, poi lentamente ci fece scomparire il braccio libero fino al gomito. Sospirò guardandosi le punte imbiancate degli stivali. La moto a pochi passi da lui, inerte in quella desolazione, sembrava intimargli un ultimatum. Il motore prese vita con un rombo cupo. Esitò qualche istante, poi staccò brutalmente la frizione, snocciolò tre marce a limitatore e la Ducati scodando scomparve assorbita dal nulla.

Chiuse gli occhi e sparando all'impazzata corse dritto davanti a lei quanto più poteva. L'otturatore rimase aperto, la beretta si bloccò. Sentì un calore conosciuto sul viso. Aprì gli occhi e si ritrovò in un grande parco con tanti giochi per bambini. Tra l'improvviso schiamazzo e il fuggi fuggi generale, mamme più o meno giovani strattonavano via in gran fretta i loro figli, gridando e lanciando sguardi terrorizzati alla pistola che Guen impugnava.

Adesso però era veramente troppo! Giocare va bene, ma che quei mocciosi dovessero urlare come se li squartassero...! Spazientito chiusi la finestra di open office e spalancai quella reale che dalla sala dava sul parco dietro casa. Una splendida ragazza mi fissava appoggiata al palo delle altalene. Un Monster mille sbucò impennando dall'incrociò in fondo alla strada e inchiodò accostando al marciapiede, proprio vicino al cartello con dei bambini stilizzati e zompettanti.
Guen... Guendalina...”, sussurrai dal terzo piano.
Un'occhiata al misterioso forestiero: la moto, la spada, i capelli... Riconobbi anche lui.
Guen lo osservava diffidente, lanciando rapide occhiate alla Beretta ormai scarica e al fodero che faceva capolino dietro le spalle larghe del motociclista. Sentivo i loro sguardi incalzanti su di me, cercavano risposte. Abbozzai un sorriso stentato e alzai incerto la mano destra in segno di saluto. “Venite su, la porta è qui sotto, vi apro al citofono”, dissi a voce alta sforzandomi di apparire allegro.
Un attimo dopo ero seduto sul divano con Guen e il mio nuovo killer. L'imbarazzo era palpabile, come lo sconcerto d'altronde. Il mio gatto stava acquattato sotto il tavolino, fissando i due ospiti con occhi terrorizzati.
E così tu sei Guendalina...”, dissi per rompere il ghiaccio.
Guen per gli amici!”, mi sorrise scoprendo i canini. Era davvero meravigliosa. Averla lì in carne ed ossa era un'emozione indescrivibile.
Come sai il mio nome?”, chiese pensierosa.
Sei bellissima... davvero...”, farfugliai senza volerlo.
Grazie”, sussurrò un po' sorpresa passandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Sei l'eroina del mio racconto, quello intitolato 17...”, spiegai, “... ma come sei arrivata qui?”
Andavo ad uccidere un lupo mannaro...”
Che aveva tentato di far fuori te e Jim... vero?”, interruppi.
... Sì, esatto, ma come lo sai? Aspetta... aspetta... il tuo racconto...? io sarei... e Jim... lo conosci? Allora anche lui è...”, esclamò sempre più confusa.
Ero entrata nel suo nascondiglio e di colpo era tutto bianco”, riprese. “Ho avuto molta paura e ho corso, correvo e sparavo alla cieca. Poi sono finita nel parco qui sotto. E ti ho visto. Mi sembra di conoscerti...”
E tu invece... ehm...”, chiesi al centauro samurai accorgendomi di non avergli ancora dato un nome.
Non ricordo come mi chiamo, non lo so, boh...”, ringhiò spaventandomi un pochino. “Dovevo eliminare un bersaglio ma la strada all'improvviso è finita... non c'era più niente, era tutto bianco. Mi ci sono lanciato dentro con la moto e sono finito qui.” “Eri alla finestra e ho avuto un fortissimo dejà-vu”, aggiunse quasi scusandosi.
Tu invece chi sei?”, mi domandò... niente da fare, ancora non mi sblocco... rimarrà il motociclista per ora...
Eh...”, esitai, “io mi chiamo Salvatore, piacere di conoscervi, ehm... di incontrarvi...!”
E che fai di bello, Salva?”, fece Guen.
Cercavo di scrivere...”, dissi scherzosamente pensando allo schermo vuoto di là in camera mia.
Piuttosto...”, mi alzai in piedi con enfasi, “scusate, sono un cafone, non vi ho neanche offerto nulla, volete qualcosa da bere?”

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