domenica 9 settembre 2012

LA STELLA ALPINA

Aprì lentamente gli occhi. La fredda luce dell'alba filtrava dagli scuri. Attese qualche istante, poi iniziò a scostare il piumone con cautela, lanciando rapide occhiate alla moglie girata su un fianco. Raccolse al buio i vestiti preparati la sera prima, sulla sedia di vimini accanto al basso comò di rovere. Si sforzò di attraversare il parquet a grandi falcate leggerissime. Richiuse piano la porta, tenendo fino all'ultimo gli occhi sui capelli biondo paglia che sbucavano dal piumone e si stagliavano nella grande testata in legno scuro. Volle credere di non averla svegliata, ma in fondo sapeva che di lì a poco l'avrebbe vista alla finestra.
Arrivato in cucina aprì le tende e sbirciò il tempo. Era sereno, le chiome degli alberi quasi immobili. Con gesti lenti preparò la moka e la sistemò sul fornello. Tirò fuori dalla credenza la crostata ai mirtilli. Sorrise pensando all'anno passato, quando si era messo in marcia sotto il diluvio, abbagliato dai fulmini e stordito dai tuoni. Lo zainetto era sotto il tavolo, pronto dalla sera prima come i vestiti. Dentro non c'erano funi, picchetti e moschettoni, ma tre pagnottelle, del pecorino, una bottiglia d'acqua e il cellulare per le emergenze. Finora non gli era mai servito, grazie a Dio, pensò mentre sorseggiava il caffè e si tagliava due grosse fette di crostata. Si preoccupò di non fare troppo rumore scostando il pesante portone di legno. Una folata di brezza lo investì fredda e pungente, ma piacevolissima. Calzò il berretto in testa, si stiracchiò e si sgranchì un po' le gambe; le due ore di cammino che lo attendevano sarebbero state un riscaldamento sufficiente.

Appena imboccato l'umido sentiero tra le querce si voltò a guardare la baita d'abete rosso con tetto in pietra. L'aveva costruita tutto da solo. Passo passo, anno dopo anno, aveva dato forma alla casa che sognava fin da bambino. La famiglia e gli amici non avevano mai capito perché fosse andato a vivere proprio lì, proprio in quel momento.
Dal piccolo comignolo si levò un flebile rivolo di fumo che pigramente scemava nel cielo ora più limpido. La tendina ornata di girasoli si scostò leggermente e apparve sua moglie che come sempre lo salutava avvolta nella grande coperta rosa, con una tazza fumante in mano e il solito sorriso affettuosamente beffardo: ormai lo beccava sempre. Pazienza, questo non avrebbe di certo sminuito la sua impresa. Le rivolse scherzosamente un “attenti” militaresco e si voltò a proseguire il cammino.

Un sole più energico bucava le chiome delle querce e dei faggi, ne risplendevano i cespugli screziati di anemoni viola e bianchi. Seguiva i suoi pensieri a testa bassa, al ritmo degli scarponi sempre più inzaccherati. La sua era stata una fuga, un tirarsi indietro? I genitori pensavano di sì. Quante litigate al crepitio del fuoco, con la neve che planava soffice fuori dalla finestra! In fondo era felice. O credeva solo di esserlo? Un'ombra gli tagliò la strada, alzò la testa di scatto e intravvide un falco sfrecciare tra il verde delle fronde nell'azzurro del cielo. In quel punto il sentiero si allargava, il bosco si diradava e cominciava a scorgersi la parete. Per chi lo faceva in realtà? Gli apparve l'amorevole sorriso della moglie: per vent'anni l'aveva forse ingannata?
Corse col pensiero alla fotografia: i capelli sempre biondi, ma un po' più lunghi; incantevoli occhi azzurri al posto di quelli marroni e invece della coperta rosa una sgargiante giacca a vento rossa bianca e blu. Non era necessario che lei sapesse. Non era più quell'uomo. Sua moglie si era innamorata del taglialegna solitario e gentile che era diventato. Tacere significa mentire? No, non aveva mai finto. In entrambe le vite era stato onesto e leale. E molto innamorato. La tragedia l'aveva trasformato. Di colpo via dalla grande città, dal lavoro e dagli amici. Verso un nuovo inizio. Proprio in quel luogo.

Infilò il piede destro nella piccola rientranza e allungò il braccio sinistro sul groviglio di arbusti che sbucavano dall'ampia fessura. I gesti si susseguivano automaticamente, si arrampicava sicuro e tranquillo.
Iniziava a sudare sotto la camicia di pile, ma continuava spedito. Dopo un quarto d'ora giunse al primo spiazzo. Appoggiò lo zaino a terra e si stese a sedere, allungando le gambe. Aveva le spalle un po' indolenzite. Laggiù, una decina di metri più in basso, uno scoiattolo annusava le sue impronte sgranocchiando il pezzettino di formaggio che gli aveva gettato. Anche lui lassù mangiava, a piccoli morsi, seguendo due nuvolette che passavano lentamente. Si sdraiò supino e rimase a contemplare il cielo terso. Anche con lei, quella volta, si erano fermati lì.
Mentre si issava a fatica sulla vetta, di nuovo la visione della rudimentale capannina di cemento e mattoni grigi lo rincuorò profondamente.
“Ciao Angela”, esclamò inginocchiandosi. La ragazza gli sorrideva dalla fotografia. Indugiò a lungo, con le lacrime agli occhi, sui vaporosi capelli biondi e sui sorridenti occhi celesti. La giacca a vento era la stessa che indossava quel giorno, quella rossa bianca e blu. Aveva anche lo stesso sorriso, quel giorno, quando scherzavano felici per quell'arrampicata fuori programma, in quel piccolo rifugio tutto per loro.
Si recò nel punto dove era scivolata. Poco distante il gruppo di stelle alpine resisteva ancora.

“Sono tornato”, disse spalancando il portone e pulendosi gli scarponi. Sua moglie lo aspettava ancora avvolta nella coperta rosa, con un sorriso raggiante. Il fuoco crepitava vivacemente, l'orologio a cucù sul caminetto faceva l'una. La tavola era imbandita di cappelletti fumanti, un vassoio d'arrosto misto, uno stinco di maiale al forno e una torta di mele fatta in casa.
“Ta-daaan!!! Buon anniversario amore mio!”, esclamò facendo apparire da dietro la schiena una stella alpina.

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