martedì 4 settembre 2012

IL MACELLAIO

L'ispettore Nocito non aveva mai visto nulla di simile. Si guardò intorno con circospezione, attento ad ogni minimo rumore, cercando di mantenere la calma. Il posto era quello segnalatogli via radio. La luna fece per un attimo capolino tra i nuvoloni e il pallore rischiarò impietoso quell'aberrazione. Uno di loro sollevò il muso: grondava sangue e interiora. L'indice tremò sul grilletto. Le mascelle della bestia si serrarono e gli occhi scintillarono d'impeto. Dovette fare appello a tutte le sue forze per non vomitare. Il maremmano spiccò un balzo verso di lui e cominciò a correre forsennatamente sputacchiando saliva e poltiglia. Per lo spavento incespicò all'indietro e cadde a sedere. Il vicolo risuonò di due frastornanti boati. L'ispettore si scrollò di dosso la carcassa e si rimise in piedi, dolorante. Sentiva le mani luride e viscide, alla luce del lampione si scoprì imbrattato di sangue, peli e bava. Gli altri due cani scomparvero ringhiando dietro l'angolo. Nocito avanzò di nuovo verso la montagnola in ombra. Solo un cane non si era mosso. Nemmeno gli spari avevano placato la sua brama. “Viaaaaa!!!!!” gridò fuori di sé. Sentiva il lento inesorabile biascichio mentre un tanfo insopportabile di colpo lo fece vacillare. Esplose un colpo in aria. La sagoma scura continuò imperterrita. Ormai era abbastanza vicino. “Fermo dove sei! Mani in alto”, intimò. Voleva urlarlo a squarciagola ma la voce uscì strozzata. Dal cadavere a terra emerse un energumeno tetro e spento, solo gli occhi erano vivi, azzurri e gelidi. Per quanto fosse vicino non riusciva a tenerlo sotto tiro: la tacca di mira diventava sfocata, era come guardare l'asfalto tremulo arroventato dal sole estivo. Gli parve di cogliere il bagliore di una fibbia. L'uomo lasciò cadere a terra qualcosa. Nocito avanzò ancora di pochissimo, la vista annebbiata e le gambe atrofizzate. Era un braccio, o almeno ciò che ne restava; arrivava al gomito, finiva con l'osso e i legamenti sfrangiati. Nocito era ubriacato da un'immobilità surreale e disumana. Quell'essere sbloccò la situazione sparendo dietro l'angolo, come i cani poco prima. L'ispettore non ebbe la forza di gridare o di sparare: si sentiva svuotato e voleva solo farsi inghiottire dal silenzio e dalla notte. Il puzzo però lo riscosse dall'apatia e di colpo si ricordò di essere uno sbirro: c'era un cadavere, c'era un assassino da prendere! Un mostro per di più, un cannibale a quanto pareva. Dei rinforzi richiesti ancora nessuna traccia. Un lieve sospetto cominciò a serpeggiare ma lo scacciò e, cosa per lui insolita, si affidò a quella tecnologia che non gli era per nulla congeniale. Nocito era un dinosauro della vecchia scuola, rispettato e temuto da tutti i colleghi. Non ce n'erano più molti come lui in servizio, di investigatori. Si era fatto le ossa ben prima del DNA, del luminol o dell'AFIS e guardava con malcelata diffidenza al nuovo che avanzava. Era troppo affezionato al suo blocchetto e alla sua stilografica per sostituirli con un palmare e se doveva pigiare su una tastiera per redigere un verbale ci metteva una vita. Questa volta tuttavia ebbe un guizzo e sentì che lo strano aggeggio poteva essergli utile: sul mezzo braccio masticato spiccavano nettissime quattro impronte insanguinate. Scattò una foto col nuovo smartphone in dotazione e dopo pochi semplici passi il database emise il responso. Non ne fu stupito, viste le circostanze non poteva che essere lui: il macellaio; ricercato in quattro stati, autore di nove omicidi e sospettato di altrettante sparizioni. “Ormai sono troppo vecchio e troppo grasso per queste cose...”, sbuffò Nocito prima di gettarsi all'inseguimento.


I colori e le forme galleggiavano in nuvole grigie e rossastre. Poco a poco le cose prendevano forma. Pochi battiti di palpebre e gli si accese un fortissimo mal di testa. Una fila di neon copriva il soffitto, doveva distogliere lo sguardo per non restarne abbagliato ed acuire ulteriormente il mal di testa. Sentiva una tempia pulsare e una sensazione calda dove esplodeva il mal di testa. Istintivamente cercò di toccarsi ma si accorse di essere immobilizzato. Ormai riusciva quasi a mettere a fuoco del tutto. Sembrava una camera d'ospedale: plastiche bianche asettiche e tavoli e attrezzature in metallo. Aveva le mani costrette dietro la schiena. Si chinò ad osservarsi i piedi: le caviglie erano strette con dei fili elettrici alle gambe della sedia. Una goccia rossa piovve tra i mocassini neri lucidi. La vista era tornata normale ora ma il mal di testa si era risvegliato con lui, dolorosamente vigile e pulsante. Si guardò intorno. Nella stanza, di circa dieci metri quadrati, c'erano un letto sfatto con accanto l'impalcatura di una flebo ancora mezza penzolante e tre tavoli da autopsie disposti a ferro di cavallo davanti a lui. Sparse qua e là altre quattro sedie identiche a quella a cui era legato. Non capiva se fosse ammanettato o cos'altro; fece forza dapprima gradualmente per saggiare la resistenza, poi diede quattro strattoni decisi: niente di fatto. Una fitta alla testa ed ebbe un capogiro; socchiuse gli occhi per riposarsi un attimo. Sui tre tavoli tre lenzuoli bianchi rigonfi. Quasi in sordina due uomini entrarono nella stanza. Nonostante il primo indossasse una divisa da poliziotto Nocito notò solamente l'altro, a causa della mole spaventosa. Era alto quasi due metri, scarponcini da trekking marrone scuro e una salopette lorda di sangue. La folta e incolta barba fulva era sozza di brandelli di carne, una profonda cicatrice partiva dalla guancia destra fino a lambire più sbiaditamente una fessura dall'iride azzurro, vuota e inespressiva. Il macellaio. Non era mai stato così vicino. Non era tanto la statura a far paura, quanto la totale assenza di umanità che emanava dalla sua figura. “Salve ispettore, ben svegliato”, sogghignò l'uomo in uniforme facendo roteare giocosamente fra le mani una sbarra di ferro. Nocito lo conosceva bene ma non si stupì più di tanto.
“Baldini...”, sorrise amaramente, “ecco perché i rinforzi non arrivavano mai...”
“Mi spiace ispettore ma ti stavi avvicinando troppo”
“Ecco perché il macellaio era sempre un passo avanti a noi... eh bravo Baldini... non mi sei mai piaciuto ma non credevo fossi anche tu uno psicopatico, me l'hai fatta...”
“Ah ma io non sono affatto uno psicopatico, come te e come tutti perseguo solamente un mio fine, ho un piano da portare a termine.”
Mentre parlava Nocito non riusciva a distogliere lo sguardo dal macellaio. Se ne stava lì in piedi, immobile, impassibile, quasi assente; quasi non si rendesse conto di dove si trovasse, di cosa facesse o peggio di cosa avesse fatto.
“Vuoi dare uno sguardo al tuo futuro prossimo?”, Baldini afferrò un lembo del lenzuolo dal tavolo centrale, proprio di fronte a Nocito. La mannaia era conficcata nel cranio. La lama pesante aveva maciullato quasi tutta la parte destra del volto, il manico toccava il pianale. I radi capelli erano impiastricciati di sangue e materia cerebrale, impossibile dire di che colore fossero. Una palpebra semichiusa faceva intravvedere un'iride grigiastra, la bocca era lievemente aperta. L'orecchio sinistro era stato strappato e penzolava da un lungo lembo di pelle. Gambe e braccia erano staccate dal busto e appoggiate alla rinfusa sul gelido pianale: ecco spiegato il rigonfiamento innaturale. La pelle cadente e grinzosa era stata strappata in vaste aree delle cosce, dell'addome e del petto: evidentemente quella belva non disdegnava di cibarsi di esemplari anziani. Mani e piedi erano accumulati nell'angolo accanto alla testa, anch'essa mozzata; le dita mancanti dovevano aver fatto da aperitivo.
“E questo sarebbe il piano tanto geniale?! Non crederai di farla franca... non ero il solo a sospettare che ci fosse una talpa alla centrale... non sono mica tutti una massa di idioti... ti saranno addosso prima di quanto immagini! E poi dove vuoi arrivare facendo il complice del macellaio, cosa speri di ottenere?”
“Complice io??!!... sei fuoristrada, hai capito male... io non sono affatto complice di questa bestia... al contrario... io sono l'eroe che lo ha ucciso... purtroppo sono arrivato tardi e non ho potuto evitare che ti facesse a pezzi...; ma non ti preoccupare, anche a te daranno una medaglia o una qualche onorificenza, ne sono sicuro... In un colpo solo mi sbarazzerò di questo grosso grasso schifoso idiota assassino...”, scandì le sillabe ad alta voce, “... e dell'ispettore più brillante del distretto... come vedi mi si prospetta una fulgidissima carriera!”
Nocito fissava incredulo il macellaio.
“Ah... tranquillo non può sentirmi... oltre che deficiente questo decerebrato...”, gongolava enfatizzando gli insulti, “... è pure sordo come una campana... figuriamoci poi, imbecille com'è, se sa leggere le labbra... Bene, direi che adesso è davvero giunto il momento.”
Baldini diede due colpetti con la spranga sulla spalla del macellaio indicandogli con cenni del capo prima il cadavere poi l'ispettore Nocito. Il gigante si mosse flemmatico, estrasse con qualche scricchiolio la mannaia dalla testa troncata e avanzò col solito sguardo assente. Nocito si dibatteva e gridava con tutte le forze ma i legacci non cedevano di una virgola. Il sorriso compiaciuto di Baldini era lo specchio della sua completa impotenza. Chiuse gli occhi rassegnato. Un fiotto lo investì in pieno viso, il manico della mannaia gli urtò il piede. Nella stanza all'improvviso fu l'apocalisse, un flusso continuo di proiettili, un assordante boato di spari. Baldini non fece in tempo ad estrarre la pistola, quattro colpi gli trapassarono il petto; lentamente si accasciò accanto al cumulo di frattaglie che un attimo prima era il volto del macellaio.
“Come mi hai trovato?” domandò Nocito gettando un'occhiata allo smartphone frantumato sul pavimento.
“Grazie al localizzatore GPS del telefono... questi in dotazione alle Forze dell'Ordine ne hanno tutti uno... e funziona anche se il telefono è spento o rotto, come in questo caso...”, proseguì Elisa notando la perplessità dell'ispettore, “sapevo che eri in servizio... non rispondevi mai e mi sono insospettita...”
“Salvato da una donna e da queste nuove diavolerie elettroniche... questo è il colmo!”, mormorò Nocito mentre Elisa lo liberava accovacciata ai suoi piedi, i vaporosi capelli biondi e la scollatura prepotente nonostante l'uniforme.
“Ben fatto agente Bianchi! Le prometto che non la prenderò più in giro per come guida la volante o per la sua mira!”, la canzonò. Elisa si guardò un attimo attorno poi sorrise beffarda “Insomma... per cinque centri ho svuotato due caricatori... direi che non sono esattamente una tiratrice scelta...”. Nocito le sorrise e appoggiandosi a lei si diresse alla porta, ancora un po' stordito e indolenzito.

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